Che cosa hanno in comune Keynes e la Covid-19? L’incertezza

Questa mattina sono stata ospite della trasmissione Millevoci di Rete Uno (sotto il link). Abbiamo parlato di certezze in ambito economico, psicologico e artistico.
Da un punto di vista economico una delle più grandi rivoluzioni del pensiero è stata proprio quella di riconoscere l’esistenza dell’incertezza. Keynes ha portato un cambiamento epocale. Fino a quel momento la teoria dominante, definita neoclassica, riteneva che tutte le dinamiche economiche lasciate a loro stesse avrebbero condotto a un equilibrio. Questo significava che il mercato da solo avrebbe trovato la corretta allocazione dei fattori. L’equilibrio automatico valeva per il mercato dei beni, della moneta, dei servizi e anche per quello del lavoro. Il fattore che consentiva di giungere all’incrocio perfetto tra domanda e offerta era il prezzo. Keynes stravolge il pensiero sostenendo che nella realtà il contesto in cui gli agenti economici prendono decisioni è l’incertezza. Anche se sembra una banalità, questa considerazione ha un impatto devastante sulla teoria economica neoclassica mettendo in dubbio la natura stessa dell’economia. Per Keynes l’economia è una disciplina sociale e non una scienza esatta. E deve essere trattata così. Questo implica che non esistono leggi universali né soluzioni univoche, anzi.
Quali possono essere le implicazioni economiche di questa incertezza? I consumatori se non hanno fiducia non usano il reddito e consumano meno diminuendo la domanda aggregata. In risposta la produzione diminuisce. Le aziende smettono di investire. Così si presenta lo squilibrio tra domanda e offerta potenziale (che è quella che garantisce la piena occupazione delle persone e dei macchinari). Questo significa che siamo in presenza di disoccupazione. Keynes nella sua teoria mostra perché non esista nessun automatismo che riporti il sistema in equilibrio. Anche perché l’equilibrio sul mercato del lavoro dovrebbe passare dalla riduzione dei salari che consentirebbe di aumentare il numero di occupati. Al contrario, Keynes sostiene che in queste circostanze l’unica possibilità di aiutare l’economia a riprendersi e tornare a viaggiare sulle proprie gambe è l’intervento dello Stato. Cosa accomuna questa teoria con la realtà che stiamo vivendo ora?
Le previsioni economiche appena pubblicate dalla Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) prevedono quest’anno un aumento del Prodotto Interno Lordo del 3% (PIL). Dai dati emergerebbe una crescita generalizzata dei consumi privati (+3.7%), della spesa pubblica (+4.2%), degli investimenti (soprattutto in macchinari, +4%) e delle esportazioni (da segnalare il +13.9% di quelle dei servizi). La conseguenza sarebbe la creazione di qualche impiego in più e un aumento contenuto della disoccupazione a un tasso del 3.3%.
Guardando questi dati capiamo subito che lo Stato sta rispondendo all’incertezza e alla crisi sostenendo l’economia, ossia facendo proprio quanto prescritto da Keynes. Probabilmente sarà necessario un sostegno ancora più grande, perché questi dati positivi si fondano su tanti “se”. Affinché le cose procedano in questa direzione non ci dovranno essere nuove chiusure a livello nazionale e internazionale, la campagna di vaccinazione non dovrà subire ulteriori ritardi e le varianti non dovranno creare nuovi focolai.
Insomma, esattamente come diceva Keynes, l’incertezza è il contesto in cui gli agenti economici devono prendere decisioni. E lo Stato ha tutte le possibilità di farlo bene.

La versione audio: Che cosa hanno in comune Keynes e la Covid-19? L’incertezza
Millevoci – Rete Uno – RSI – 18.03.2021
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2 pensieri riguardo “Che cosa hanno in comune Keynes e la Covid-19? L’incertezza

  1. Buongiorno Gentile Professoressa Amalia!
    Apprezzo la Sua fatica ed il Suo lavoro nel blog. Lei svolge opera che toccherebbe a tutti coloro che hanno avuto fortuna e merito di aver acquisito formazione e competenze (filosofi, storici, medici, economisti, ingegneri, ecc), ossia di farne partecipe il volgo e l’inclita…
    Lei lavora per una parrocchia che non è la mia…ed io (che, appena, so vergare la O con l’aiuto di un bicchiere) non sarò quello che vuole contestare la teoria di Keynes…
    Pero: una cosa piccola so per certa: QUEL CHE LO STATO DA’, PRIMA DEVE PRENDERSELO! E lo Stato non è certo un buon imprenditore…
    Ergo: ricorrendo alla saggezza antica, espressa nel nostro buon dialetto di matrice lombarda: “fin che ghe n’è, viva il Re; quand ghe n’è pü, crepa l’asan e quel che gh’è sü”…
    Grazie, cordiali saluti!
    F.G.

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    1. Caro Sig. Gilardi, la ringrazio di cuore per le sue parole. E in merito a Keynes e al suo/nostro pensiero posso dirle che in realtà è molto più vicino di quello che pensa. In effetti, la teoria Keynesiana dice che lo Stato dovrebbe spendere poco nei periodi buoni (far cassetta, mi passi il termine), intervenire quando le cose vanno male per rilanciare l’economia e poi ritirarsi nuovamente. Se mi permette la parte difficile spesso da mettere in pratica dalla classe politica è fare il passo indietro. Si immagina il successo elettorale per un politico che toglie sussidi e contributi? Però affinché si conservi un equilibrio delle finanze pubbliche è assolutamente necessario essere keynesiani sempre, sia quando c’è da spendere che quando c’è da risparmiare. Un caro saluto e grazie mille dello spunto di riflessione, Amalia

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