L’indebitamento record delle famiglie: «Confermate le difficoltà finanziare dei ticinesi»

LUGANO – Ticinesi sempre più indebitati. Tra il 2019 e il 2022 è infatti esploso il numero di prestiti al consumo, a segnare una crescita che è la più alta in tutta la Svizzera: +400% (fonte MultiCredit). Dato che si inserisce in un quadro nazionale di corsa al prestito: +19% durante lo scorso anno, rispetto al 2019.Dunque sempre più famiglie e persone in Ticino chiedono di ritardare o dilazionare i pagamenti, che sia per un elettrodomestico nuovo piuttosto che per l’auto, per una vacanza o per l’istruzione dei figli. E nel periodo preso in esame 2019-2022, a livello nazionale è il 2020 ad aver fatto registrare il picco della necessità di fare debito (+31% di prestiti rispetto al 2019) mentre a livello cantonale è il 2022 l’anno nel quale il valore dell’importo medio per prestito ha raggiunto il suo massimo 31’457 Chf (+14% rispetto all’anno precedente).
Ci chiediamo se la crescita record dei prestiti al consumo possa essere motivato solo dalla crisi pandemica passata. E lo facciamo con Amalia Mirante, economista e docente universitaria.

«Una relazione con la pandemia può esserci – spiega neo eletta al Gran Consiglio – In effetti, non dimentichiamo che molte persone, seppur supportate dalle misure messe in atto dalla Confederazione, come le indennità per orario ridotto o i prestiti Covid, hanno visto il loro reddito ridursi. Questo è accaduto alle persone dipendenti, ai lavoratori indipendenti, ma anche agli imprenditori. In questo senso potrebbe esserci un legame con l’aumento del prestito al consumo, ma probabilmente le ragioni di fondo sono da ricercare altrove».

Dove?

«Il Cantone Ticino mostra da sempre tassi di povertà, difficoltà finanziarie, ritardi nei pagamenti, numero di esecuzioni e fallimenti, dati relativi alla deprivazione materiale, indicatore che mostra difficoltà finanziarie nel possedere beni di consumo durevoli, maggiori rispetto agli altri Cantoni. Certamente possiamo cercare dati socio-demografici come la formazione, l’età, la nazionalità, che ci spiegano questa situazione, ma la causa primaria è sempre da ricercare, purtroppo, nei bassi salari che sono versati in Ticino rispetto al resto della Confederazione».
Se a sud del Gottardo sempre più spesso si dilazionano o ritardano i pagamenti, va specificato che il credito medio richiesto dalle famiglie ticinesi nel triennio 2019-2022 (28’183 franchi) è di valore inferiore (-28%) rispetto alla cifra media richiesta all’interno della Confederazione (39.025 Chf), che ha nei cantoni di Zugo (68.632 franchi), Ginevra (56,572 Chf) e Basilea Città (55,115 Chf) gli importi più onerosi. Questo dato è spiegabile solo con un differente costo della vita o c’è dell’altro?

«In realtà il costo della vita non è così alto da giustificare differenze così rilevanti. Quello che possiamo supporre è che ci sia una differenza sostanziale nel tipo di beni e servizi per i quali si accede al prestito al consumo. Potremmo supporre che in Ticino il prestito sia utilizzato per beni che potremmo definire di uso più comune rispetto ad altri Cantoni o comunque di minor costo. In aggiunta, non dimentichiamo che l’importo del credito dipende dalle possibilità finanziarie, che come detto poc’anzi, sono inferiori in Ticino».

Va però sottolineato che la cifra media richiesta a credito, nel nostro Cantone dal 2019 è andata sempre aumentando negli anni e ha raggiunto il suo picco nel 2021 (31’457Chf, +14% sull’anno precedente) dopo gli step intermedi del 2019 (24’559 Chf; +8%) e 2020 (27’543 Chf; +12%). Come spiegarsi questa continua crescita?

«La ragione che ritengo possa giustificare la crescita degli importi, a mio modo di vedere, è da ricercare sempre nei salari più bassi. L’aumento del costo della vita in Ticino è sempre più importante. E a fronte di questi aumenti, gli stipendi stagnano. Questo implica che si diventa sempre più poveri. Pensiamo a quanto incidono per esempio gli aumenti dei premi cassa malati o in questo momento gli aumenti degli affitti e delle spese legate all’energia».

Intervista tratta da Tio del 13.04.2023

Fonte: Tio

Il Ticino cresce, ma troppo poco

Ripropongo un articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 12.02.2021 che tratta del tema delle disparità tra il Cantone Ticino e il resto della Svizzera. Questa disparità anziché andare riducendosi nel corso degli anni è andata aumentando. “Una recente analisi fatta dalla Banca Cler insieme all’istituto BAK Economics mostra l’andamento dei redditi e dei patrimoni tra il 2007 e il 2017 per la Svizzera e i suoi Cantoni. Il documento è molto completo e interessante e conferma ancora una volta le difficoltà strutturali dell’economia del Cantone Ticino.
Anche se alcune voci sono in crescita, purtroppo questa è di gran lunga più bassa di quella del resto della Svizzera. Ciò ci porta inevitabilmente a vedere il divario tra noi e i cugini confederati aumentare. È come se diventassimo sempre più poveri rispetto al resto degli svizzeri. I dati sono chiari. Sia che analizziamo i redditi medi, i redditi mediani, i redditi più bassi o quelli più alti o ancora sia che analizziamo le diseguaglianze le cose non cambiano: il Ticino viaggia a una velocità ridotta rispetto al resto della Svizzera. Non stupiamoci quindi che i nostri giovani una volta finiti gli studi facciano le valigie ed emigrino oltre Gottardo. Come non dobbiamo stupirci che una volta andati all’università non tornino più indietro e mettano su famiglia altrove. Ma questo significa che il nostro Cantone invecchia e muore.
A costo di apparire controcorrente, ritengo che la risposta al problema della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione non sta nella ricerca di idee geniali dell’ultima ora per attrarre persone nuove o nell’invenzione di fantasiose politiche famigliari. La risposta deve essere una sola: supportare le aziende del nostro Paese affinché possano iniziare un processo di cambiamento epocale. Dobbiamo smettere di vestire i panni della Cenerentola della Svizzera. E in questo lo Stato deve essere presente. Vanno bene gli aiuti in questo momento di difficoltà, ma la nostra società deve essere fondata su un’economia solida e florida e non su un’economia di sostegno di breve periodo o peggio ancora assistenzialista. Questo significa che gli aiuti devono diventare forme di sostegno alla transizione, al cambiamento, di messa in rete delle attività, di riqualifica e formazione, di partnership pubblico-privato nei settori innovativi. Dobbiamo superare quelli che una volta sono stati i nostri vantaggi competitivi come la vicinanza territoriale all’Italia e la possibilità di attingere a manodopera qualificata a costo più basso. Questo ci ha portati a sviluppare un’economia intensiva di lavoro sacrificando l’innovazione.
Ora dobbiamo lavorare per avere un’economia che consenta finalmente ai nostri e alle nostre giovani di trovare lavori qualificati con stipendi dignitosi che tengano conto delle loro competenze. Dobbiamo permettere ai nostri figli e alle nostre figlie di poter vivere del proprio lavoro nel proprio Cantone. Lo Stato c’è e deve esserci sempre per sostenere i suoi cittadini e le sue cittadine, ma non deve diventare l’alternativa a un’economia sana.”
Tratto da “Corriere del Ticino” – 12.02.2021

La versione audio: Il Ticino cresce, ma troppo poco

Il Covid-19 aumenta le disuguaglianze

A differenza di quello che vorremmo credere, anche la pandemia non è egualitaria. No, non tocca tutti alla stessa maniera. Anzi, il COVID-19 sta aumentando le disuguaglianze economiche e sociali.
Qualche settimana fa avevamo trattato la notizia che il patrimonio delle persone più ricche al mondo era aumentato in maniera importante anche l’anno scorso.
Oxfam che è un’organizzazione no profit internazionale che si occupa di combattere la povertà e le disuguaglianze attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo, ha confermato che le 1’000 persone più ricche al mondo hanno compensato le perdite causate dal Covid-19 in soli 9 mesi. Al contrario si stima che le persone più povere potrebbero impiegare 10 anni per riprendersi.
Ma le differenze non finiscono qui.
Abbiamo visto che le donne sono state le prime a risentire della crisi sul mercato del lavoro e a dover pagare il prezzo più alto in termini di posti di lavoro persi. Eppure qualcosa stava cambiando. Per esempio negli Stati Uniti per qualche mese a inizio del 2020 le donne hanno occupato più posti di lavoro degli uomini. Un fatto questo avvenuto solo due volte nella storia americana. Certo, i posti di lavoro erano più frequentemente a tempo parziale e con stipendi più bassi, ma comunque era un segnale importante. La crisi Covid-19 ha cancellato tutto in un baleno. Così per esempio abbiamo visto che nel mese di dicembre negli Stati Uniti le donne hanno perso 156 mila posti di lavoro, mentre gli uomini ne hanno guadagnati 16 mila. Anche in Ticino le dinamiche non sono state differenti: rispetto a un anno prima abbiamo visto sparire nel I trimestre 4’300 posti di lavoro femminili, nel II oltre 6’600 e nel terzo 4’000. Questo capita perché i primi impieghi a essere cancellati in caso di crisi sono quelli temporanei, che richiedono minori qualifiche e competenze e quindi i più precari. Per farla breve, quelli delle donne.
Ma il Covid-19 ha anche colpito duramente le minoranze etniche: i loro tassi di mortalità sono di gran lunga più alti. La responsabilità non sarebbe della genetica ma del fatto che queste persone fanno lavori più a rischio, vivono in alloggi più popolosi e in generale hanno stili vita più a rischio.
Per non parlare della disuguaglianza ancora più grande tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati. Non solo le conseguenze della pandemia saranno molto più gravi per i primi, ma anche l’accesso alle cure sta mostrando grandi differenze.
Infine, le notizie di oggi ci confermano le differenze anche tra settori e tra dipendenti nei settori. Scopriamo che per esempio UBS ha avuto nel 2020 un utile netto di oltre 6.6 miliardi di dollari segnando una crescita del 54%. Sorte analoga è toccata a Novartis che ha chiuso con un utile di oltre 8 miliardi in crescita del 13%.
Questo ottimo risultato ha premiato con una pioggia di milioni la direzione e il consiglio di amministrazione. L’amministratore delegato ha ricevuto un aumento di 2 milioni di franchi. Sì, avete capito bene: 2 milioni di franchi. Vi sembrano troppi? Non se paragonati ai 12.7 milioni di franchi totali guadagnati nel 2020. Se però li paragoniamo allo stipendio mensile medio di un infermiere in Ticino, come fatto dalla giornalista Alessandra Ferrara, le cose cambiano. Ecco che con i suoi quasi 6’000 franchi al mese il nostro infermiere dovrà lavorare quasi 180 anni per guadagnare quanto l’amministratore delegato in un anno.
Attenzione non cadiamo nella tentazione di dire che da sempre chi ha responsabilità guadagna molto di più: fino agli anni 80 il rapporto nella stessa azienda tra chi guadagnava tanto e chi guadagnava meno era di 1 a 10 volte, 1 a 15 volte.
Oggi, purtroppo, le differenze stanno diventando insostenibili per la società, ma anche per l’economia.

La versione audio: Il Covid-19 aumenta le disuguaglianze

Patrimoni miliardari immuni dal Covid-19

Il Bloomberg Billionaires Index fornisce una classifica aggiornata quotidianamente delle persone più ricche al mondo. Per ogni miliardario dà la composizione del suo patrimonio. Certo è lo stesso esercizio che facciamo anche noi quando compiliamo la dichiarazione delle imposte e dobbiamo stimare la nostra sostanza. Ma se andate a spulciare uno dei tanti profili dei miliardari vi renderete conto che c’è una bella differenza tra i nostri patrimoni e i loro. Partecipazioni in società quotate in borsa, sconti da applicare in funzione dei rischi legati ai Paesi in cui si detengono partecipazioni pubbliche, valutazioni degli hedge fund, stima della liquidità; insomma deve essere proprio difficile capire quanto si è ricchi quando si è veramente ricchi.
Una cosa però è certa. Anche il COVID-19 colpisce in maniera diversa le classi sociali. Mentre milioni di persone hanno perso il lavoro e stanno chiudendo le loro attività a causa della pandemia, possiamo tirare un sospiro di sollievo perché i 500 miliardari più ricchi della terra hanno visto il loro patrimonio aumentare anche quest’anno. E pensare che subito dopo il primo lockdown mondiale eravamo preoccupati per la loro sorte, dato che i loro patrimoni avevano mostrato perdite importanti.
La notizia bizzarra è che addirittura sono i miliardari cinesi (Wuhan vi ricorda qualcosa?) ad aver visto la loro ricchezza aumentare di più: in effetti, essa è cresciuta quasi del 54%. Saremmo tentati di pensare a uno strano scherzo del destino se non fosse che anche negli anni passati la Cina ha mostrato crescite impressionanti. Non dimentichiamo che proprio studi recenti affermano che la Cina diventerà la prima potenza mondiale scavalcando gli Stati Uniti in anticipo rispetto a quanto previsto.
Ma non preoccupiamoci troppo dei miliardari statunitensi: anche loro hanno visto aumentare la loro ricchezza di oltre il 25%, un po’ di più dei “cugini” inglesi. In Europa, dove la ricchezza è aumentata mediamente “solo” del 15%, c’è anche chi si è impoverito: i miliardari spagnoli (quasi del -12%) e quelli ciprioti (-8%).
Naturalmente la ricchezza dipende dalla performance dei diversi settori economici: i servizi, la sanità, le tecnologie hanno registrato guadagni superiori al 50%, le materie prime “solo” del 32% e i settori industriali del 26%.
Ma com’è possibile che ci siano delle disuguaglianze così grandi? E la storia ha sempre mostrato queste differenze?
Da una parte è vero che la teoria economica ci insegna che per raggiungere lo sviluppo è necessario passare attraverso una certa concentrazione della ricchezza produttiva. Averla nelle mani di poche famiglie consente di accumulare macchinari e mezzi per produrre. Oggi però la situazione che viviamo è ben diversa.
Le differenze e le disuguaglianze stanno diventando insostenibili. Oltre a creare tensioni importanti tra le classi sociali, esse non sono più ritenute necessarie allo sviluppo economico, anzi.
A onor del vero, dall’inizio del XX secolo l’intervento dello Stato, le imposte progressive, l’istruzione pubblica e la maggiore solidarietà hanno ridotto le disuguaglianze. Queste politiche hanno portato nel 1980 in Europa il 10% più ricco a possedere circa il 40-50% del patrimonio. Purtroppo questo trend positivo si è arrestato attorno agli anni Ottanta, con le politiche liberiste di deregolamentazione e globalizzazione di Ronald Reagan e Margaret Thatcher oltre a quelle della finanza internazionale.
Ora, questa nuova crisi dovrà essere l’occasione per ripensare anche alla validità delle nostre politiche fiscali e soprattutto ai meccanismi che consentono un’accumulazione eccessiva.

La versione audio: Patrimoni miliardari immuni dal Covid-19