Crisi economica uguale intervento dello Stato. Quella che oggi ci sembra un’equazione scontata è frutto invece di una lunga evoluzione storica, e anche teorica. Quando John Maynard Keynes nel 1936 pubblica la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” ha di fronte a sé economie industriali occidentali dilaniate dalla disoccupazione e dalla sottoutilizzazione dei macchinari.
La teoria marginalista, che andava per la maggiore in quel periodo, sosteneva due concetti fondamentali: l’importanza della produzione e il raggiungimento automatico dell’equilibrio economico in tutti i mercati. Keynes li stravolgerà entrambi.
Ma vediamo che cosa sostenevano. Primo: si dava un’attenzione esclusiva all’offerta. Se noi produciamo dei beni dovremo pagare dei lavoratori che a loro volta compreranno con i salari quanto prodotto. Concetto abbastanza semplice, ma che non ha retto al confronto con la realtà degli anni ’30. Così come non ha retto l’idea che la disoccupazione si sarebbe risolta da sola portando il sistema in equilibrio. Il meccanismo è abbastanza intuitivo: se le risorse degli imprenditori sono limitate, nessun problema. La disoccupazione in eccesso porterà a un abbassamento dei salari cosicché gli imprenditori potranno assumere i lavoratori in esubero. Anche in questo caso, problema risolto. Peccato che aprendo la finestra lo scenario che si aveva davanti era quello di un tasso di disoccupazione elevato persistente e di macchinari inutilizzati.
E qui arriva il genio di Keynes che rivoluzionerà il pensiero economico. Innanzitutto l’economista sostiene che i sistemi economici debbano essere analizzati attraverso le variabili aggregate, come la produzione nazionale, l’occupazione totale, il livello dei prezzi generale. In particolare poi l’attenzione deve essere messa sulla domanda aggregata, che altro non è che quello che consumano le famiglie, che investono le aziende, che spende lo Stato e che si esporta all’estero. Ma non è tanto questa la rivoluzione, quanto quella di invertire il pensiero: non vendiamo tutto quello che produciamo, ma, al contrario, produciamo solo quello che vendiamo. E se immaginiamo di vendere poco, allora produrremo poco e questo causerà licenziamenti. Quando si verifica una situazione di disoccupazione siamo in presenza di una domanda che non è abbastanza grande rispetto all’offerta che garantisce il pieno impiego.
Ma Keynes si spinge oltre. Dimostra che in presenza di questo genere di crisi economica e di questa specifica disoccupazione, solamente un agente può intervenire per aumentare la domanda e quindi la produzione e quindi l’occupazione: questo agente è lo Stato. In effetti, se ci pensiamo, non possiamo obbligare i consumatori a comperare più prodotti come non possiamo obbligare gli imprenditori ad aumentare gli investimenti e, men che meno, abbiamo un potere sulla domanda dell’estero. Insomma solamente lo Stato in maniera diretta attraverso la politica fiscale o indiretta attraverso la politica monetaria può far aumentare la domanda.
Ma la grande accettazione della teoria di Keynes passa anche attraverso un punto che spesso viene sottovalutato: l’intervento dello Stato deve essere limitato esclusivamente ai momenti di crisi. E anche in questi momenti deve essere concessa la massima libertà ai consumatori e agli imprenditori. Keynes è un sostenitore di un capitalismo “saggio” e di un intervento dello Stato mirato.
E allora com’è possibile che le teorie keynesiane abbiano portato a una spesa pubblica fuori controllo? Purtroppo come spesso accade, prendiamo solo quello che ci piace. E così nel corso dei decenni la classe politica ha preferito non applicare la parte della teoria di Keynes che prescrive che nei momenti di crescita economica lo Stato debba ridurre la sua spesa pubblica e addirittura aumentare le entrate fiscali. Ma come dargli torto? Ve lo immaginate il successo elettorale di un politico che con tono fiero dichiara “Cittadine, cittadini sono veramente felice dell’ottimo momento economico che stiamo vivendo. Per questo abbiamo deciso di ridurvi i sussidi e nel contempo di aumentarvi le tasse.”

Keynes era un pioniere e grande economista,, ancora oggi e forse più che mai sarebbe da ascoltare, Ma oggi vi sono delle “variabili” nell`economia odierna che rendono la teoria di Keynes non più funzionante.
In particolare mi riferisco ad i costi (oggi divenuti enormi ) per beni “non materiali” e non fondamentali alla produzione a cui noi imprenditori dobbiamo far capo oggigiorno per continuare a lavorare, ( questi costi sono le spese per controlli SUVA, corsi di sicurezza da impartire al personale, corsi tecnici, corsi per saldatura a metalcostruttori ( che già con il loro apprendistato dovrebbero già essere capaci a saldare….) corsi per sapere come usare un trapano piuttosto che un paranco o un sollevatore, costi per tasse sul traffico pesante, costi per ottenere dei certificati effimeri,….e chi più ne ha più ne metta….
Questi costi sono aumentati a dismisura ed oggi incidono per più della metà del prezzo della produzione aziendale ( una esagerazione immane che sarà difficile continuare a sostenere nei prossimi anni )
Non da ultimo, nella teoria di Keynes sono previste le riduzioni salariali nei momenti di crisi in modo da controbilanciare il sistema…..quindi difatto (esattamente come dovrebbe accadere per l`aumento delle tasse e la diminuzione dell`intervento statale) questo importante punto viene a mancare per fare in modo che la teoria funzioni ( difatto a quanto so non è mai successo in Svizzera che vengano ridotti i salari …ma parimetri succede che arrivano le crisi finanziarie,….) quindi è logico che prima o poi il sistema attuale ( se non corretto… ) presto si romperà.
Nella sostanza la mia considerazione personale è che il nostro sistema odierno oggi offre troppi posti di lavoro a persone che non creano “prodotto”. La bilancia del nostro sistema oggi è troppo rivolta a offerenti di prestazioni “effimere” (o di servizio). che disturbano assai l`equilibrio del buon funzionamento della nostra economia. ( per farla breve…troppa burocrazia, troppi costi del personale e sempre meno lavoratori nel ramo della produzione )
Questa è la mia personale opinione da umile imprenditore.
un caro saluto
Emanuele Patocchi
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