In Ticino avere un impiego non garantisce una vita dignitosa

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Negli ultimi giorni, un comunicato dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) ha riportato l’attenzione su una tendenza preoccupante: in Svizzera è aumentato il numero di persone che dipendono dalle prestazioni complementari. Un dato che non riguarda solo le finanze dello Stato, ma riflette un disagio crescente: quello di migliaia di persone che, pur vivendo in uno dei Paesi più ricchi al mondo, faticano a coprire i bisogni essenziali.
Nel 2023, l’8% della popolazione svizzera viveva sotto la soglia ufficiale di povertà: 2’315 franchi al mese per una persona sola, 4’051 per una famiglia con due figli. E se si guarda a chi dispone di meno del 60% del reddito mediano — cioè al “rischio di povertà” — la quota è ancora più elevata. Ma la povertà non è solo questione di reddito. È anche deprivazione. È non riuscire a pagare una bolletta imprevista. È rinunciare a un pasto completo, a una visita medica, a una settimana di vacanza, a un minimo di vita sociale. È vivere con l’ansia costante di non farcela.
Le persone più colpite sono sempre le stesse: gli anziani soli, le famiglie monoparentali, chi ha un lavoro precario, chi ha perso il lavoro dopo i cinquant’anni. E crescono i working poor, persone che lavorano, ma non guadagnano abbastanza per vivere con dignità. Questo dovrebbe farci riflettere sul senso stesso del lavoro oggi: non basta “avere un impiego” se quell’impiego non garantisce una vita dignitosa senza l’aiuto dello Stato.
In Ticino la situazione è ancora più delicata. Il tasso di povertà è superiore alla media nazionale e la deprivazione materiale colpisce con più forza. Salari bassi, precarietà diffusa, giovani che se ne vanno e over 50 esclusi dal mercato del lavoro: è un mix che pesa. Anche la forte presenza di frontalieri influisce sulle dinamiche occupazionali e salariali. Il tasso di disoccupazione secondo la definizione ILO è il più alto della Svizzera.
Il nostro sistema sociale cantonale funziona, ma è sotto pressione. Le prestazioni complementari, i sussidi cassa malati, l’aiuto sociale, gli assegni familiari: tutto questo tiene a galla migliaia di persone. Ma da solo non basta. Servono politiche attive per il lavoro, investimenti nella formazione, un vero sostegno alla riqualifica professionale.
Non possiamo accettare che la povertà diventi una zona d’ombra normale nel nostro sistema. Non è normale. È il risultato di scelte politiche o della mancanza di scelte. Ogni persona lasciata indietro è una sconfitta collettiva. È nostro dovere, come istituzioni, ma anche come cittadini, far sì che nessuno debba scegliere tra pagare l’affitto o andare dal medico, tra accendere il riscaldamento o fare la spesa.
Guardare in faccia la povertà non basta. Serve il coraggio di intervenire. Serve volontà politica. E serve adesso.

Articolo pubblicato da L’Osservatore, 24.05.2025

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Qui trovate il link di una conferenza “La povertà in Svizzera e in Ticino” tenuta a Coldrerio il 22.05.2025

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Ticinesi? Sempre più poveri

I ticinesi sono sempre più poveri. I dati di Eurostat appena pubblicati non lasciano, purtroppo, alcun dubbio: il Canton Ticino è oggi una delle regioni europee a maggior rischio di povertà o esclusione sociale. Nella graduatoria, la nostra regione si trova in condizioni peggiori rispetto alla maggior parte delle aree di Grecia, Romania, Ungheria, Croazia, Polonia, Italia e Spagna.
A livello nazionale, la Svizzera si attesta intorno alla media dell’Unione Europea, con il 19.5% della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale (contro una media UE del 21,4%). Parliamo di una persona su cinque.
Nei Paesi Bassi, Finlandia, Norvegia, Austria, Danimarca e Svezia, la situazione è migliore di quella nazionale svizzera e già questo dovrebbe farci riflettere. Ma il quadro diventa ancora più drammatico quando si osservano i dati regionali: in Ticino, nel 2023, oltre il 35% della popolazione vive a rischio povertà o esclusione sociale. Un dato spaventoso: più di una persona su tre non guadagna abbastanza per vivere al livello del resto della sua comunità di appartenenza. In questa classifica, il Ticino è tristemente posizionato al 225º posto su 243 regioni analizzate, in sostanza solo diciotto fanno peggio di noi in tutta Europa.
Naturalmente, confrontare regioni diverse tra loro senza riferirsi a grandezze assolute può avere dei limiti. Per esempio, l’Emilia-Romagna, la seconda regione italiana per benessere, ha “solo” il 7% di persone a rischio povertà, ma conta una popolazione di 4,5 milioni di persone contro le 350 mila del Ticino. O ancora, il livello assoluto di benessere può essere molto diverso tra le nazioni. E allora, se il confronto statistico tra regioni ci sembra avere dei limiti, analizziamo invece lo sviluppo della situazione ticinese nel tempo. Nel 2020, il rischio di povertà toccava meno di una persona su quattro (24.2%). In soli tre anni, siamo saliti al 35.1%. Una persona su tre. Purtroppo, come si vede, la situazione in Ticino è peggiorata drasticamente.
E se le cose non cambiano, la situazione è destinata a peggiorare. Sono decenni che ricordiamo che i salari ticinesi sono il 20% più bassi della media svizzera, con differenze che toccano persino il 35-40% rispetto a regioni come Zurigo. A questa mancanza di reddito si aggiunge la beffa: i costi di molte voci essenziali nel nostro Cantone sono più elevati che nel resto della Svizzera. I premi cassa malati, per esempio, possono arrivare a essere il doppio rispetto ad altri cantoni. Sì, il doppio, avete letto bene. Anche le imposte di circolazione, le tariffe dell’energia elettrica, le tasse sul registro fondiario, le imposte immobiliari, e persino la benzina possono costare di più. I dati non mentono.
I dati però sono aridi. Quando si parla con le persone, si tocca il lato umano di questa catastrofe sociale in via di compimento. Questa mattina, una gentile signora che faceva la spesa mi ha detto “Sa, signora Mirante, dobbiamo proprio fare tutti “economia” in questo momento. Per comprare un pezzo di formaggio ho confrontato il prezzo al chilo di tre marche diverse. Se le cose non cambiano, noi ticinesi siamo messi davvero male”.
Sì, cara signora lei ha ragione. Anzi, già ora noi ticinesi siamo messi molto male…

Articolo pubblicato dai portali Ticinonline, Ticinonews, Liberatv,…

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Ticino: sempre più poveri e infelici

I fatti sono testardi.
Denuncio da tempo la situazione economica del nostro cantone e il generale e graduale impoverimento. E per questo sono spesso etichettata come disfattista o populista. La mia colpa? Ingigantire fenomeni “tutto sommato contenuti” se non addirittura, disturbare il manovratore.
Sfortunatamente, un’altra volta “cassandra” ha ragione. Vediamoli, questi fatti.
Il tasso di povertà in Ticino (2022) è del 12.8%, quattro punti sopra quello svizzero (8.2%). I ticinesi che non guadagnano abbastanza per vivere sono quasi 45 mila. Questi poveri (chiamiamoli con il loro nome!) vivono con al massimo 2’248 franchi al mese se sono soli o 4’010 franchi per due adulti con due bambini. Per darvi una misura ulteriore del problema, i ticinesi in Svizzera sono circa il 4%. I poveri ticinesi sono invece il 6.4%. rispetto ai poveri in Svizzera.
E la situazione è peggiorata rispetto all’anno prima, quando i poveri in Ticino erano 3’400 in meno.
Il nostro “povero” cantone vince anche la poco invidiabile classifica dei working poor, ossia coloro che pur avendo un lavoro non riescono a guadagnare abbastanza: sono oltre 7’000 persone. Il nostro tasso è del 5% contro una media nazionale del 3.8%. Siamo sul podio anche qui, ahimé.
Siamo al primo posto in Svizzera anche per il rischio di povertà. Mediamente a livello nazionale una persona su sette guadagna meno del 60% del reddito mediano, in Ticino siamo a più di una persona su cinque.
Se consideriamo il rischio di povertà a un livello ancora più precario, ossia le persone che guadagnano meno della metà del salario mediano, scopriamo che queste sono ben il 13.5% dei cittadini del Cantone (a livello nazionale la percentuale è del 9.2%). E questo numero di persone è aumentato di novemila unità dal 2021 al 2022: oggi sono quasi 47 mila.
Non è per niente un fenomeno “tutto sommato contenuto”.
Dietro queste cifre e percentuali, ci sono persone con le loro difficoltà quotidiane per vivere: persone che non si possono permettere una spesa imprevista, non possono (mai!) andare in vacanza, hanno arretrati di pagamenti, non possono comperare mobili nuovi. Tutte le cose che per il resto della popolazione sono acquisite, scontate, per questa gente sono un lusso inarrivabile.
E oltre questi dati, comincia ad emergere una rottura del tessuto sociale: in Ticino le persone che dichiarano di poter contare in caso di bisogno sull’aiuto morale, materiale o finanziario di terzi sono meno della media svizzera. Non siamo “solo” più poveri, siamo anche più soli.
Il Ticino è la regione svizzera dove più persone dichiarano di non sentirsi mai felici, sono insoddisfatte della propria situazione finanziaria, faticano a mettere soldi da parte e a sbarcare il lunario.
E non a caso il Ticino è anche il Cantone svizzero con il grado più basso di fiducia nelle istituzioni politiche. Triste, preoccupante. Ma non sorprendente.
È, come dicono gli americani, un incidente ferroviario al rallentatore. In passato la classe politica poteva far finta di non vedere la crisi, proprio per il suo procedere graduale. Ora questo treno sta accelerando e le conseguenze del problema, e della sua negazione a livello politico istituzionale, stanno per piombarci addosso in tutta la loro gravità.
L’inazione su questi temi non è più ormai una mancanza minore: è una colpa grave nei confronti dei nostri concittadini.

Pubblicato da diversi portali: TIO, Ticinonews, ETiCinforma

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Salari in Ticino: tutti giù per terra

In Ticino, per molti il sogno di una vita migliore si sta dissolvendo come neve al sole. Lo suggeriscono i dati sui salari pubblicati dall’ufficio federale di statistica. Queste cifre confermano una tendenza che denunciamo da tempo. La teoria economica, con le sue promesse di prosperità legata alla crescita, sembra beffarsi di noi, lasciandoci a mani vuote. Un lieve aumento dei salari rispetto al 2020? Una misera consolazione, quando si scopre che i redditi più alti hanno subito tagli drastici. Un vero e proprio schiaffo per chi ha sempre dato il massimo, tra questi i residenti svizzeri che sono i più colpiti da questa diminuzione.

Non siamo di fronte a una semplice battuta d’arresto, ma a quella che potrebbe diventare, se non si fa nulla, una vera e propria emergenza sociale: nemmeno i salari dei lavoratori più qualificati, come chi ha una formazione superiore, sono al sicuro. I settori che annunciano aumenti sono pochissimi, ad es. la ristorazione, la maggior parte invece lamenta diminuzioni importanti dei salari. In generale, vediamo i salari scendere nelle attività manifatturiere, nei servizi finanziari e assicurativi, nelle attività legali e in quelle legate alla contabilità, nelle professioni tecniche e scientifiche e in quelle della sanità e socialità.

E poi c’è la favola della riduzione del divario salariale tra uomini e donne. La beffa oltre al danno: in realtà, si tratta di un’uguaglianza al ribasso, dove tutti perdono, senza eccezioni. Il differenziale si rimpicciolisce non tanto perché le donne guadagnano di più, quanto perché gli uomini guadagnano di meno. Questa parità al ribasso non è quella che vogliamo.

Forse adesso che la crisi tocca anche i lavoratori più “fortunati” che dovrebbero essere i meglio rappresentati politicamente, i partiti storici finalmente si decideranno a fare qualcosa in difesa dei nostri salari.

Ma data la paralisi politica degli ultimi anni, ci vorrebbe un miracolo. Si potrebbe cominciare smettendo di negare la gravità della situazione con narrazioni di comodo. Il Ticino ha un problema di salari che adesso tocca anche i lavoratori meglio qualificati. La classe politica deve smetterla di guardare dall’altra parte. I nostri concittadini meritano di meglio.

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In Ticino abitanti sempre più poveri

L’anno scorso siamo diventati tutti, o quasi, più poveri. Nessuno di noi aveva dubbi che il nostro potere di acquisto si fosse ridotto. Ma ora lo ha confermato anche la statistica. Nel 2022 i salari nominali dell’intera economia svizzera sono aumentati dello 0.9% rispetto all’anno precedente. Questa notizia dovrebbe renderci felici, se non fosse che l’aumento deve essere paragonato con la sua “effettiva” capacità di acquistare beni e servizi. Ed è qui che entra in gioco il tasso di inflazione, che misura l’andamento generale dei prezzi. Nel 2022 l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 2.8%. Questo significa che il nostro carrello della spesa, che nel 2021 costava 100 CHF, nel 2022 costa 102.80. Pazienza, penserete voi, tanto abbiamo avuto un aumento dei salari. Sì e no. In effetti l’aumento dei salari ci ha consentito di guadagnare 100.90 CHF; capiamo subito che l’aumento di stipendio non è sufficiente a compensare la crescita dei prezzi.

E in effetti, i salari reali hanno subito una riduzione dell’1.9%. Detta così sembra una riduzione piccola. E allora perché la nostra sensazione è di essere diventati molto più poveri?

Innanzitutto ricordiamo che l’indice dei prezzi al consumo misura l’andamento esclusivamente dei prezzi dei beni e dei servizi che sono consumati in maniera finale. Questo indicatore quindi non tiene conto ad esempio dell’andamento delle imposte o delle assicurazioni. E per fortuna che nel 2022 l’indice dei premi dell’assicurazione malattia aveva mostrato una riduzione dello 0.5%, fatto questo che ci aveva illusi e non ci aveva preparati alla stangata del 6.6% del 2023. L’indice dei prezzi al consumo non è un indicatore del costo della vita.

In aggiunta la statistica dice anche che non tutti i settori hanno registrato lo stesso andamento. Per esempio le persone che hanno lavorato per la chimica e la farmaceutica hanno visto aumentare il loro reddito in maniera reale dell’1.2%. Ma sono stati gli unici fortunati. L’industria delle materie plastiche ha visto ridurre i salari del 5%, quella dei prodotti elettronici e dell’orologeria del 3.4% e quello delle costruzioni del 2.4%.

Non è andata molto meglio al settore terziario, in cui nessuno ha registrato aumenti. Le perdite del potere d’acquisto variano dal 4.2% delle attività artistiche allo 0.1% delle assicurazioni.

Oltre a queste differenze, non possiamo dimenticare le differenze regionali. Sappiamo che in Ticino si guadagna tra il 16 e il 20% in meno del resto della Svizzera e non abbiamo ragioni di credere che in questa regione siano stati dati aumenti salariali migliori rispetto alle altre. Di conseguenza è abbastanza ragionevole supporre che, una volta di più, nel Cantone Ticino i suoi cittadini siano diventati ancora più poveri. E purtroppo temiamo che la prossima statistica confermerà questa realtà.

Pubblicato da L’Osservatore, 29.04.2023

I disoccupati che non si vedono e non si contano

Lo sappiamo. Ogni volta che la Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) pubblica i dati sulla disoccupazione il nostro stupore aumenta.

Non si tratta di distorsione della realtà oppure di percezione sbagliata da parte del pubblico, come qualche “esperto” vuole farci credere. Lo diciamo da parecchio tempo: la statistica ufficiale della SECO conteggia esclusivamente il numero di persone iscritte presso gli uffici regionali di collocamento. E questo non è un buon indicatore dello stato di salute del mercato del lavoro in Ticino. Perlomeno non è un indicatore sufficiente a trarre conclusioni tanto ottimistiche.

Naturalmente la SECO non ha nessuna intenzione di nascondere i fatti, né intende dipingere una realtà più rosea del vero. Questo indicatore, ossia il numero di persone iscritte agli URC, dà le informazioni che contiene e che gli sono richieste: cioè esso enumera esclusivamente le persone in cerca di lavoro che sono anche iscritte a un ufficio di collocamento. È un indicatore, quindi, reale ma parziale, anzi parzialissimo.

La domanda che dovrebbero farsi commentatori e analisti che spesso utilizzano questi indicatori a scatola chiusa è un’altra: sono davvero rappresentativi della situazione ticinese?

La risposta breve è no.

E non bisogna essere luminari o specialisti per dare questa risposta, basta vivere e conoscere il territorio. Ambienti di diversa estrazione amano diffondere narrazioni appaganti, gratificanti o anche soltanto analgesiche. Non solo siamo in presenza di una quasi completa occupazione. Addirittura, in Ticino, avremmo un mercato e un’economia che non trova i profili altamente qualificati che cerca. E, ahinoi, non li trova nonostante la fatica e l’impegno che mettiamo nella formazione giovanile (per non parlare della fatica e dell’impegno di quei giovani medesimi).

Ma questa è appunto una narrazione, non la realtà del Canton Ticino. I nostri giovani qualificati, capaci e competenti si armano di bagagli e di biglietto del treno per andare a lavorare oltre Gottardo dove sono visti per quello che sono: giovani in gamba, con le qualifiche necessarie e la necessaria competenza.

Qui da noi, i nostri cinquantenni che perdono il posto di lavoro e cercano un impiego che ne riconosca esperienza e capacità, trovano solo porte chiuse. La situazione sta diventando talmente invivibile in questo cantone che persino alla fine della vita professionale con quanto messo da parte negli anni e con quanto percepito dai sistemi previdenziali non si riesce più a vivere in questo territorio. Centinaia di persone prossime al pensionamento stanno pianificando la loro partenza.

Di fronte a questa situazione cosa fa la politica? Poco, o niente. Si narrano la storia di un cantone innovativo, competitivo, culla del progresso tecnologico e all’avanguardia in Svizzera se non addirittura in Europa. Peccato che tutti i giorni quando ci alziamo, la maggioranza di noi, fa i conti non con le storie ma con la realtà.

E la realtà è ben diversa. Ma attenzione questo non significa che tutto sia perduto, anzi. Abbiamo tutte le possibilità e le potenzialità per cambiare, dobbiamo solo volerlo. Ma dobbiamo avere la volontà, come prima cosa, di vedere la realtà e smetterla di credere alle favole. Non siamo nel paese del Bengodi, non siamo la Silicon Valley. Siamo un cantone periferico, meno competitivo di quanto potrebbe e dovrebbe essere e le cui classi dirigenti faticano a rendersene conto. Oppure, non vogliono farlo.

La versione audio: I disoccupati che non si vedono e non si contano

Il Natale degli Invisibili

Il periodo di Natale è molto bello e rilassante per chi ha una famiglia vicino e può passarlo con persone care. E per chi non ha preoccupazioni economiche eccessive.
Molti invece vivono male queste feste perché hanno perso qualcuno e mai come a Natale la mancanza si fa sentire.
Altri ancora, e sono tanti, sono confrontati con difficoltà economiche che diventano particolarmente dolorose in questi giorni sfavillanti di luci, con l’abbondanza ostentata nelle vetrine.
Secondo l’Ufficio federale di statistica, oltre 770 mila persone vivono in povertà nel nostro paese. E oltre a loro ci sono quasi altrettante persone che vivono con il minimo indispensabile. Sono quasi un milione e mezzo di persone per cui il Natale è un problema nel problema. E anche in Ticino la situazione è molto difficile. Nel 2020 oltre 50 mila persone erano povere e altrettante a rischio di povertà.
Ancora di recente i media hanno parlato dell’aumento delle mense dei poveri nel nostro cantone. Perché quando si parla di povertà si parla anche “semplicemente” del fatto di riuscire a mettere qualcosa sotto i denti.
Una parte della popolazione pensa di mettersi a dieta subito dopo le feste. Un’altra parte penserà a come mangiare qualcosa questa sera.
Le disuguaglianze ci sono nel nostro paese, eccome. Sono spesso nascoste ai nostri occhi e diventa tabù anche solo il fatto di parlarne.
Sicuramente il modello economico svizzero è un modello di successo ma molte persone sono lasciate indietro, non ce la fanno, vivono ai margini e non sono nemmeno presenti nel dibattito pubblico. Sono a tutti gli effetti invisibili.
Molte altre persone, pur non essendo povere secondo la definizione ufficiale, hanno difficoltà notevoli a far quadrare i conti. Per loro, una spesa inattesa può essere un problema enorme. Vivono, queste persone, in una situazione continua di incertezza: la congiuntura attuale rischia di farne cadere molti sotto la temuta soglia della povertà “ufficiale”.
Sono cittadine e cittadini come noi, che non seguono i dibattiti politici perché hanno smesso di aspettarsi qualsiasi cosa. La politica non si occupa di loro perché spesso non votano da anni, quando ne hanno il diritto. Eppure esistono e diventano più numerosi in periodi di crisi economica e aumenti dei prezzi.
Non facciamoci ingannare dai dati appena pubblicati. Se nel 2021 le persone che hanno chiesto gli aiuti sociali non sono aumentate è solo perché erano in vigore ancore le misure speciali di sostegno a causa della pandemia. Ora che queste misure sono finite vediamo che i fallimenti delle aziende aumentano e con essi i licenziamenti e la povertà.
A Natale qualcuno si sente in obbligo di porgere un pensiero caritatevole. Altri fanno un vero e grande lavoro di assistenza e vicinanza. Ma per il resto dell’anno, di questo iceberg non si vede nemmeno la punta.
E sappiamo quanto siano pericolosi gli iceberg, non solo per le navi ma anche per una società che si racconta come opulenta e soddisfatta ma nasconde sotto la superficie ciò che non corrisponde a questa narrazione.
Occuparsi di questa parte della società è essenziale per chi prende decisioni. Così come cercare di affrontare i meccanismi che producono la povertà, specialmente oggi, alla vigilia di un’epoca economicamente difficile e politicamente instabile.

Versione audio: Il Natale degli Invisibili

La povertà in Ticino c’è, eccome

“La povertà è definita come un’insufficienza di risorse (materiali, culturali e sociali) che preclude alle persone il tenore di vita minimo considerato accettabile nel paese in cui vivono” (UST). Nelle poche righe dell’ufficio federale di statistica comprendiamo la multidimensionalità della povertà. E per questo siamo soliti calcolare tre indicatori.
Primo, la povertà in senso assoluto che indica le persone o i nuclei familiari che vivono al di sotto di una soglia monetaria definita come minimo vitale. Nel 2020 era fissata in 2’279 CHF per una persona sola e in 3’963 per una famiglia di due adulti e due bambini.
Secondo, per ritenere l’importanza che il tessuto sociale ha nella vita degli individui si misura anche il rischio di povertà che è un concetto relativo che si basa sull’idea che se la disuguaglianza è troppo grande rispetto al resto della società difficilmente si potrà condurre una vita integrata. Così si è poveri se si guadagna meno del 60% (o del 50%) del reddito mediano.
Infine da qualche anno si parla anche di deprivazione materiale che misura l’impossibilità di acquistare alcuni beni o di svolgere determinate attività, come andare in vacanza una settimana all’anno o comprare un’automobile o un computer o ancora non poter far fronte a una spesa imprevista di 2’500 CHF.
La povertà non tocca tutti alla stessa maniera. Ci sono alcune categorie di persone maggiormente toccate. Per esempio la povertà sembra riguardare maggiormente le persone con più di 65 anni, la popolazione straniera, le persone che hanno una formazione limitata alla scuola dell’obbligo, i disoccupati, i genitori soli con figli, gli inquilini e coloro che guadagnano meno di 33’350 CHF all’anno.
Ora se rapportiamo queste caratteristiche alla popolazione del Cantone Ticino vediamo subito la sovra rappresentanza di alcune categorie. E non a caso, scopriamo che il tasso di rischio di povertà nel nostro cantone e di quasi il 25% contro una media nazionale del 15%. In Ticino una persona su quattro guadagna meno del 60% del reddito mediano.
Certo sono tante le cause, ma forse la principale rimane la fragilità del nostro mercato del lavoro. Fragilità che sempre più conduce i nostri giovani ad armarsi di tanto coraggio e tanta voglia di fare per cercare fortuna oltre Gottardo; che sempre più spinge le persone a dover fare più di un lavoro alla volta; che sempre più porta gli individui a ricorrere agli aiuti dello Stato.
Le soluzioni sono di tipo strutturale e richiedono tempo. Ma non possiamo girarci dall’altra parte e far finta di niente. Per questo ringraziamo le associazioni benefiche che cercano di dare sollievo alle persone meno fortunate che vivono nel nostro Cantone. Tra queste, ringrazio il Soccorso d’inverno Ticino per il suo lavoro e per avermi permesso di portare queste riflessioni nella loro assemblea annuale.

La versione audio: La povertà in Ticino c’è, eccome

Ticino: primo in classifica… per povertà e debiti

Nel 2020 abbiamo raggiunto il gradino più alto di una statistica. Peccato che sia quella che indica che il Ticino è la regione in Svizzera con il tasso di povertà più alto. Eravamo, e siamo ancora, i più poveri in Svizzera. Certo i tassi di disoccupazione ufficiali così bassi ci rincuorano. Peccato non relazionarli ai dati sulla povertà, a quelli sull’indebitamento o ancora al numero di giovani che vanno fuori Cantone per trovare lavoro. Insomma le cose non stanno così bene come alcuni preferiscono raccontare. Ma vediamo i dati nel dettaglio.
I dati sulla povertà in Ticino confermano che le cose vanno male per noi. Il tasso di povertà medio in Svizzera è dell’8.5%; in Ticino siamo al 14.5%. Significa che 1 persona su 7 vive al di sotto della soglia di povertà, fissata a 2’279 franchi al mese per una persona sola e a 3’963 franchi per un’economia domestica composta da due adulti e due bambini sotto ai 14 anni. Guardando all’evoluzione dobbiamo purtroppo constatare che le persone povere sono aumentate da 43 mila del 2019 a 50 mila del 2020. E questi dati non considerano ancora gli effetti della pandemia di due anni fa e quelli dell’inflazione di oggi.

Purtroppo questa situazione si conferma anche guardando al rischio di povertà. Le persone a rischio di povertà sono quelle il cui reddito risulta inferiore al 60% del reddito disponibile equivalente mediano in Svizzera (o al 50% dipende dal riferimento che si adotta). Insomma per semplificare se guadagnate meno del 60% di quello che guadagna il cittadino mediano (quello che vede il 50% di persone che guadagnano più di lui e il 50% che guadagnano meno) siete a rischio povertà. Purtroppo anche in questo caso il Ticino guida la classifica.
E non finisce qui. Siamo tra i primi posti per quanto riguarda la deprivazione materiale e quella grave, abbiamo le più alte percentuali di persone che vivono con difficoltà economiche, con arretrati di pagamenti e che fanno fatica ad affrontare una spesa imprevista o andare una settimana in vacanza o a consumare un pasto completo un giorno su due. Siamo i cittadini più indebitati in Svizzera: che si vada dal leasing per l’automobile agli acquisti a rate, il “ticinese” è indebitato e si indebita. Non a caso ben il 31.2% delle economie domestiche ha più di una carta di credito per adulto (la media svizzera è del 23.7%). E non solo. Siamo i primi ad avere arretrati di pagamenti sull’affitto, sulle fatture di acqua, elettricità, gas o riscaldamento e sulle imposte.
E come mai tutto questo si verifica? Certo possiamo parlare di età, di formazione, di nazionalità, dell’essere una famiglia monoparentale. Ma soprattutto non possiamo non ricordare che il Cantone Ticino è il cantone con i salari più bassi in Svizzera, salari che non solo non aumentano, ma che in alcuni casi addirittura diminuiscono. Questo è il primo punto da affrontare e risolvere.

La versione audio: Ticino: primo in classifica… per povertà e debiti
©Ti-Press

Il Ticino cresce, ma troppo poco

Ripropongo un articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 12.02.2021 che tratta del tema delle disparità tra il Cantone Ticino e il resto della Svizzera. Questa disparità anziché andare riducendosi nel corso degli anni è andata aumentando. “Una recente analisi fatta dalla Banca Cler insieme all’istituto BAK Economics mostra l’andamento dei redditi e dei patrimoni tra il 2007 e il 2017 per la Svizzera e i suoi Cantoni. Il documento è molto completo e interessante e conferma ancora una volta le difficoltà strutturali dell’economia del Cantone Ticino.
Anche se alcune voci sono in crescita, purtroppo questa è di gran lunga più bassa di quella del resto della Svizzera. Ciò ci porta inevitabilmente a vedere il divario tra noi e i cugini confederati aumentare. È come se diventassimo sempre più poveri rispetto al resto degli svizzeri. I dati sono chiari. Sia che analizziamo i redditi medi, i redditi mediani, i redditi più bassi o quelli più alti o ancora sia che analizziamo le diseguaglianze le cose non cambiano: il Ticino viaggia a una velocità ridotta rispetto al resto della Svizzera. Non stupiamoci quindi che i nostri giovani una volta finiti gli studi facciano le valigie ed emigrino oltre Gottardo. Come non dobbiamo stupirci che una volta andati all’università non tornino più indietro e mettano su famiglia altrove. Ma questo significa che il nostro Cantone invecchia e muore.
A costo di apparire controcorrente, ritengo che la risposta al problema della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione non sta nella ricerca di idee geniali dell’ultima ora per attrarre persone nuove o nell’invenzione di fantasiose politiche famigliari. La risposta deve essere una sola: supportare le aziende del nostro Paese affinché possano iniziare un processo di cambiamento epocale. Dobbiamo smettere di vestire i panni della Cenerentola della Svizzera. E in questo lo Stato deve essere presente. Vanno bene gli aiuti in questo momento di difficoltà, ma la nostra società deve essere fondata su un’economia solida e florida e non su un’economia di sostegno di breve periodo o peggio ancora assistenzialista. Questo significa che gli aiuti devono diventare forme di sostegno alla transizione, al cambiamento, di messa in rete delle attività, di riqualifica e formazione, di partnership pubblico-privato nei settori innovativi. Dobbiamo superare quelli che una volta sono stati i nostri vantaggi competitivi come la vicinanza territoriale all’Italia e la possibilità di attingere a manodopera qualificata a costo più basso. Questo ci ha portati a sviluppare un’economia intensiva di lavoro sacrificando l’innovazione.
Ora dobbiamo lavorare per avere un’economia che consenta finalmente ai nostri e alle nostre giovani di trovare lavori qualificati con stipendi dignitosi che tengano conto delle loro competenze. Dobbiamo permettere ai nostri figli e alle nostre figlie di poter vivere del proprio lavoro nel proprio Cantone. Lo Stato c’è e deve esserci sempre per sostenere i suoi cittadini e le sue cittadine, ma non deve diventare l’alternativa a un’economia sana.”
Tratto da “Corriere del Ticino” – 12.02.2021

La versione audio: Il Ticino cresce, ma troppo poco