Riprendiamo il tema del mercato del lavoro ticinese, come da articolo pubblicato il 10 settembre da tvsvizzera.it che ringrazio.
I dati statistici mostrano un Cantone sofferente su più fronti.
I salari in Ticino sono mediamente molto più bassi di quelli svizzeri, circa del 16-20%. Questo significa che in Ticino si guadagna un quinto in meno dei nostri cugini confederati. Da qualunque parte si guardino i dati, per settori, per ruoli occupati, per mansioni svolte, per età, per genere, i salari pagati dalla nostra economia, privata e pure pubblica, sono più bassi. E notevolmente più bassi sono anche i salari pagati ai frontalieri.
Ma i problemi del mercato del lavoro ticinese non li vediamo solamente nel livello dei salari, purtroppo. Le conseguenze sono tante altre. In Ticino, la percentuale delle persone che lavorano ma che non riescono a vivere del loro salario, i working poor, è tra le più alte a livello nazionale. Lo stesso accade quando guardiamo al numero di persone che deve fare più di un lavoro per vivere. O ancora, quasi paradossalmente, ci troviamo in vetta alle classifiche della sottoccupazione (persone che lavorano a tempo parziale ma vorrebbero lavorare di più). E sul tempo parziale si apre un ulteriore campo di analisi. Negli altri cantoni tendenzialmente i nuclei familiari fanno una scelta in cui entrambi i partner lavorano a tempo parziale perché i salari consentono di dedicarsi alla famiglia. Nel nostro caso purtroppo, invece, l’alto tasso di lavori a tempo parziale è sinonimo di grande precariato.
E che dire delle condizioni di lavoro femminili? Anche in questo caso purtroppo il nostro cantone appare negli ultimi posti della classifica nazionale: tassi di attività femminile tra i più bassi, differenze salariali tra uomini e donne maggiori, piccolissima presenza di donne nei quadri dirigenziali e nei posti di lavoro di responsabilità. Il quadro di certo non appare incoraggiante. Purtroppo non va meglio per i giovani che oggi possono ricevere formazioni eccellenti, sia in ambito scolastico che professionale. Anche a loro, il Paese non sembra dare risposte adeguate. I dati appena pubblicati confermano che sempre più ragazzi e ragazze abbandonano il cantone per trovare fortuna oltre Gottardo. E sicuramente le difficoltà di trovare posti di lavoro adeguati alle qualifiche e con stipendi dignitosi contribuiscono a questa emigrazione. Tanti altri sarebbero i dati che confermano un malessere del mercato del lavoro ticinese, a partire dai cinquantenni che vengono messi alla porta e non trovano più nulla dopo 30 anni di duro lavoro.
Come lo si guardi, questo quadro di indagine necessita di tutte le attenzioni della politica. È necessario intervenire affinché si possa invertire il senso di marcia. Affinché, come deve succedere in un paese sano, i giovani e le giovani non siano obbligate a lasciare la loro terra e i loro affetti. Per questo bisogna avere il coraggio di riconoscere e ammettere i problemi, ma anche le tensioni che oggi viviamo. Non si può più fingere che non ci sia rivalità e competizione tra manodopera locale e manodopera non residente. Lo scopo non è quello di attribuire colpe; lo scopo è quello di offrire opportunità anche alle persone residenti in questo Cantone.
