La carne? Solo per i ricchi

Qualche giorno fa Urs Brändli il presidente di Bio Suisse, la principale organizzazione di promozione dell’agricoltura biologica in Svizzera, ha affermato che “il prezzo degli alimentari deve salire”. Come me tanti saranno sobbalzati sulla sedia.
La sua tesi è che non sono tanto i prodotti biologici a costare tanto quanto gli altri prodotti a costare troppo poco. La soluzione? Introdurre tasse così da alzare i prezzi dei beni convenienti e rendere competitivi gli acquisti dei prodotti bio. In aggiunta, specifica che uno dei primi campi in cui bisognerebbe intervenire è quello della carne.
Da economista mi sono chiesta se il mondo abbia cominciato a girare al contrario oppure se le leggi economiche siano state stravolte di recente.
Che molti beni prodotti non contengano tutti i costi generati (le famose esternalità negative) è una cosa nota e risaputa e nessuno la mette in dubbio. Utilizzare però questo argomento per educare i cittadini a vivere la vita che alcuni ritengono “giusta” inizia a essere anche in Svizzera un’abitudine pericolosa.
Ancora più pericolosa lo è se mette in discussione progressi che consentono oggi anche alle classi sociali meno benestanti di avere accesso a beni e servizi cinquant’anni fa riservati solo ai ricchi.
Sì perché il progresso tecnologico e le economie di scala hanno consentito alle aziende di abbassare notevolmente i costi di produzione e quindi di ridurre i prezzi di vendita.
Ed è proprio questa la logica che deve portare le aziende a essere più efficienti: la riduzione dei costi consente di abbassare i prezzi e di conquistare fette di mercato.
Al contrario il presidente di Bio Suisse vorrebbe che sia la mano dello Stato a rendere i prodotti di cui lui è rappresentante maggiormente venduti. E che cosa suggerisce? Nuove tasse. Nuove tasse che come al solito vanno a gravare sulle famiglie più povere. D’altra parte, perché permettere ai figli di persone che guadagnano poco di viaggiare per il mondo in aereo e scoprire nuove realtà? O ancora perché non obbligarli a utilizzare i mezzi pubblici vietando l’acquisto di automobili poco costose? E adesso perché permettere a queste famiglie di mangiare della carne?
Più volte il popolo svizzero si è espresso contro i divieti, ma anche questo genere di tasse lo diventano, soprattutto per le persone che hanno poca disponibilità economica.
Vogliamo davvero ritornare ad una società che viaggia a due velocità? E non è che il progresso economico e sociale stia proprio nel fatto che gli individui abbiano le risorse per fare le loro scelte in maniera libera?
Ma forse come in ogni epoca anche oggi i nobili hanno bisogno di un popolo affamato. E non per niente riecheggia nelle nostre orecchie la nobildonna che disse: “se non hanno più pane, che mangino brioches“.

La carne? Solo per i ricchi

Prodotto interno lordo pro capite: siamo ricchi e non ce ne accorgiamo

Magari non ve ne siete accorti, ma anche tra il 2017 e il 2018 il nostro benessere è aumentato notevolmente. Sì, proprio il benessere di noi ticinesi. Non mi credete? Guardate i dati appena pubblicati sull’andamento del prodotto interno lordo (PIL) cantonale. Nel 2018 il PIL cantonale ha superato la soglia dei 30 miliardi di franchi, crescendo di quasi il 4% E oltre il 4% è il contributo che noi diamo al PIL svizzero. A titolo di paragone Zurigo, la locomotiva nazionale, produce oltre il 22% dei beni e servizi.  

Ma forse questo non vi è sufficiente per capire quanto siamo benestanti in Ticino. Guardando alla classifica in termini di Prodotto interno lordo pro capite, con i nostri 87’612 franchi siamo il settimo Cantone più ricco. Addirittura il nostro reddito è superiore del 3.5% di quello medio nazionale. Eppure non vi siete mai accorti di essere tra i più ricchi al mondo? Andiamo a scoprire perché.

Innanzitutto precisiamo che non c’è nessun errore statistico né nessun complotto teso a mostrare una realtà differente. Il prodotto interno lordo pro capite cantonale è assolutamente calcolato nella maniera giusta. Si prende tutto il valore della produzione di beni e servizi fatta sul territorio in un anno e si divide per il numero degli abitanti di questo territorio. Per la maggior parte delle economie nazionali, questo indicatore è un buon indicatore. Certo, rimane il fatto che il dato presentato è un dato medio. I famosi polli di Trilussa ci ricordano bene che se tu mangi due polli e io non ne mangio nessuno, in media ne abbiamo mangiato uno a testa anche se il mio stomaco è vuoto.

Ma a queste obiezioni tecniche, nel caso del Ticino dobbiamo aggiungere quelle territoriali. Il PIL pro capite mette in relazione il luogo di lavoro dove le persone producono con il luogo di residenza dove le persone vivono. Questo non crea particolari problemi quando i flussi di persone tra due territori sono minimi oppure equilibrati. Ma questo non è ciò che avviene nel Cantone Ticino dove sappiamo esserci un ricorso importante alla manodopera frontaliera. In effetti, se i frontalieri in Svizzera sono circa il 4% della popolazione residente (340 mila su 8,6 milioni) in Ticino questa percentuale sale al 20% (70 mila su 350 mila abitanti).  Per capire quanto importante è il contributo dato alla produzione di queste 70 mila persone pensiamo che le persone occupate residenti in Ticino sono circa 160 mila. Questo significa che 1 prodotto su 3 è fabbricato da frontalieri. Per cui il contributo dato alla produzione ticinese è enorme. E qui nasce il problema. Quando calcoliamo il dato pro capite, si divide solo per il numero dei residenti e si trascurano i frontalieri.

Se senza nessuna presunzione di scientificità cerchiamo di correggere l’effetto “doping” aggiungendo il numero di frontalieri o togliendo il valore della loro produzione ecco che purtroppo ritorniamo in graduatoria tra gli ultimi posti.

Come spesso accade anche in questo caso è importante quindi andare oltre all’indicatore e riportarlo alla realtà dei fatti.

*Sotto trovate un mio contributo a Tempi Moderni di qualche anno fa sul tema (Tempi Moderni, RSI, 18.05.2017)

Tratto da Tempi Moderni – RSI- 18.05.2017
La versione audio: Prodotto interno lordo pro capite: siamo ricchi e non ce ne accorgiamo

Patrimoni miliardari immuni dal Covid-19

Il Bloomberg Billionaires Index fornisce una classifica aggiornata quotidianamente delle persone più ricche al mondo. Per ogni miliardario dà la composizione del suo patrimonio. Certo è lo stesso esercizio che facciamo anche noi quando compiliamo la dichiarazione delle imposte e dobbiamo stimare la nostra sostanza. Ma se andate a spulciare uno dei tanti profili dei miliardari vi renderete conto che c’è una bella differenza tra i nostri patrimoni e i loro. Partecipazioni in società quotate in borsa, sconti da applicare in funzione dei rischi legati ai Paesi in cui si detengono partecipazioni pubbliche, valutazioni degli hedge fund, stima della liquidità; insomma deve essere proprio difficile capire quanto si è ricchi quando si è veramente ricchi.
Una cosa però è certa. Anche il COVID-19 colpisce in maniera diversa le classi sociali. Mentre milioni di persone hanno perso il lavoro e stanno chiudendo le loro attività a causa della pandemia, possiamo tirare un sospiro di sollievo perché i 500 miliardari più ricchi della terra hanno visto il loro patrimonio aumentare anche quest’anno. E pensare che subito dopo il primo lockdown mondiale eravamo preoccupati per la loro sorte, dato che i loro patrimoni avevano mostrato perdite importanti.
La notizia bizzarra è che addirittura sono i miliardari cinesi (Wuhan vi ricorda qualcosa?) ad aver visto la loro ricchezza aumentare di più: in effetti, essa è cresciuta quasi del 54%. Saremmo tentati di pensare a uno strano scherzo del destino se non fosse che anche negli anni passati la Cina ha mostrato crescite impressionanti. Non dimentichiamo che proprio studi recenti affermano che la Cina diventerà la prima potenza mondiale scavalcando gli Stati Uniti in anticipo rispetto a quanto previsto.
Ma non preoccupiamoci troppo dei miliardari statunitensi: anche loro hanno visto aumentare la loro ricchezza di oltre il 25%, un po’ di più dei “cugini” inglesi. In Europa, dove la ricchezza è aumentata mediamente “solo” del 15%, c’è anche chi si è impoverito: i miliardari spagnoli (quasi del -12%) e quelli ciprioti (-8%).
Naturalmente la ricchezza dipende dalla performance dei diversi settori economici: i servizi, la sanità, le tecnologie hanno registrato guadagni superiori al 50%, le materie prime “solo” del 32% e i settori industriali del 26%.
Ma com’è possibile che ci siano delle disuguaglianze così grandi? E la storia ha sempre mostrato queste differenze?
Da una parte è vero che la teoria economica ci insegna che per raggiungere lo sviluppo è necessario passare attraverso una certa concentrazione della ricchezza produttiva. Averla nelle mani di poche famiglie consente di accumulare macchinari e mezzi per produrre. Oggi però la situazione che viviamo è ben diversa.
Le differenze e le disuguaglianze stanno diventando insostenibili. Oltre a creare tensioni importanti tra le classi sociali, esse non sono più ritenute necessarie allo sviluppo economico, anzi.
A onor del vero, dall’inizio del XX secolo l’intervento dello Stato, le imposte progressive, l’istruzione pubblica e la maggiore solidarietà hanno ridotto le disuguaglianze. Queste politiche hanno portato nel 1980 in Europa il 10% più ricco a possedere circa il 40-50% del patrimonio. Purtroppo questo trend positivo si è arrestato attorno agli anni Ottanta, con le politiche liberiste di deregolamentazione e globalizzazione di Ronald Reagan e Margaret Thatcher oltre a quelle della finanza internazionale.
Ora, questa nuova crisi dovrà essere l’occasione per ripensare anche alla validità delle nostre politiche fiscali e soprattutto ai meccanismi che consentono un’accumulazione eccessiva.

La versione audio: Patrimoni miliardari immuni dal Covid-19