L’Unione Europea sta vivendo delle ore molto agitate, sia sul fronte esterno che su quello interno.
La trattativa con la Gran Bretagna per siglare l’accordo definitivo di separazione potrebbe saltare da un momento all’altro. Dopo essersi messi d’accordo sulla maggior parte de temi, rimane il disaccordo su tre punti: la pesca, gli aiuti di Stato e la risoluzione delle dispute.
Per quello che riguarda la pesca, gli accordi in vigore prevedono il libero accesso alle acque. Negli scorsi anni i pescherecci europei si sono portati via circa il 60% del pesce pescato, lasciando alle aziende britanniche il restante 40%. Ora Johnson, primo ministro inglese, vorrebbe introdurre una quota dell’80% a vantaggio dei suoi pescherecci. La seconda controversia riguarda la possibilità di sostenere liberamente le aziende del proprio paese con gli aiuti statali: anche in questo caso le direttive europee per garantire la concorrenza tra le aziende mettono dei limiti importanti. Infine, l’ultimo punto riguarda l’istituzione che dovrà decidere nel caso in cui ci fosse una violazione dei patti tra le due parti. Evidentemente il Regno Unito non accetta che sia la Corte di giustizia europea ad esprimersi in questi casi. Difficile che le due parti trovino un accordo che consenta entro il 31 dicembre di seguire una via condivisa.
Ma i problemi dell’Unione Europea non finiscono qui: anche tra membri interni c’è maretta. L’Unione Europea vorrebbe mettere a disposizione dei Paesi membri 750 miliardi di euro per sostenerli nella crisi causata dal Covid-19; il programma si chiama Recovery Fund. Per la prima volta nella storia l’UE emetterebbe un debito pubblico comunitario. L’accesso a questi fondi, oltre che da criteri tecnici, è vincolato da una clausola che obbliga i Paesi al rispetto dello Stato di diritto. Ungheria e Polonia si sono opposte subito perché ritengono violata la sovranità nazionale. Nessun problema, direte voi, se non fosse che questo fondo potrà partire solo con il consenso di tutti i Paesi. Pare quindi che la presidenza di turno tedesca abbia dato un ultimatum alle due nazioni “ribelli”: nel caso in cui non sostenessero questo programma, gli altri 25 paesi ne metterebbero in atto un altro, con conseguenze finanziarie pesanti anche per loro.
Nelle prossime 24 ore dovremo conoscere l’esito di questi due tavoli di lavoro.
Certo è che, in questo momento, l’Unione Europea non naviga in acque tranquille.

Un pensiero riguardo “Acque agitate per l’Unione Europea… e non solo nel Regno Unito”