In evidenza

Ticino: economia a basso valore aggiunto, emigrazione giovanile, salari bassi

Siamo i più poveri della Svizzera. O, se preferite, siamo gli Svizzeri che guadagnano di meno. Forse non è una grande scoperta, penseranno alcuni. Infatti: è un fatto e le cause sono tante, complesse e non affrontabili facilmente. Per risolvere un problema la prima cosa da fare è riconoscerne l’esistenza. Purtroppo, ancora oggi in Ticino c’è chi ha paura di chiamare le cose con il loro nome: economia a basso valore aggiunto, emigrazione giovanile, salari bassi. Parlare di “economia diversificata”, di “poli tecnologici” e di “innovazione” è molto più soddisfacente e presentabile nei salotti buoni. Purtroppo, oggi la nostra realtà, non è questa. Se vogliamo davvero uno sviluppo virtuoso del cantone Ticino dobbiamo, in primis, riconoscerne i problemi, rinunciando alle narrazioni consolatorie ed edificanti, così da poterli affrontare e, magari, risolverli.
Sappiamo che le cause della situazione attuale sono tante. Ragioni storiche e geografiche ci hanno consentito per anni di sfruttare la manodopera di confine a prezzi più bassi. Ma con il passare del tempo questi “vantaggi” sono diventati il nostro principale limite. Il passaggio da un’economia basata sul settore primario (agricoltura) a un’economia finanziaria è avvenuto saltando quasi a piè pari la fase industriale. Questo non ci ha permesso di sviluppare e diffondere appieno una vera cultura imprenditoriale. Un altro tassello negativo è stato la perdita di posti di lavoro nelle ex regie federali, che chiedevano competenze elevate ma offrivano allo stesso tempo salari e condizioni di carriera di livello svizzero.
Per molti anni abbiamo trovato comodi colpevoli per il ritardo ticinese rispetto al resto della Svizzera: la mancanza di qualifiche avanzate, la scarsità di centri di eccellenza, l’assenza dal territorio di accademie e alte scuole. Erano scuse e comunque non tengono più: Università della Svizzera Italiana, SUPSI, Centro di Studi Bancari, Cardiocentro, Centro Svizzero di Calcolo, Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, Istituto di Ricerca in Biomedicina… sono solo alcune delle eccellenze del nostro Paese. Anche grazie ad esse i nostri giovani sono ottimamente formati scolasticamente e professionalmente.
Infatti, le aziende, le banche, le assicurazioni del resto della Svizzera accolgono i nostri giovani a braccia aperte; offrono loro salari e condizioni di crescita professionale molto buone. Significa che stiamo fornendo a queste ragazze e ragazzi gli strumenti perché possano avere il futuro che meritano. Ma non basta. Bisogna smettere di nascondere la testa nella sabbia. I nostri problemi hanno nomi precisi: economia a basso valore aggiunto, emigrazione giovanile, salari bassi. E, soprattutto, dobbiamo impegnarci per avere (finalmente!) un piano di sviluppo economico serio, affinché i nostri giovani abbiano un futuro anche qui, nel loro Cantone, senza doversene andare. Perché questo, nel più classico dei circoli viziosi, è un altro, ancora più grave, tipo di impoverimento: un’intera generazione in fuga.

La versione audio: Ticino: economia a basso valore aggiunto, emigrazione giovanile, salari bassi

L’emigrazione giovanile impoverisce il Ticino

Sentiamo dire che le esperienze all’estero fanno bene ai giovani. Certo, se non fosse che questi giovani sono oggi costretti ad andarsene, non lo scelgono. Questa cosa ha un nome semplice e chiaro: emigrazione.

Si narra che ci sono grandi difficoltà a trovare giovani competenti e che dovremmo lavorare tutti quanti per formare, in un futuro luminoso, ragazzi capaci con profili competitivi. Suona bene nei dibattiti ma è essenzialmente una fandonia. I nostri figli e le nostre figlie sono preparati in maniera eccellente. E infatti a Zurigo, a Lucerna e a Friburgo li assumono velocemente e a condizioni molto buone. Sono poco formati solo qui, a casa loro? A meno che il semplice atto di attraversare il Gottardo non abbia effetti miracolosi sulla loro competitività e preparazione, è probabile che sarebbero altrettanto degni di trovare lavoro in Ticino se non fossero troppo costosi. Questa cosa ha un nome semplice: “salari bassi”.

E che dire del fatto che dovremmo “essere ottimisti e aprirci al mondo”? Proviamo a dirlo alle centinaia di persone licenziate e rimpiazzate da chi costa meno; andiamo a raccontarlo alle famiglie che vedono partire i figli per andare oltre Gottardo. Non usiamo giri di parole quando possiamo chiamare le cose con il loro nome: “concorrenza della manodopera estera a basso costo”.

Le cause della spinta migratoria che sta espellendo i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno nomi chiari: bassi salari, economia fragile, frontalierato. E permettetemi di aggiungere, mancanza di coraggio. Sì, perché ci vuole coraggio a chiamare le cose con il loro nome.

Capita poi di partecipare a conferenze, in cui si presentano le quattro o cinque eccellenze del Paese. Certo, queste realtà ci sono. Sono la punta di un iceberg di cui esiste… solo la punta. Sotto il pelo dell’acqua ormai non c’è quasi più nulla. La forza lavoro del Cantone che è formata, motivata, capace meriterebbe di trovare lavoro qui con stipendi dignitosi. Non c’è bisogno della mitica Silicon Valley: basterebbe proteggere meglio il nostro mercato del lavoro e i nostri salari.

Non è vero che non abbiamo la massa critica per garantire dei posti di lavoro dignitosi o che non ci sono aziende sane che vogliono dare un futuro a queste persone e questo Cantone. E non è neppure vero che non possiamo fare niente per un territorio che invecchia e si spopola. Potremmo fare molto se cominciassimo ad accettare di chiamare i problemi con il loro nome: bassi salari, economia fragile, frontalierato, ossia la triade alla base della nuova emigrazione ticinese.

Ammettiamolo e potremo andare avanti. Oppure possiamo raccontare le solite favolette consolatorie. E rassegnarci ad attendere le prossime cifre che diranno che, guarda un po’, ci sono più frontalieri e i nostri stipendi si sono abbassati ulteriormente.

Articolo tratto da L’Osservatore, 6.11.2021

La versione audio: L’emigrazione giovanile impoverisce il Ticino

Salari bassi: i frontalieri aumentano, i giovani emigrano

Volete leggere una notizia che non fa più notizia? Eccola qui. I frontalieri in Ticino aumentano. Alcuni di voi penseranno che è una buona cosa perché se il numero di permessi cresce vuol dire che crescono i posti di lavoro e quindi l’economia va bene. Sì e no.
È vero che quando parliamo di un’economia in crescita i posti di lavoro devono aumentare, ma teoricamente è sufficiente che aumentino in proporzione all’aumento demografico. Purtroppo nel caso del Cantone Ticino ci troviamo di fronte a una realtà scomoda di cui l’opinione pubblica inizia solo ora ad occuparsi: il Cantone non solo invecchia, ma si spopola anche. E le previsioni per i prossimi decenni non ci rallegrano. Certo, sono tante le cause di questo genere di problemi demografici, ma la principale rimane secondo noi una e ben identificabile: il lavoro.
Il mercato del lavoro in Ticino oramai soffre da almeno un decennio. Le scelte, o meglio le non scelte, di dare un chiaro indirizzo e una vocazione alla struttura economica cantonale, oggi mostrano tutti i loro limiti.
Avere un’economia diversificata può essere un vantaggio, nel senso che riesce ad attutire meglio l’andamento negativo di un settore. Tuttavia se questa strategia si basa sui bassi salari, i limiti per lo sviluppo e per il benessere dei suoi cittadini presto o tardi si manifesteranno.
In Ticino oggi abbiamo 74’200 permessi di lavoro per persone che non vivono in questo Cantone. Parliamo di quasi 1’000 persone in più rispetto al secondo trimestre di quest’anno, 2’800 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e quasi 9’000 in più rispetto a 5 anni fa.
A colpirci a prima vista è l’aumento nei numeri, anche se oggi è più importante analizzare i settori in cui lavorano queste persone.
Così scopriamo che la percentuale di persone occupate nel settore secondario, quello dell’industria e delle costruzioni, si riduce costantemente: oggi solo una persona su tre ci lavora. Questo significa che due persone su tre lavorano nel settore dei servizi. Tra questi spicca la crescita costante nelle attività professionali, scientifiche e tecniche come gli studi di architettura o quelli di contabilità, settori questi che occupano oltre 8’500 persone (11.5% del totale). Anche il settore delle attività amministrative e di supporto alle aziende come per esempio la ricerca e la selezione del personale occupa oggi oltre 7’200 persone frontaliere. Tutti questi settori in cui volendo potrebbero trovar occupazione anche i ragazzi e le ragazze formati residenti che però faticano a farsi assumere.
E quale è e rimane il fattore competitivo determinante? Il salario. Purtroppo sempre più la concorrenza è agguerrita e ciò che spinge i nostri giovani a lasciare il loro Cantone è proprio la mancanza di prospettive. Detto questo, non vogliamo un’economia chiusa e posti di lavoro riservati, vogliamo solo che non sia il salario più basso la ragione che esclude a priori giovani qualificati e residenti.

Estratto intervista Cronache della Svizzera italiana, Rete Uno, 4.11.2021

La versione audio: Salari bassi: i frontalieri aumentano, i giovani emigrano

Il traballante mercato del lavoro ticinese – II parte

Riprendiamo il tema del mercato del lavoro ticinese, come da articolo pubblicato il 10 settembre da tvsvizzera.it che ringrazio.

I dati statistici mostrano un Cantone sofferente su più fronti.
I salari in Ticino sono mediamente molto più bassi di quelli svizzeri, circa del 16-20%. Questo significa che in Ticino si guadagna un quinto in meno dei nostri cugini confederati. Da qualunque parte si guardino i dati, per settori, per ruoli occupati, per mansioni svolte, per età, per genere, i salari pagati dalla nostra economia, privata e pure pubblica, sono più bassi. E notevolmente più bassi sono anche i salari pagati ai frontalieri.
Ma i problemi del mercato del lavoro ticinese non li vediamo solamente nel livello dei salari, purtroppo. Le conseguenze sono tante altre. In Ticino, la percentuale delle persone che lavorano ma che non riescono a vivere del loro salario, i working poor, è tra le più alte a livello nazionale. Lo stesso accade quando guardiamo al numero di persone che deve fare più di un lavoro per vivere. O ancora, quasi paradossalmente, ci troviamo in vetta alle classifiche della sottoccupazione (persone che lavorano a tempo parziale ma vorrebbero lavorare di più). E sul tempo parziale si apre un ulteriore campo di analisi. Negli altri cantoni tendenzialmente i nuclei familiari fanno una scelta in cui entrambi i partner lavorano a tempo parziale perché i salari consentono di dedicarsi alla famiglia. Nel nostro caso purtroppo, invece, l’alto tasso di lavori a tempo parziale è sinonimo di grande precariato.
E che dire delle condizioni di lavoro femminili? Anche in questo caso purtroppo il nostro cantone appare negli ultimi posti della classifica nazionale: tassi di attività femminile tra i più bassi, differenze salariali tra uomini e donne maggiori, piccolissima presenza di donne nei quadri dirigenziali e nei posti di lavoro di responsabilità. Il quadro di certo non appare incoraggiante. Purtroppo non va meglio per i giovani che oggi possono ricevere formazioni eccellenti, sia in ambito scolastico che professionale. Anche a loro, il Paese non sembra dare risposte adeguate. I dati appena pubblicati confermano che sempre più ragazzi e ragazze abbandonano il cantone per trovare fortuna oltre Gottardo. E sicuramente le difficoltà di trovare posti di lavoro adeguati alle qualifiche e con stipendi dignitosi contribuiscono a questa emigrazione. Tanti altri sarebbero i dati che confermano un malessere del mercato del lavoro ticinese, a partire dai cinquantenni che vengono messi alla porta e non trovano più nulla dopo 30 anni di duro lavoro.
Come lo si guardi, questo quadro di indagine necessita di tutte le attenzioni della politica. È necessario intervenire affinché si possa invertire il senso di marcia. Affinché, come deve succedere in un paese sano, i giovani e le giovani non siano obbligate a lasciare la loro terra e i loro affetti. Per questo bisogna avere il coraggio di riconoscere e ammettere i problemi, ma anche le tensioni che oggi viviamo. Non si può più fingere che non ci sia rivalità e competizione tra manodopera locale e manodopera non residente. Lo scopo non è quello di attribuire colpe; lo scopo è quello di offrire opportunità anche alle persone residenti in questo Cantone.

Il Quotidiano, RSI, 17.09.2021
La versione audio: Il traballante mercato del lavoro ticinese – II parte

Il traballante mercato del lavoro ticinese – I parte

Il 10 settembre tvsvizzera.it, che ringrazio, ha pubblicato un mio articolo sul mercato del lavoro ticinese. Lo riprendo qui quest’oggi.

Il numero di frontalieri ha raggiunto cifre da record in Ticino. Oltre 70’000 persone attraversano ogni giorno il confine per lavorare nel Cantone sud-alpino. Se l’economia in parte approfitta della possibilità di fare capo a manodopera qualificata a basso costo, il mercato del lavoro soffre. E non solo a livello salariale.

Il mercato del lavoro del Cantone Ticino è molto differente rispetto a quello degli altri Cantoni svizzeri, inclusi quelli di frontiera. La ragione principale risiede nello sviluppo particolare che ha vissuto il tessuto economico di questo Cantone.

Primo, siamo passati da un’economia primaria a una fortemente finanziaria senza vivere una fase di vero e proprio sviluppo industriale. Probabilmente anche a questo è dovuta la mancanza odierna di una vera e propria cultura imprenditoriale e di centri decisionali sul territorio.

Il secondo fattore che spiega la situazione attuale è la possibilità storica derivante anche dalla posizione geografica di poter sfruttare un ampio bacino di manodopera qualificata a basso costo. Le aziende possono approfittare di due vantaggi competitivi: uno legato alla qualità, l’altro al prezzo. Entrambi comportano delle conseguenze importanti sullo sviluppo del tessuto economico di una regione. In Cantone Ticino la presenza di manodopera qualificata a basso costo ha spinto alla creazione di attività incentrate principalmente sul fattore lavoro e non sul capitale (macchinari). Se nel breve periodo ci sono sicuramente vantaggi, lo stesso non può dirsi per il lungo. Non a caso oggi la nostra economia è composta principalmente da posti di lavoro a valore aggiunto inferiore alla media nazionale. In questo senso siamo sovra-rappresentati nei settori industriali, del commercio, del turismo e della ristorazione. Proprio i settori che sono i primi a soffrire quando c’è una crisi economica; esattamente come accaduto con la crisi del Covid-19. I cantoni che invece si sono concentrati sulla ricerca, progresso tecnologico, innovazione e su un’avanzata organizzazione del lavoro, oggi si ritrovano con una produttività elevata e quindi con salari di gran lunga superiori ai nostri.  

Per contrastare questo ritardo è stato fatto molto nella formazione e nella ricerca creando negli ultimi trent’anni tantissimi centri di eccellenza. Dal Centro di Studi Bancari a Vezia, al Cardiocentro a Lugano; dall’Università della Svizzera italiana (USI), agli Istituti di Biomedicina (IRB) e Oncologico della Svizzera italiana (IOSI); dalla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana (SUPSI), al Nuovo Centro Svizzero di Calcolo. E tanto altro ancora è stato fatto e bolle in pentola. Questo ha portato a migliorare notevolmente la formazione dei giovani e quella continua nel nostro Cantone. Peccato che questo non sia stato accompagnato da un altrettanto sviluppo di attività economiche avanzate che avrebbero potuto dar linfa al tessuto produttivo cantonale. Così, oggi i dati statistici mostrano un Cantone sofferente su più fronti.

La versione audio: Il traballante mercato del lavoro ticinese – I parte

I frontalieri aumentano ancora

I frontalieri in Svizzera e in Ticino aumentano. I dati appena pubblicati dall’ufficio federale di statistica non lasciano dubbi, pur ritenendo il fatto che gli stessi autori li definiscano provvisori.
In Ticino è stata superata anche la soglia dei 71 mila permessi di lavoro come frontaliere; precisamente alla fine del II trimestre del 2021, quindi di giungo, se ne registravano 71’586. La maggior parte di questi permessi, quasi 47 mila, era attribuita al settore terziario, quello dei servizi. Il nome non deve trarci in inganno: oltre alle avvocate, ai fiduciari o al personale medico, troviamo anche i commessi, le cameriere e i servizi logistici. Invece il settore secondario, oggi rappresenta solo 1/3 di questi lavoratori, in linea con i cambiamenti avvenuti nella struttura produttiva del nostro Cantone.
Guardando i dati vediamo la relazione stretta tra l’andamento economico generale e l’andamento dei permessi di lavoro: i settori che hanno mostrato una ripresa rispetto alla crisi legata alla pandemia, sono anche quelli caratterizzati da un aumento dei frontalieri. In particolare, il settore secondario, che è quello legato all’industria mostra una certa stabilità, sia paragonando i dati con i tre mesi precedenti del 2021 (gennaio-marzo) sia rispetto all’anno prima. L’unica eccezione in questo caso è il settore delle costruzioni, che mostra un aumento da mettere in relazione con la ripresa economica. Ad oggi lavorano in questo settore quasi 8 mila persone frontaliere.
Anche nel settore terziario, che mostra aumenti trimestrali del 2.5% e addirittura di oltre il 5% rispetto all’anno scorso (+2’300 persone), la relazione con l’andamento economico è evidente. I frontalieri aumentano in quasi tutti i settori, in particolare nei servizi legati alla ristorazione, nelle attività professionali, scientifiche e tecniche e in quelle di servizio alle aziende.
Il boom dei numeri di permessi è nella ristorazione dove si segnala un aumento sia su base trimestrale che annuale di oltre il 15%, arrivando a occupare 3’900 persone. In realtà, non sappiamo quanti di questi posti di lavoro rimarranno anche dopo il periodo estivo.
Discorso differente va fatto per le attività professionali, scientifiche e tecniche come gli studi di architettura, di ingegneria o contabilità che occupano oggi quasi 8’200 persone non residenti, oltre l’11% del totale. Se a queste aggiungiamo le attività amministrative e di supporto alle aziende come i servizi di selezione e ricerca del personale, arriviamo a quasi 15 mila posti di lavoro. Ora, nessun problema se i nostri apprendisti neo-diplomati e le nostre neo-laureate troveranno un posto di lavoro da qui a qualche mese. Discorso differente, se come purtroppo temo, passeranno mesi alla ricerca di un posto di lavoro per poi dover scappare oltre Gottardo.
Se questo accadrà ancora, chi di dovere dovrà smettere di fare orecchie da mercante e dovrà finalmente prendere in mano le redini di questo Cantone.

La versione audio: I frontalieri aumentano ancora

Ticino, terra di conflitti?

Chiudiamo la sintesi dell’intervista fatta a me e all’On. Morisoli dal Prof. Remigio Ratti e pubblicata dal Federalista, con alla Direzione Claudio Mésoniat.
In Ticino, più che altrove si parla spesso di conflitti inconciliabili. Così i discorsi tra l’apertura verso Sud oppure verso Nord, la presenza di manodopera locale e frontaliera, il rapporto tra città e periferie sembrano difficoltà insormontabili. Ma non è così.
“E infine, come rispondere, ricercando le convergenze, ai principali trade-off? Apertura e chiusura verso l’Europa, giovani e anziani, occupazione e disparità salariali, …
Il cantone Ticino ha la fortuna di stare tra Milano e Zurigo. Questa collocazione deve essere sfruttata al massimo, ma non per divenire esclusivamente il dormitorio di giovani che vivono in Ticino e lavorano fuori. In questo senso è necessario sviluppare sinergie con i due poli. Pensiamo a quanto avremmo potuto fare con il settore della moda e con il Nord Italia e che purtroppo non abbiamo fatto.
Il conflitto tra città e periferie è probabilmente vecchio quanto la nascita stessa delle città. La storia pare consacrare vincitrice a turni l’una o l’altra. Pensiamo alla recente crisi e al fatto che le parti più rurali del cantone siano divenute quelle più “ricercate” dai cittadini per vivere. In questo senso i cambiamenti sull’organizzazione del lavoro possono giocare un ruolo fondamentale e per questo bisogna occuparsene per tempo.
Non esiste nessun conflitto a priori tra infrastrutture e ambiente, anzi. Certo è che se i nostri modelli di investimenti si basano su un’idea di infrastrutture pensate per la società di cinquant’anni fa, allora sì abbiamo un problema.
Nella realtà, alcuni paesi stanno dimostrando coraggio e lungimiranza nella progettazione di nuove opere che non solo sono sostenibili, ma che addirittura diventano le fondamenta di una società in questo senso al passo con i tempi.
L’invecchiamento della popolazione è una problematica che tocca tutti i paesi avanzati. La riduzione della natalità è un fenomeno negativo a differenza della riduzione della mortalità. Eppure spesso li sentiamo contrapporre. L’allungamento della vita non dovrebbe essere mai ritenuto un problema e sicuramente non può essere considerato una causa della riduzione del numero di figli. Per invertire il trend vanno date speranze: migliorare le condizioni quadro, la conciliabilità tra famiglia e lavoro se non addirittura un ripensamento sull’idea stessa di tempo di lavoro.
Il patto generazionale tra giovani e anziani deve essere ri-consolidato. L’esperienza drammatica della pandemia ha mostrato una solidarietà tra generazioni su cui probabilmente pochi avrebbero scommesso. Ora la sfida è quella di rinsaldare il rapporto che da sempre ha contraddistinto le nostre società. La generazione degli anziani non è solo un costo, anzi. Alle giovani generazioni ha lasciato in eredità un sistema di formazione praticamente gratuito, un patrimonio intergenerazionale che poche nazioni possono vantare e uno stato sociale sano. Ai giovani può essere richiesto in cambio il pagamento dei contributi pensionistici e di compensare maggiori costi per la salute. Credo che lo scambio sia assolutamente equo.
Non deve esistere assolutamente nessun compromesso tra occupazione e tolleranza nella disparità salariale. Posti di lavoro mal retribuiti e con condizioni non in linea con la Svizzera non devono essere ritenuti una fonte di crescita e sviluppo per il Cantone. Per decenni la vicinanza con l’Italia ha consentito di attingere a manodopera qualificata e a basso costo. Quello che in apparenza sembrava un vantaggio competitivo si è rivelato un grosso limite al passaggio da un’economia intensiva di manodopera a una di capitale. Quando non si può competere sul prezzo del lavoro bisogna innovare e sviluppare prodotti di qualità.
E infine, il tema dell’immigrazione e dell’emigrazione. È forse uno dei temi più delicati e, nel caso del Canton Ticino, forse uno dei più difficili da gestire in questo particolare momento storico. Siamo confrontati da una parte con un’Italia in sofferenza e quindi con persone alla ricerca di un lavoro e dall’altra con giovani ticinesi che quel lavoro in Ticino non lo trovano. È difficile capire e spiegare perché un giovane ticinese qualificato, formato e competente varchi il Gottardo e veda riconoscere competenze che oggi il nostro territorio sembra ignorare.

La versione audio: Ticino, terra di conflitti?

Il Ticino cresce, ma troppo poco

Ripropongo un articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 12.02.2021 che tratta del tema delle disparità tra il Cantone Ticino e il resto della Svizzera. Questa disparità anziché andare riducendosi nel corso degli anni è andata aumentando. “Una recente analisi fatta dalla Banca Cler insieme all’istituto BAK Economics mostra l’andamento dei redditi e dei patrimoni tra il 2007 e il 2017 per la Svizzera e i suoi Cantoni. Il documento è molto completo e interessante e conferma ancora una volta le difficoltà strutturali dell’economia del Cantone Ticino.
Anche se alcune voci sono in crescita, purtroppo questa è di gran lunga più bassa di quella del resto della Svizzera. Ciò ci porta inevitabilmente a vedere il divario tra noi e i cugini confederati aumentare. È come se diventassimo sempre più poveri rispetto al resto degli svizzeri. I dati sono chiari. Sia che analizziamo i redditi medi, i redditi mediani, i redditi più bassi o quelli più alti o ancora sia che analizziamo le diseguaglianze le cose non cambiano: il Ticino viaggia a una velocità ridotta rispetto al resto della Svizzera. Non stupiamoci quindi che i nostri giovani una volta finiti gli studi facciano le valigie ed emigrino oltre Gottardo. Come non dobbiamo stupirci che una volta andati all’università non tornino più indietro e mettano su famiglia altrove. Ma questo significa che il nostro Cantone invecchia e muore.
A costo di apparire controcorrente, ritengo che la risposta al problema della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione non sta nella ricerca di idee geniali dell’ultima ora per attrarre persone nuove o nell’invenzione di fantasiose politiche famigliari. La risposta deve essere una sola: supportare le aziende del nostro Paese affinché possano iniziare un processo di cambiamento epocale. Dobbiamo smettere di vestire i panni della Cenerentola della Svizzera. E in questo lo Stato deve essere presente. Vanno bene gli aiuti in questo momento di difficoltà, ma la nostra società deve essere fondata su un’economia solida e florida e non su un’economia di sostegno di breve periodo o peggio ancora assistenzialista. Questo significa che gli aiuti devono diventare forme di sostegno alla transizione, al cambiamento, di messa in rete delle attività, di riqualifica e formazione, di partnership pubblico-privato nei settori innovativi. Dobbiamo superare quelli che una volta sono stati i nostri vantaggi competitivi come la vicinanza territoriale all’Italia e la possibilità di attingere a manodopera qualificata a costo più basso. Questo ci ha portati a sviluppare un’economia intensiva di lavoro sacrificando l’innovazione.
Ora dobbiamo lavorare per avere un’economia che consenta finalmente ai nostri e alle nostre giovani di trovare lavori qualificati con stipendi dignitosi che tengano conto delle loro competenze. Dobbiamo permettere ai nostri figli e alle nostre figlie di poter vivere del proprio lavoro nel proprio Cantone. Lo Stato c’è e deve esserci sempre per sostenere i suoi cittadini e le sue cittadine, ma non deve diventare l’alternativa a un’economia sana.”
Tratto da “Corriere del Ticino” – 12.02.2021

La versione audio: Il Ticino cresce, ma troppo poco