Cassa malati: tutti alla cassa!

Quando si parla di politiche pubbliche non si parte dagli slogan, ma da un’analisi seria. Prima si capisce qual è il problema reale: serve davvero un nuovo programma o possiamo intervenire diversamente? Poi bisogna guardare ai fallimenti del mercato che vogliamo correggere: prezzi troppo alti, poca concorrenza, disuguaglianze. Da lì si aprono le alternative, perché non esiste mai una sola soluzione e ogni opzione ha pro e contro.

Il passo successivo è il disegno del programma: chi ha diritto, con quali criteri, con quali limiti. Sembra un dettaglio tecnico, ma è il cuore della questione. Subito dopo arriva la parte più scomoda: prevedere come reagiranno i cittadini e le imprese. Perché non restano fermi, cambiano comportamento, e spesso in modo imprevisto.

A quel punto si valutano due cose: l’efficienza – se il programma usa bene le risorse o crea sprechi – e la distribuzione, cioè chi ci guadagna e chi ci perde davvero. Qui si tocca il punto più delicato: i trade-off, i compromessi inevitabili fra equità ed efficienza.

Infine servono due condizioni di fondo: chiarezza sugli obiettivi – cosa vogliamo ottenere e perché – e consapevolezza che tutto passa dal processo politico. Senza consenso e senza fiducia, anche la misura più brillante sulla carta rischia di non funzionare.

In breve, fare una politica pubblica significa attraversare un percorso complesso, non scrivere uno slogan.

E veniamo alle iniziative sulle casse malati. L’intenzione è chiara: limitare il peso dei premi cassa malati ai cittadini. Ma se applichiamo i criteri di analisi appena visti, i conti non reggono. Trattiamo quella del 10%.

Già nel primo anno servirebbero circa 300 milioni. Gli iniziativisti sostengono che non tutti chiederanno l’aiuto e quindi il costo sarà minore. Ma un diritto non si calcola sulla speranza che qualcuno non lo eserciti. Lo Stato deve stimare i costi per il 100% dei cittadini. E non basta: i premi aumentano di anno in anno. Quello che oggi costa 300 milioni, nel 2027 potrebbe già diventare 330, poi 350, e così via. Non ci sono analisi di medio periodo, solo calcoli statici sul primo anno.

Anche sul fronte delle entrate i conti non tornano. Un aumento del 10% delle imposte porterebbe circa 150 milioni, ma ne mancano altri 150. Si prova allora a inserire i 40 milioni dell’aumento del valore di stima degli immobili: peccato che quei soldi sono già a bilancio per finanziare scuole, asili e ambiente e la metà appartiene ai Comuni. Cosa facciamo, glieli togliamo? Ultima idea: aumentare l’imposta sulla sostanza dal 2,5 al 3,5 per mille. Ma così si mettono in discussione accordi già votati con la riforma fisco-sociale, con il rischio che le aziende ritirino i contributi che oggi sostengono asili nido e rette delle famiglie.

C’è poi un effetto meno visibile, ma altrettanto importante: se tanto paga lo Stato, i cittadini non avranno più interesse a cercare una cassa meno cara e le casse malati non avranno più incentivo a offrire premi più bassi. Il risultato? Ancora meno concorrenza e una spesa sanitaria destinata a crescere ancora.

Facendo i conti, il deficit del Cantone salirebbe subito oltre il mezzo miliardo già al primo anno. Perché non dimentichiamolo: noi purtroppo non siamo Zugo e i nostri conti sono già oggi sotto di 100 milioni. Poi arriveranno anche i nuovi oneri federali: la riforma EFAS, che vale da sola 200–300 milioni, gli oneri della Confederazione e altre riforme come il valore locativo o la tassazione individuale, che possono pesare altri 150–200 milioni. Totale: quasi un miliardo di buco.

E quando i soldi non ci sono, le strade sono sempre le stesse: aumentare le imposte a tutti, oppure tagliare beni e servizi. E i tagli, come sempre, colpiranno i più fragili: scuole, anziani, sociale, cultura, ambiente. Nessuno resterà escluso.

Fare politiche pubbliche che rischiano di far deragliare le finanze dello Stato non è un gioco. È un esercizio serio, non uno slogan elettorale. Prima servono analisi solide, poi proposte credibili. E allora la domanda è inevitabile: dove sono queste analisi?

Alla fine la scelta è nostra. Ognuno voterà come crede ed è giusto così. Ma bisogna sapere la verità: il conto non sparisce. Non lo pagheremo più nella fattura della cassa malati, lo pagheremo con le imposte, con le rette degli asili, con i tagli ai servizi. Nessun miliardario verrà a salvarci. Alla fine, a pagare, saremo sempre noi cittadini.

Testo in parte pubblicato sui portali

4 pensieri riguardo “Cassa malati: tutti alla cassa!

  1. Gentile signora Amalia,

    concordo pienamente con la sua analisi. Una delle soluzioni, la migliore a mio parere, sarebbe di cambiare il sistema, passare ad una cassa malati unica Cantonale finanziata con la fiscalità ordinaria (o volendo con una voce apposita). Sarebbe senza fini di lucro e controllata da un ente autonomo. Poi possiamo studiare dei sistemi per evitare un accesso troppo disinvolto alle cure (ticket? franchigia? bonus-malus?) e un sistema di costi standard per le prestazioni. Va bene: fantascienza perché si toccherebbero lobby fortissime ma se non si punta a cambiare il sistema non si uscirà mai da questa perversa spirale. Certo le tasse aumenteranno ma saranno aumenti in proporzione al reddito e, sono convinto, un risparmio rispetto ai costi attuali si otterrebbe. Non servirebbero più tutte queste assicurazioni che si fanno una finta concorrenza. Ovviamente chi lavora nel settore perderebbe il posto (voglio sperare che non servano tutti i contabili di tutte le casse malati per gestirne una sola e poi abbiamo già una struttura pubblica cantonale) ma rendiamoci conto che questa burocrazia la paghiamo con i nostri premi. Poi finalmente si potrebbe fare più medicina preventiva (cosa impossibile ora visto che la cassa malati preferisce pagare la cura e non la prevenzione) e anche questo ridurrebbe, anche se non nell’immediato, i costi. Per finire, essendo garantita dallo Stato, non avrebbe bisogno di fondi di riserva.

    Cosa ne pensa?

    Grazie e saluti.

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    1. Caro Sig. Locati, personalmente non sono così sicura che la ma cassa malati unica finanziata con la fiscalità porterebbe a grandi miglioramenti, anzi. Credo che sia molto importante che si facciano studi seri e indipendenti per valutare veramente l’impatto di una scelta così radicale. I paesi a noi vicini che hanno fatto scelte simili, non brillano per accesso alle cure e per una sanità così tanto equa. Il rischio di andare verso una medicina davvero a due velocità e al razionamento delle cure, potrebbe essere molto fondato. Ma come dice bene lei, non bisogna mai escludere nulla a priori: prontissima a ritornare sui miei dubbi dati alla mano! Un caro saluto, a presto, Amalia

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  2. Gentile Signora Mirante,

    grazie per la sua analisi, come sempre molto chiara e logica nell’attenersi ai fatti concreti. Le scelte portano conseguenze concrete. Il popolo voterà per quanto avrà compreso cercando un vantaggio per le proprie tasche…se può. Da cittadino mi pongo comunque un quesito: se entrambe le proposte “10% cassa malati” e “deduzione spese cassa malati dalla dichiarazione fiscale” dovessero passare? Il buco ai conti del Cantone si trasformerebbe in voragine, non sancirebbe forse il “fallimento/tracollo” delle forze di governo evidenziando un chiaro limite nella gestione? Sarebbe forse l’occasione per un “rimpasto” totale tramite votazione? Ovviamente servirebbe, come da lei già espresso, modificare il sistema di voto, garantendo ai cittadini figure NUOVE ai vertici della dirigenza cantonale. Coraggio! E grazie per quanto esprime che, credo, va ben oltre l’appartenenza politica; il buon senso non é ne di destra ne di sinistra ma mostra interesse per il bene collettivo. Buon lavoro

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    1. Caro Sig. Bresolin, la ringrazio tanto per il suo commento e mi scuso se le rispondo solo ora. Purtroppo, come stiamo vedendo in questi giorni dopo il voto, i nodi sono venuti al pettine. L’unica cosa certa è che ci aspettano tempi molto duri e che per affrontarli ci sarà bisogno di tanta, ma proprio tanta serietà. Un caro saluto, Amalia

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