Analisi del frontalierato in Ticino (se i dati sono giusti…)

L’ufficio federale di statistica comunica che ha sbagliato i dati relativi alla perdita di posti di lavoro nel Cantone Ticino. Se le correzioni saranno al miglioramento non possiamo che rallegrarcene. I dati parlavano di 10’000 posti di lavoro spariti nel IV trimestre del 2020. Anche nel nostro blog ce ne siamo occupati. Al momento non è dato sapere quale sia l’entità dell’errore, ma siamo abbastanza allibiti che possa capitare una leggerezza del genere. Detto questo, purtroppo temiamo che la correzione non basterà a correggere le fragilità del mercato del lavoro ticinese.
Ma ora affrontiamo il tema del frontalierato, augurandoci che i dati ufficiali siano corretti…
In un momento di crisi economica come questa, la crescita costante del numero di frontalieri in Ticino suscita discussioni.
Se è vero che i dati del IV trimestre del 2020 indicano un aumento di 524 frontalieri, oggi guadiamo al medio periodo e ci interroghiamo su cosa sia successo rispetto a 18 anni fa ossia al 2002, anno di cui disponiamo dei dati disaggregati per settore.
Nonostante tutti i limiti metodologici e i cambiamenti avvenuti nella maniera di conteggiare i frontalieri, possiamo sostenere senza dubbio che sono aumentati. Nel 2002 si contavano quasi 33 mila persone; oggi sono 70 mila. L’aumento più importante è stato nel settore terziario, dove la cifra è triplicata: ad oggi contiamo oltre 45 mila persone. Attenzione specifichiamo che il settore terziario è quello che rappresenta i servizi e che sono molto differenti tra di loro. È vero che ci sono i famosi lavori in banca, ma anche il commercio al dettaglio, la ristorazione, gli architetti e le avvocate rientrano in questa categoria.
Data questa differenza è comunque possibile fare delle considerazioni generali sulla composizione di questa forza lavoro? O meglio, per farla breve, i lavori svolti dai frontalieri sono sempre gli stessi? Chiaramente ci sarà un’evoluzione strettamente collegata all’evoluzione stessa dei posti di lavoro offerti nel Cantone e di questo dobbiamo tenere conto.
Oggi, 24 mila persone lavorano nell’industria; nel 2002 erano circa 18 mila. Ma queste 18 mila rappresentavano il 54% del totale dei frontalieri. Oggi sono scesi al 34%.
Il settore del commercio e delle riparazioni di autoveicoli è il secondo più grande datore di lavoro con quasi 11’000 persone. Seppur segnalando un aumento di 6 mila persone, in questo caso le cose non sono cambiate tanto in termini relativi perché anche 18 anni fa il settore occupava il 15% delle persone. Stessa sorte per il settore della sanità (con un aumento di circa 2’400 persone, ma con una percentuale ferma al 6%) e per i servizi di alloggio e ristorazione (fermi al 5% del totale).
Troviamo però anche delle differenze. Oggi il settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche all’interno del quale ci sono le professioni per esempio degli studi di architettura e d’ingegneria o quelle legali e di contabilità, occupa quasi 8 mila frontalieri che rappresentano l’11% del totale. Erano solo 1’000 nel 2002 (3%). Anche il settore delle attività amministrative e di servizi di supporto alle aziende (tra cui le aziende che si occupano di attività di ricerca, selezione, fornitura di personale) ha mostrato un importante aumento di quasi 6 mila persone, occupandone oggi il 9% del totale (2% nel 2002).
Per contro segnaliamo, nonostante l’aumento di 2’500 persone, la riduzione dell’importanza del settore delle costruzioni che passa dal 16% del 2002 all’11% di oggi.
Questi dati vanno sicuramente contestualizzati rapportandoli all’evoluzione della struttura economica del Ticino e lo faremo. Tuttavia ci consentono spunti di riflessione decisamente interessanti sulle professioni sviluppate nel corso di quasi un ventennio e sul cambiamento del ruolo ricoperto dai frontalieri nella nostra economia.

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Prodotto interno lordo pro capite: siamo ricchi e non ce ne accorgiamo

Magari non ve ne siete accorti, ma anche tra il 2017 e il 2018 il nostro benessere è aumentato notevolmente. Sì, proprio il benessere di noi ticinesi. Non mi credete? Guardate i dati appena pubblicati sull’andamento del prodotto interno lordo (PIL) cantonale. Nel 2018 il PIL cantonale ha superato la soglia dei 30 miliardi di franchi, crescendo di quasi il 4% E oltre il 4% è il contributo che noi diamo al PIL svizzero. A titolo di paragone Zurigo, la locomotiva nazionale, produce oltre il 22% dei beni e servizi.  

Ma forse questo non vi è sufficiente per capire quanto siamo benestanti in Ticino. Guardando alla classifica in termini di Prodotto interno lordo pro capite, con i nostri 87’612 franchi siamo il settimo Cantone più ricco. Addirittura il nostro reddito è superiore del 3.5% di quello medio nazionale. Eppure non vi siete mai accorti di essere tra i più ricchi al mondo? Andiamo a scoprire perché.

Innanzitutto precisiamo che non c’è nessun errore statistico né nessun complotto teso a mostrare una realtà differente. Il prodotto interno lordo pro capite cantonale è assolutamente calcolato nella maniera giusta. Si prende tutto il valore della produzione di beni e servizi fatta sul territorio in un anno e si divide per il numero degli abitanti di questo territorio. Per la maggior parte delle economie nazionali, questo indicatore è un buon indicatore. Certo, rimane il fatto che il dato presentato è un dato medio. I famosi polli di Trilussa ci ricordano bene che se tu mangi due polli e io non ne mangio nessuno, in media ne abbiamo mangiato uno a testa anche se il mio stomaco è vuoto.

Ma a queste obiezioni tecniche, nel caso del Ticino dobbiamo aggiungere quelle territoriali. Il PIL pro capite mette in relazione il luogo di lavoro dove le persone producono con il luogo di residenza dove le persone vivono. Questo non crea particolari problemi quando i flussi di persone tra due territori sono minimi oppure equilibrati. Ma questo non è ciò che avviene nel Cantone Ticino dove sappiamo esserci un ricorso importante alla manodopera frontaliera. In effetti, se i frontalieri in Svizzera sono circa il 4% della popolazione residente (340 mila su 8,6 milioni) in Ticino questa percentuale sale al 20% (70 mila su 350 mila abitanti).  Per capire quanto importante è il contributo dato alla produzione di queste 70 mila persone pensiamo che le persone occupate residenti in Ticino sono circa 160 mila. Questo significa che 1 prodotto su 3 è fabbricato da frontalieri. Per cui il contributo dato alla produzione ticinese è enorme. E qui nasce il problema. Quando calcoliamo il dato pro capite, si divide solo per il numero dei residenti e si trascurano i frontalieri.

Se senza nessuna presunzione di scientificità cerchiamo di correggere l’effetto “doping” aggiungendo il numero di frontalieri o togliendo il valore della loro produzione ecco che purtroppo ritorniamo in graduatoria tra gli ultimi posti.

Come spesso accade anche in questo caso è importante quindi andare oltre all’indicatore e riportarlo alla realtà dei fatti.

*Sotto trovate un mio contributo a Tempi Moderni di qualche anno fa sul tema (Tempi Moderni, RSI, 18.05.2017)

Tratto da Tempi Moderni – RSI- 18.05.2017
La versione audio: Prodotto interno lordo pro capite: siamo ricchi e non ce ne accorgiamo

Accordi: la Gran Bretagna vince, il Ticino perde

Babbo Natale ha portato in dono la firma di due accordi molto importanti: il primo tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea (di cui abbiamo parlato anche in questo blog) e il secondo tra la Svizzera e l’Italia.
Il primo accordo è stato siglato per chiarire alcuni dei punti relativi all’uscita della Gran Bretagna dal mercato unico europeo; il secondo ha visto trattative ancora più lunghe, 5 anni, e tratta dell’imposizione dei frontalieri che lavorano in Svizzera e vivono entro 20 chilometri dalla frontiera.
Se il primo riconosce come vincitrice dei negoziati la Gran Bretagna, il secondo non trova chiari vincitori, ma un sicuro perdente: il Cantone Ticino. Ma andiamo con ordine.
La Gran Bretagna ha ottenuto una riduzione del 25% del pesce pescato da pescherecci europei nelle sue acque; passati cinque anni e mezzo tornerà ad averne il pieno controllo. Se l’Unione Europea si dice soddisfatta per aver fissato un minimo di standard ambientale, sociale e in tema di diritti dei lavoratori che anche l’Inghilterra dovrà rispettare per sostenere le aziende con aiuti di Stato, in realtà potrà creare normative interne alle quali attenersi. Ma la vittoria più grande, anche se forse solo simbolica, riguarda il fatto che in caso di divergenze tra i due attori, non sarà la Corte di giustizia europea ad occuparsi di formulare un giudizio, ma un arbitrato indipendente. Quest’ultimo punto potrebbe essere interessante anche per la Svizzera e i suoi rapporti con l’Unione Europea (di cui ci occuperemo prossimamente). Dimenticavo, nessun dazio né quote per il commercio di merci, mentre sui servizi il lavoro di negoziato rimane tutta da fare.
Ora torniamo alla Svizzera, all’Italia, al Ticino e ai frontalieri. Questo accordo era ed è particolarmente sentito nel cantone Ticino perché si vive una realtà molto diversa rispetto al resto della Svizzera. Nel III trimestre del 2020 oltre 70 mila frontalieri varcavano il confine per lavorare in Ticino. Se calcoliamo la percentuale in termini di occupati e di posti di lavoro a tempo pieno, essa varia dal 30% al 36%; insomma, una fetta consistente del mercato del lavoro ticinese è rivolto a persone non residenti. Altra particolarità è quella del salario. Anche in questo caso, quello che succede in Ticino, non succede nel resto della Svizzera, dove la differenza tra salari degli svizzeri residenti e dei frontalieri è molto più bassa. Nel caso ticinese, la differenza del salario mensile lordo standardizzato* varia tra il 30% e il 35%, cioè significa che un frontaliere guadagna un terzo in meno di uno svizzero. Detto questo appare inutile spiegare perché a parità di qualifiche sia molto più conveniente assumere un frontaliere.
Orbene, l’attesa per la firma di questo accordo era molto grande. Si sperava che potesse in qualche modo compensare questa concorrenza che può diventare vero e proprio dumping salariale per l’intera economia cantonale. Purtroppo ciò non è avvenuto. Ed ecco un accordo fatto di tecnicismi e compromessi.
Primo: avremo due statuti. I frontalieri attuali e i frontalieri nuovi che saranno tali dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Si stima che possa entrare in vigore nel 2023, ma lasciateci dubitare che il governo italiano tenga fino alla sottoscrizione da parte del parlamento.
Per i frontalieri attuali nessun grande cambiamento: pagheranno sempre le imposte alla fonte in Svizzera che, fino al 2033, ne riverserà all’Italia il 40% (oggi il 38.5%). Dopo la Svizzera terrà tutto il gettito.
Invece i nuovi frontalieri pagheranno una parte delle imposte in Svizzera (calcolata sull’80% del salario) e una parte calcolata dal fisco italiano. L’accordo prevede di evitare la doppia imposizione che nei fatti significa che il massimo pagato nei due paesi potrà essere quello previsto in Italia (semplicemente si sconta quanto pagato in Svizzera).
Ecco, questi sono i punti principali dell’accordo che ha necessitato oltre 5 anni per essere sottoscritto. Forse, abbiamo sbagliato noi ad avere aspettative troppo elevate sul miglioramento per il mercato del lavoro ticinese; va beh, armiamoci di carta e penna e prepariamo la prossima lettera per Babbo Natale…
*Metà della popolazione guadagna di più e metà meno; semplificando potremmo pensare al salario che divide la popolazione a metà.

La versione audio: Accordi: la Gran Bretagna vince, il Ticino perde