La Banca nazionale svizzera (BNS) ancora una volta ha sorpreso tutti quanti. In effetti, la maggioranza degli analisti aveva scommesso sull’ipotesi che nella riunione di questa settimana avrebbe deciso di mantenere i tassi di interesse all’1.5% come deciso qualche tempo fa. E invece, ancora una volta il direttore ha stupito annunciando un ulteriore taglio di 0.25 punti percentuali. Così oggi il tasso di riferimento torna all’1.25.%.
Nelle scorse settimane avevamo parlato delle decisioni prese prima dalla Banca centrale europea (BCE) che a sua volta aveva deciso di ridurre il tasso di interesse e poi dalla Federal Reserve che al contrario aveva dichiarato di mantenere i tassi di interesse inalterati.
Pur comprendendo la decisione presa dalla BNS quello che ci preme è dare un’occhiata allo stato di salute generale della nostra economia. Sicuramente i dati sull’andamento dei prezzi al consumo ci fanno dormire sonni abbastanza tranquilli: ancora nel mese di maggio l’inflazione era solo all’1.4%. Anche i dati sul mercato del lavoro (e qui non ci riferiamo al Canton Ticino, ma rimaniamo su quello nazionale) non allarmano troppo: i tassi di disoccupazione rimangono pressoché stabili e in linea con la stagionalità.
Quello che invece preoccupa maggiormente sono le previsioni per il futuro: in effetti, tutti gli istituti di ricerca confermano che la situazione per questo 2024 sarà caratterizzata da una crescita del prodotto interno lordo (PIL) piuttosto contenuta. Il KOF, che è il centro di ricerca congiunturale del politecnico federale di Zurigo, stima un aumento dell’1.6% (includendo anche l’effetto degli eventi sportivi). Per questo istituto sarà soprattutto l’aumento delle esportazioni verso la Germania, la Francia e l’Italia nel secondo semestre ad alimentare la crescita. Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi il KOF parla di un’inflazione all’1.3%.
Anche la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) prevede lo stesso tasso di crescita, alimentato anche esso principalmente dalle esportazioni. I consumi privati delle famiglie appaiono leggermente in crescita (+1.3%), mentre quelli delle amministrazioni pubbliche, seppur positivi, lo sono in maniera minore (+0.5%). Settore ancora non in piena salute è quello degli investimenti: se quelli in costruzione mostrano un tiepido +0.1%, molto peggio fanno quelli in beni di equipaggiamento (macchinari) che addirittura mostrano un andamento negativo del -0.7%.
E quali saranno le conseguenze di queste previsioni? Entrambi gli istituti prevedono un leggero aumento del tasso di disoccupazione, in particolare la SECO lo stima al 2.4% . Tasso di disoccupazione che dovrebbe però aumentare ulteriormente nel 2025 (+2.6%).
Possiamo quindi sostenere che al momento non ci sono grosse preoccupazioni, tuttavia non bisogna allentare troppo presto la presa. In effetti, i dati dell’inflazione in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi periodi hanno indicato leggere tendenze al rialzo. Anche per questo la Fed aveva deciso di lasciare i tassi invariati.
Per queste ragioni, quindi, pur comprendendo le motivazioni che hanno spinto la BNS a confermare la discesa dei tassi di interesse preferiamo rimanere piuttosto cauti: ricordiamoci sempre che le politiche economiche, quelle fiscali e quelle monetarie, necessitano di tempo per mostrare i loro effetti. Questo significa anche che forse un po’ più di prudenza non guasterebbe.
In Ticino, per molti il sogno di una vita migliore si sta dissolvendo come neve al sole. Lo suggeriscono i dati sui salari pubblicati dall’ufficio federale di statistica. Queste cifre confermano una tendenza che denunciamo da tempo. La teoria economica, con le sue promesse di prosperità legata alla crescita, sembra beffarsi di noi, lasciandoci a mani vuote. Un lieve aumento dei salari rispetto al 2020? Una misera consolazione, quando si scopre che i redditi più alti hanno subito tagli drastici. Un vero e proprio schiaffo per chi ha sempre dato il massimo, tra questi i residenti svizzeri che sono i più colpiti da questa diminuzione.
Non siamo di fronte a una semplice battuta d’arresto, ma a quella che potrebbe diventare, se non si fa nulla, una vera e propria emergenza sociale: nemmeno i salari dei lavoratori più qualificati, come chi ha una formazione superiore, sono al sicuro. I settori che annunciano aumenti sono pochissimi, ad es. la ristorazione, la maggior parte invece lamenta diminuzioni importanti dei salari. In generale, vediamo i salari scendere nelle attività manifatturiere, nei servizi finanziari e assicurativi, nelle attività legali e in quelle legate alla contabilità, nelle professioni tecniche e scientifiche e in quelle della sanità e socialità.
E poi c’è la favola della riduzione del divario salariale tra uomini e donne. La beffa oltre al danno: in realtà, si tratta di un’uguaglianza al ribasso, dove tutti perdono, senza eccezioni. Il differenziale si rimpicciolisce non tanto perché le donne guadagnano di più, quanto perché gli uomini guadagnano di meno. Questa parità al ribasso non è quella che vogliamo.
Forse adesso che la crisi tocca anche i lavoratori più “fortunati” che dovrebbero essere i meglio rappresentati politicamente, i partiti storici finalmente si decideranno a fare qualcosa in difesa dei nostri salari.
Ma data la paralisi politica degli ultimi anni, ci vorrebbe un miracolo. Si potrebbe cominciare smettendo di negare la gravità della situazione con narrazioni di comodo. Il Ticino ha un problema di salari che adesso tocca anche i lavoratori meglio qualificati. La classe politica deve smetterla di guardare dall’altra parte. I nostri concittadini meritano di meglio.
Questa settimana sono stata ospite di Banca Migros, che ringrazio, per parlare delle prospettive economiche per la Svizzera. Dopo aver presentato le stime della crescita del prodotto interno lordo delle principali economie come gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina, abbiamo parlato delle previsioni per l’economia svizzera. Come tutti sappiamo la nostra nazione è fortemente connessa alle economie avanzate del resto del mondo, sia in termini di esportazioni che in termini di importazioni. È per questo che leggere le notizie positive degli Stati Uniti sicuramente ci rallegra. Al contrario, siamo molto meno felici di leggere che la crisi in Germania perdura. Ne abbiamo parlato più volte, tuttavia ora si vedono concretamente gli effetti sull’industria tedesca della dipendenza dal gas russo. Ricordiamo che dopo l’attacco all’Ucraina parte della comunità internazionale ha deciso di introdurre sanzioni contro la Russia. Tra queste, le più importanti sul fronte dell’approvvigionamento energetico sono state i divieti di importare petrolio e gas. L’industria tedesca dipendeva fortemente da questa fonte energetica che riusciva ad ottenere ad un prezzo molto più basso rispetto a quello che deve pagare oggi per comperare gas liquido e altre fonti. In aggiunta, la crisi economica fa rallentare anche l’implementazione degli investimenti per la produzione di energia pulita. Se alle difficoltà economiche aggiungiamo il vuoto politico lasciato dalla precedente cancelliera Angela Merkel la situazione non può che apparire ancora più preoccupante. Anche per noi, visto che la Germania è il nostro principale partner commerciale, sia per le esportazioni che per le importazioni.
A queste situazioni specifiche si aggiungono una serie di fattori di rischio esterni e interni.
La crisi in Medio Oriente, il perdurare del conflitto in Ucraina, le difficoltà di approvvigionamento e gli aumenti dei prezzi delle fonti energetiche, la possibile crisi immobiliare in Cina, la migrazione in forte crescita e il ritorno dell’allarme terrorismo in Europa, rendono il contesto geopolitico internazionale molto incerto e instabile. E l’incertezza e l’instabilità portano da una parte gli imprenditori a non investire e dall’altra i consumatori a essere più prudenti e a risparmiare.
A questo dobbiamo aggiungere nel caso dei cittadini svizzeri gli aumenti dei premi cassa malati, gli aumenti degli affitti, gli aumenti dell’energia, l’aumento dell’Iva e gli aumenti dei prezzi in generale che non si fermeranno il prossimo anno. Purtroppo anche per l’anno prossimo gli aumenti salariali, dove ci saranno, non compenseranno l’aumento del costo della vita e questo porterà inevitabilmente alla riduzione del potere d’acquisto. Questo significa concretamente che le persone potranno consumare di meno. Se si consuma di meno, si deve produrre di meno, il che significa licenziamenti, riduzione di reddito, mancato gettito per lo Stato e aumento delle prestazioni sociali. Insomma, non proprio delle buone prospettive.
E il Ticino? Purtroppo le prospettive non sono molto buone. Quasi tutti i settori economici prevedono mesi difficili. Ad eccezione del commercio al dettaglio che può contare sull’arrivo delle festività, meno ottimisti sono il settore del turismo, quello finanziario, quello industriale e quello delle costruzioni. In questo caso, ricordiamo che la crisi oramai dura da diversi trimestre.
Insomma, le previsioni non sono di certo ottimiste. Speriamo che anche questa volta, come spesso accade, gli economisti si sbaglino.
Tassi d’interesse e mercato immobiliare, un costoso ritorno alla normalità
In questi giorni chi vive in affitto ha cominciato a ricevere dagli amministratori condominiali le indicazioni su un (eventuale) rincaro della sua pigione a partire dal prossimo settembre (conseguenza dell’adeguamento da parte di Berna del tasso di riferimento nei contratti di locazione, dall’1,25 all’1,5%).
D’altra parte nell’area OCSE, di cui la Svizzera fa parte, si inizia a registrare un calo dei prezzi delle abitazioni dopo anni di crescita costante: un fenomeno legato all’adeguamento del tasso guida da parte delle banche centrali. Cerchiamo di riordinare le idee attorno al dossier immobiliare con l’economista Amalia Mirante, per poi allargare il discorso e cercare di capire come se la sta… cavando il nostro potere d’acquisto.
Prezzi degli immobili, verso una correzione
Dottoressa Mirante, a livello internazionale si iniziano a intravvedere i segni di un calo del costo degli immobili residenziali. C’era da attenderselo? E in Svizzera?
Non è inatteso, poiché è aumentato il costo del denaro in prestito, rendendo più caro acquistare un immobile, di conseguenza la domanda di questi beni si contrae. L’offerta inizialmente rimane piuttosto stabile o persino continua a crescere, perché la reazione dei soggetti economici è sempre un po’ in ritardo rispetto ai mutamenti imposti, in questo caso, dalle Banche centrali: dunque per incentivare l’acquisto quello che succede è che il prezzo scende, diminuisce. In una situazione come questa, il rischio che esplodano bolle speculative aumenta, specialmente se nel corso degli anni il valore degli immobili è stato un po’ sopravvalutato, e dunque si è costruito tanto senza che ci fossero realmente soggetti in grado di comperare questi immobili. L’aumento dei tassi di interessi ristabilisce un ordine, solo che alcuni nodi possono arrivare al pettine in maniera dolorosa. Non credo però che questo avverrà in Svizzera, anzitutto perché per accedere al prestito ipotecario oggi bisogna rispondere a una serie di condizioni finanziarie stringenti. Inoltre nelle grandi città del Paese la domanda di abitazioni rimane molto elevata, poiché il mercato del lavoro elvetico è sempre alla ricerca di profili altamente qualificati: vi è dunque un influsso di persone dall’estero che venendo in Svizzera incrementano la domanda.
In Ticino però la situazione è diversa, si è costruito molto, e la domanda non è sempre presente.
I tassi di interesse negativi hanno spinto molti investitori istituzionali, come per esempio le casse pensioni, o chi disponeva di grandi patrimoni a puntare sul mattone: il basso costo del denaro permetteva di costruire e di uscirne in positivo affittando magari soltanto un terzo, o un quarto degli edifici costruiti.
“I nuovi tassi sono la normalità”
Ecco. Chi ha costruito negli anni scorsi non rischia dunque di perdere parte del proprio investimento?
Dipende un po’ anche dalla sfortuna o fortuna, cioè da quando è fissato il termine per le ipoteche negoziate negli anni scorsi. Dal mio un punto di vista però se i tassi rimangono quelli attuali la situazione rimane tutto sommato sostenibile. Chi ha una proprietà immobiliare e si trova alla scadenza ipotecaria sarà confrontato con un incremento del tasso ipotecario di interesse, ma se anche questo venisse portato al 2,5% per 5-6 anni, siamo in quella che definirei una situazione macroeconomicamente normale. È quello che c’era prima che non era nella norma. Naturalmente chi nella sua proprietà ha degli affittuari andrà a recuperare i suoi soldi ribaltando su questi i nuovi tassi di interesse, portando a aumenti significativi delle pigioni.
Ci torniamo. Intanto lei pensa che a causa del maggior costo delle ipoteche molte persone possano decidere di rimanere in affitto, invece di lanciarsi nell’avventura di comprare o costruir casa?
Potrebbe infatti, è vero, avverarsi una correzione dei prezzi degli immobili e dei terreni, che sono sempre cresciuti, anche in maniera un po’ esagerata, negli ultimi anni. Se io pago un po’ di più in tassi di interesse ma si riduce del 10% il prezzo dell’immobile, il nuovo equilibrio mi favorisce. Ma come spiegavo in precedenza, le politiche monetarie non mostrano subito i loro effetti. Ora dobbiamo sperare che l’inflazione continui a rallentare. E così si possa tirare il fiato anche sulla risalita dei tassi d’interesse: giovedì la Banca Nazionale dovrebbe trovarsi per decidere, vedremo se seguirà la BCE che ha di nuovo aumentato il suo tasso guida, oppure se seguirà la Fed, che è rimasta stabile. In questo momento si potrebbe dire che in Svizzera l’inflazione è sotto controllo (a maggio era al 2,2%).
Perché la lotta all’inflazione ci alza l’affitto (e altre spese)
Prima parlava dell’aumento degli affitti come conseguenza dei nuovi tassi di riferimento. È una nostra impressione o la lotta all’inflazione, alla crescita del costo dei beni di consumo, si fa innalzando altri costi, in questo caso quello dell’affitto che è solitamente la voce spesa più importante per un’economia domestica?
Lo scopo è rallentare la domanda e gli investimenti. Come si fa? La politica monetaria tradizionale prevede di agire con l’aumento del tasso di interesse, rendendo più costoso prendere denaro a prestito. Se il leasing dell’automobile, per esempio, mi costa 2-3% in più, ci penserò due prima di cambiare automobile. Bisogna cioè fare in modo che le persone e le aziende spendano in misura minore. Nei fatti se ho costi maggiori per ciò che devo per forza consumare, non consumerò altri beni. È chiaro che si tratta di leve pericolose: non vogliamo una crisi economica, non vogliamo disoccupati, non vogliamo che la crescita si fermi. Però, d’altra parte, le conseguenze di un’inflazione elevata sono molto più gravi di 1-2 anni di rallentamento economico. Il sistema economico e il nostro stato sociale possono rispondere in maniera più efficace e con meno costi a un temporaneo aumento della disoccupazione e a una riduzione dei redditi reali, che non alle conseguenze causate da inflazione elevata e prolungata.
Di recente lei ha detto che l’aumento, prospettato, degli affitti si inserisce in una tendenza, quella che vede l’inflazione spostarsi all’interno del Paese. Che cosa significa?
Sì, e mi spiego. Il peso di fattori esterni, come i prodotti energetici di importazione si molto è ridimensionato. Adesso iniziamo a riscontrare il fatto che l’inflazione sui beni e servizi prodotti localmente (tra cui gli affitti) è più alta di quella sui beni importati. È come se l’inflazione sia stata assimilata dal nostro sistema economico. A ciò si spera segua ora un ulteriore adeguamento dei salari verso l’alto, per controbilanciare l’aumento dei prezzi. A ciò dovrebbe affiancarsi anche una attenzione da parte della politica fiscale. Vale la pena ricordare che vi sono anche importanti voci di spesa che, diversamente dagli affitti, non rientrano nell’ Indice dei prezzi al consumo, indice con cui si calcola l’inflazione. Parlo per esempio dei costi della salute, oppure delle imposte. Fattori che possono determinare un calo importante del potere d’acquisto per le persone. Una politica economica seria dovrebbe tenere conto di tutti i fattori, considerare come aiutare per esempio i pensionati, chi ha difficoltà a pagare i premi di cassa malati o le piccole-medie imprese. Tutto però dipenderà da quando ancora durerà questa crisi inflattiva: se da qui ai prossimi 3-4 mesi non si tornasse a un tasso di inflazione dell’1,5%, sarà opportuno un nuovo intervento straordinario da parte della politica sociale. Se i tassi di crescita dell’economia sono positivi, se i redditi più o meno tengono, se le persone pur con alcuni sacrifici riescono ad andare avanti, difficilmente lo Stato (specie quello elvetico, tradizionalmente poco interventista) si sentirà in obbligo di agire.
Tassi d’interesse e mercato immobiliare, un costoso ritorno alla normalità
In questi giorni chi vive in affitto ha cominciato a ricevere dagli amministratori condominiali le indicazioni su un (eventuale) rincaro della sua pigione a partire dal prossimo settembre (conseguenza dell’adeguamento da parte di Berna del tasso di riferimento nei contratti di locazione, dall’1,25 all’1,5%).
D’altra parte nell’area OCSE, di cui la Svizzera fa parte, si inizia a registrare un calo dei prezzi delle abitazioni dopo anni di crescita costante: un fenomeno legato all’adeguamento del tasso guida da parte delle banche centrali. Cerchiamo di riordinare le idee attorno al dossier immobiliare con l’economista Amalia Mirante, per poi allargare il discorso e cercare di capire come se la sta… cavando il nostro potere d’acquisto.
Prezzi degli immobili, verso una correzione
Dottoressa Mirante, a livello internazionale si iniziano a intravvedere i segni di un calo del costo degli immobili residenziali. C’era da attenderselo? E in Svizzera?
Non è inatteso, poiché è aumentato il costo del denaro in prestito, rendendo più caro acquistare un immobile, di conseguenza la domanda di questi beni si contrae. L’offerta inizialmente rimane piuttosto stabile o persino continua a crescere, perché la reazione dei soggetti economici è sempre un po’ in ritardo rispetto ai mutamenti imposti, in questo caso, dalle Banche centrali: dunque per incentivare l’acquisto quello che succede è che il prezzo scende, diminuisce. In una situazione come questa, il rischio che esplodano bolle speculative aumenta, specialmente se nel corso degli anni il valore degli immobili è stato un po’ sopravvalutato, e dunque si è costruito tanto senza che ci fossero realmente soggetti in grado di comperare questi immobili. L’aumento dei tassi di interessi ristabilisce un ordine, solo che alcuni nodi possono arrivare al pettine in maniera dolorosa. Non credo però che questo avverrà in Svizzera, anzitutto perché per accedere al prestito ipotecario oggi bisogna rispondere a una serie di condizioni finanziarie stringenti. Inoltre nelle grandi città del Paese la domanda di abitazioni rimane molto elevata, poiché il mercato del lavoro elvetico è sempre alla ricerca di profili altamente qualificati: vi è dunque un influsso di persone dall’estero che venendo in Svizzera incrementano la domanda.
In Ticino però la situazione è diversa, si è costruito molto, e la domanda non è sempre presente.
I tassi di interesse negativi hanno spinto molti investitori istituzionali, come per esempio le casse pensioni, o chi disponeva di grandi patrimoni a puntare sul mattone: il basso costo del denaro permetteva di costruire e di uscirne in positivo affittando magari soltanto un terzo, o un quarto degli edifici costruiti.
“I nuovi tassi sono la normalità”
Ecco. Chi ha costruito negli anni scorsi non rischia dunque di perdere parte del proprio investimento?
Dipende un po’ anche dalla sfortuna o fortuna, cioè da quando è fissato il termine per le ipoteche negoziate negli anni scorsi. Dal mio un punto di vista però se i tassi rimangono quelli attuali la situazione rimane tutto sommato sostenibile. Chi ha una proprietà immobiliare e si trova alla scadenza ipotecaria sarà confrontato con un incremento del tasso ipotecario di interesse, ma se anche questo venisse portato al 2,5% per 5-6 anni, siamo in quella che definirei una situazione macroeconomicamente normale. È quello che c’era prima che non era nella norma. Naturalmente chi nella sua proprietà ha degli affittuari andrà a recuperare i suoi soldi ribaltando su questi i nuovi tassi di interesse, portando a aumenti significativi delle pigioni.
Ci torniamo. Intanto lei pensa che a causa del maggior costo delle ipoteche molte persone possano decidere di rimanere in affitto, invece di lanciarsi nell’avventura di comprare o costruir casa?
Potrebbe infatti, è vero, avverarsi una correzione dei prezzi degli immobili e dei terreni, che sono sempre cresciuti, anche in maniera un po’ esagerata, negli ultimi anni. Se io pago un po’ di più in tassi di interesse ma si riduce del 10% il prezzo dell’immobile, il nuovo equilibrio mi favorisce. Ma come spiegavo in precedenza, le politiche monetarie non mostrano subito i loro effetti. Ora dobbiamo sperare che l’inflazione continui a rallentare. E così si possa tirare il fiato anche sulla risalita dei tassi d’interesse: giovedì la Banca Nazionale dovrebbe trovarsi per decidere, vedremo se seguirà la BCE che ha di nuovo aumentato il suo tasso guida, oppure se seguirà la Fed, che è rimasta stabile. In questo momento si potrebbe dire che in Svizzera l’inflazione è sotto controllo (a maggio era al 2,2%).
Perché la lotta all’inflazione ci alza l’affitto (e altre spese)
Prima parlava dell’aumento degli affitti come conseguenza dei nuovi tassi di riferimento. È una nostra impressione o la lotta all’inflazione, alla crescita del costo dei beni di consumo, si fa innalzando altri costi, in questo caso quello dell’affitto che è solitamente la voce spesa più importante per un’economia domestica?
Lo scopo è rallentare la domanda e gli investimenti. Come si fa? La politica monetaria tradizionale prevede di agire con l’aumento del tasso di interesse, rendendo più costoso prendere denaro a prestito. Se il leasing dell’automobile, per esempio, mi costa 2-3% in più, ci penserò due prima di cambiare automobile. Bisogna cioè fare in modo che le persone e le aziende spendano in misura minore. Nei fatti se ho costi maggiori per ciò che devo per forza consumare, non consumerò altri beni. È chiaro che si tratta di leve pericolose: non vogliamo una crisi economica, non vogliamo disoccupati, non vogliamo che la crescita si fermi. Però, d’altra parte, le conseguenze di un’inflazione elevata sono molto più gravi di 1-2 anni di rallentamento economico. Il sistema economico e il nostro stato sociale possono rispondere in maniera più efficace e con meno costi a un temporaneo aumento della disoccupazione e a una riduzione dei redditi reali, che non alle conseguenze causate da inflazione elevata e prolungata.
Di recente lei ha detto che l’aumento, prospettato, degli affitti si inserisce in una tendenza, quella che vede l’inflazione spostarsi all’interno del Paese. Che cosa significa?
Sì, e mi spiego. Il peso di fattori esterni, come i prodotti energetici di importazione si molto è ridimensionato. Adesso iniziamo a riscontrare il fatto che l’inflazione sui beni e servizi prodotti localmente (tra cui gli affitti) è più alta di quella sui beni importati. È come se l’inflazione sia stata assimilata dal nostro sistema economico. A ciò si spera segua ora un ulteriore adeguamento dei salari verso l’alto, per controbilanciare l’aumento dei prezzi. A ciò dovrebbe affiancarsi anche una attenzione da parte della politica fiscale. Vale la pena ricordare che vi sono anche importanti voci di spesa che, diversamente dagli affitti, non rientrano nell’ Indice dei prezzi al consumo, indice con cui si calcola l’inflazione. Parlo per esempio dei costi della salute, oppure delle imposte. Fattori che possono determinare un calo importante del potere d’acquisto per le persone. Una politica economica seria dovrebbe tenere conto di tutti i fattori, considerare come aiutare per esempio i pensionati, chi ha difficoltà a pagare i premi di cassa malati o le piccole-medie imprese. Tutto però dipenderà da quando ancora durerà questa crisi inflattiva: se da qui ai prossimi 3-4 mesi non si tornasse a un tasso di inflazione dell’1,5%, sarà opportuno un nuovo intervento straordinario da parte della politica sociale. Se i tassi di crescita dell’economia sono positivi, se i redditi più o meno tengono, se le persone pur con alcuni sacrifici riescono ad andare avanti, difficilmente lo Stato (specie quello elvetico, tradizionalmente poco interventista) si sentirà in obbligo di agire.
Intervista tratta da il Federalista del 19.06.2023
La statistica ha sbagliato. Sì avete letto bene, la statistica ha sbagliato. Forse vi ricorderete che già nel mese di marzo del 2021 l’Ufficio federale di statistica aveva comunicato di aver commesso un errore piuttosto importante in relazione al numero di posti di lavoro persi nel Canton Ticino. Questa settimana è la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) che dice che a causa di un problema tecnico sono stati pubblicati dei dati sbagliati in merito al valore aggiunto creato dal settore arte, intrattenimento e attività ricreative. Questo errore ha avuto un impatto anche sui dati relativi alla crescita del prodotto interno lordo (PIL) sia nel quarto trimestre del 2021 che nel primo trimestre del 2022. Non entriamo qui nei tecnicismi e vogliamo rassicurare tutti. Le cose sono andate bene, anche se un po’ meno bene di quanto la SECO aveva annunciato in precedenza. Ma vediamo nel dettaglio che cosa dicono questi dati che si riferiscono al secondo trimestre del 2022, quindi al periodo che va da aprile a giugno. Con l’interruzione delle misure di protezione contro il Covid evidentemente il settore del turismo ha registrato un importante aumento. Sia l’industria alberghiera e della ristorazione sia il settore dell’arte, dell’intrattenimento e delle attività ricreative hanno mostrato una crescita importante rispetto all’anno precedente. Anche se i dati sono stati positivi, purtroppo però non si è ancora raggiunto il livello di attività pre-crisi. Si parla nel caso del settore alberghiero e della ristorazione di un valore aggiunto inferiore di circa il 10% rispetto alla situazione pre-covid e addirittura del 13% per il settore dell’intrattenimento. Per quanto concerne la spesa fare i paragoni rispetto al trimestre dell’anno precedente non ci dice granché poiché eravamo ancora in un periodo di emergenza sanitaria. Vediamo invece che i consumi privati quindi quelli delle famiglie sono aumentati rispetto ai tre mesi precedenti (+1.4%). Anche gli investimenti in beni di equipaggiamento (per esempio i macchinari) hanno mostrato una crescita del 2.6%; questo significa che gli imprenditori si aspettavano dati positivi per i mesi a seguire. Cosa che oggi, con la maledetta guerra ancora in corso e la forte pressione sui prezzi energetici, non possiamo più sostenere. Altro dato da monitorare con particolare attenzione è stato il calo delle esportazioni di beni che avevamo già messo in evidenza in altri articoli. Stabile è risultata la spesa delle amministrazioni pubbliche, mentre in leggera riduzione sono stati gli investimenti in costruzioni il linea con il trend negativo dell’edilizia. Tutto questo ha portato il prodotto interno lordo del secondo trimestre del 2022 a crescere dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti. Attendiamo ora le previsioni per i prossimi mesi, anche se i segnali che abbiamo in termini di inflazione, aumento dei tassi di interesse, riduzione del potere d’acquisto, Incertezza sul fronte energetico e quindi produttivo, non ci lasciano dormire sonni tranquilli.
La versione audio: Il Prodotto interno lordo è cresciuto, anche se la SECO ha sbagliato…
L’incertezza regna sovrana in questo periodo. Anche per le previsioni economiche. Prima della pandemia nei documenti degli esperti si trovavano solo un paio di righe che parlavano dei rischi, di solito “minimi” che avrebbero potuto rendere le previsioni sbagliate. Oggi negli stessi documenti i fattori destabilizzanti occupano almeno una mezza pagina.
Così è nel caso delle previsioni economiche pubblicate il 9 dicembre 2021 dalla Segreteria di Stato dell’Economia (SECO). La SECO precisa che “l’incertezza è attualmente molto alta e i rischi negativi prevalgono”. Quali sono questi rischi? Innanzitutto si parla della variante Omicron e del possibile impatto di misure sanitarie restrittive. In effetti, molti Paesi proprio in questi giorni stanno introducendo limitazioni e chiusure. In aggiunta, il contesto economico potrebbe risentire anche del perdurare dei problemi di approvvigionamento mondiale, che non sembrano essere così facili da risolvere. E che dire dei rischi collegati a un’inflazione che potrebbe andare avanti nel tempo manifestando a breve anche un aumento dei tassi di interesse? Questa ipotesi genererebbe a cascata altri problemi sul debito pubblico, su quello delle imprese e anche sul settore immobiliare. E pure di questo parla la SECO citando espressamente i rischi in Cina: le conseguenze di uno scoppio della bolla non rimarrebbero confinate all’Asia orientale.
Insomma, diciamo che il tasso di crescita del 3% del PIL ridotto dal 3.4% di tre mesi fa per l’anno prossimo non è proprio così sicuro.
La crescita dei consumi sarà del 3.2%; buona notizia considerando che le famiglie contribuiscono a più della metà dell’intero Prodotto interno lordo. Proprio quei consumi che sono stati trainanti finora per la ripresa. Anche l’andamento degli investimenti produttivi sarà buono; aumenteranno pure il prossimo anno del 4%. Questo a differenza di quelli in costruzioni che secondo le previsioni saranno stazionari. Rallentano pur rimanendo positive, le esportazioni di beni. Probabilmente in relazione alla situazione economica mondiale. E in riduzione piuttosto marcata (-1.5%) è la spesa pubblica. Anche se i dubbi qui sono tanti: se l’aumento dei contagi dovesse continuare, potrebbero esserci nuove restrizioni e quindi sofferenza per molti settori economici, in particolare quelli legati al turismo e al tempo libero. Senza dimenticare che tanti piccoli già oggi mostrano molti problemi, avendo esaurito gli aiuti statali e non potendo sfruttare i vantaggi delle grandi distribuzioni.
Insomma, non possiamo che essere contenti che le previsioni siano ancora rosee; speriamo che le nubi all’orizzonte si dissolvano presto.
La versione audio: Che tempo farà l’anno prossimo? L’incertezza regna in economia
Non ci credo. Ci conosciamo da una vita e da una vita ci perdiamo e ci ritroviamo. Ma questa volta no, non ci ritroveremo più. Come sarà possibile, non rivederla nella sua Lugano? Tutti lo sanno. Lugano e Marco Borradori sono una cosa sola. Un grande sindaco, un grande uomo politico, ma soprattutto una grande persona. In tutti questi anni non l’ho mai vista negare un saluto né rinunciare ad ascoltare le preoccupazioni delle persone. È sempre stato un grande esempio di vicinanza ai cittadini. Anche sabato sera a Locarno, l’ultima volta che siamo stati insieme. Non si è risparmiato con nessuno. Perché era fatto così, lei Marco: aveva bisogno delle persone quanto le persone di lei. E anche io sento di aver ancora bisogno di lei. Ci conosciamo da una quindicina di anni e non perdevamo occasione di ridere del nostro primo incontro: io ero ancora dottoranda all’università e lei mi aveva scritto una email per complimentarsi per un articolo apparso su un quotidiano. Dopo qualche tempo ci incontrammo per bere un bicchiere di vino, lei rosso, io rigorosamente bianco. Non dimenticherò mai la sua espressione quando mi vide arrivare con un paio di imbarazzanti paraorecchie di peluche bianchi. Ricordo che strabuzzò gli occhi e mi disse che dovevo avere un gran livello di autostima per mettere “quei cosi”. E da quel momento, anche se le nostre frequentazioni non sono state quotidiane, non abbiamo più smesso di chiacchierare: della sua esperienza politica, della mia vita professionale e soprattutto dei nostri comuni difetti che tanto ci piace considerare pregi. Un messaggio ogni tanto, una chiamata qua e là (più le volte che parlavamo per interi minuti alle rispettive segreterie), qualche incontro fortuito nella sua amata Lugano, un bicchiere di vino e, quando le agende lo permettevano, una bella cena (con lei che arrivava sempre con almeno mezz’ora di ritardo…). Non sa quanto mi piacerebbe ancora poterla aspettare, tenerle un po’ il muso per il ritardo per poi cedere alla sua cortesia e affabilità. Perché lei, caro amico, era anche questo. Serate a discutere dei progetti della sua Lugano, perché era un ascoltatore attento e cercava di capire meglio attraverso lo sguardo e le competenze degli altri come affrontare i problemi. Ma era anche sempre disponibile a risolvere quelli altrui. Sabato sera ho impiegato 7-8 minuti a scegliere il gusto del gelato e lei ha pazientemente atteso mentre mi convincevo mangiando il suo. Di fronte a quel gelato avevamo iniziato a parlare di grandi progetti e sfide future che lei mi avrebbe aiutato a realizzare. Avevo ancora tanto da imparare del suo mondo. Ora invece se n’è andato. Ora Marco, te ne sei andato. È la prima volta che ci diamo del tu. Il “lei” divertiva i nostri interlocutori che non capivano come fosse possibile che dopo tanti anni ci dessimo ancora del lei. Ma era diventato un po’ il nostro gioco. Mi mancherà, Marco, non vederti più camminare nella tua Lugano. Un ultimo forte abbraccio, Amalia
Quando si è chiamati a rilasciare un’intervista, giustamente, ci si prepara eccome. Oggi voglio farvi vedere i miei appunti per l’intervista di Tempi Moderni del 28.05.2021, che ringrazio. In più, vi allego il risultato finale…
Un giudizio sull’intervento dello Stato a seguito della crisi Covid-19
L’intervento iniziale, quello d’urgenza, è stato sicuramente ottimo sia nei tempi che nelle modalità. I crediti garantiti dallo Stato hanno permesso alle aziende di non avere problemi di liquidità. Mentre l’ampliamento dell’indennità per l’orario ridotto e la semplificazione ha permesso di non dover licenziare i collaboratori e le collaboratrici. Sono molto più critica per gli interventi successivi. Passata l’emergenza purtroppo il Consiglio federale non è stato in grado di fare una pianificazione degli aiuti e degli interventi come hanno fatto altri stati. Ad un certo punto sembrava si mettessero ogni giorno nuovi cerotti. Concretamente per alcuni settori si sarebbero potute prevedere misure migliori da attuare durante le chiusure obbligatorie. Pensiamo già solo alla formazione continua che poteva essere organizzata per le persone che non potevano lavorare o al finanziamento di interventi di manutenzione o investimenti per ristoranti, piscine o palestre.
Per quanto ancora potrà durare l’intervento dello Stato e in quali forme
Quello che ci deve interessare è la sopravvivenza delle nostre aziende che ci garantiscono di poter lavorare e vivere dignitosamente. Quello che deve preoccuparci sono i posti di lavoro per le persone che vivono in Ticino e per i loro figli. Quelli che hanno finito gli studi e quelli che si apprestano a iniziare degli apprendistati. Anche se alcuni indicatori come l’andamento delle esportazioni, i dati sui consumi sembrano mostrarci una situazione positiva a livello nazionale, secondo me, in alcune regioni gli effetti di questa crisi devono ancora manifestarsi appieno. E in questo caso penso al Cantone Ticino. Tante piccole e medie imprese non sanno se sopravvivranno. E non dimentichiamo che il nostro Cantone vive di piccole e medie imprese: sono i nostri posti di lavoro, sono i posti di lavoro dei nostri figli, sono i posti di apprendistato dei nostri giovani. È probabile che il Cantone dovrà sostenere maggiormente il nostro tessuto economico.
Un’opinione sull’idea di pacchetti di intervento milionari in Svizzera stile quelli degli Stati Uniti o dell’Unione Europea
Personalmente ritengo che i pacchetti previsti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea non siano veramente una risposta di tipo congiunturale, nel senso che non sono una vera e propria risposta a questa crisi economica. Sono piuttosto un cerotto a ritardi in alcuni settori anche decennali, pensiamo ad alcune infrastrutture come ad esempio alla rete ferroviaria negli Stati Uniti oppure alcune spese di aggiornamento degli insegnanti in Italia. Secondo me si è agito troppo in fretta. Assolutamente corretto pensare a un programma di investimenti tra pubblico e privato anche in Svizzera, ma queste cose non devono essere improvvisate. Ben vengano progetti di sostegno alla trasformazione delle aziende verso la digitalizzazione in maniera da tutelare i posti di lavoro, gli investimenti in infrastrutture e in ricerca tra pubblico e privato. Ma tutto fatto sempre bene e ricordandosi che le risorse andranno prese dai cittadini.
Un’opinione sui pacchetti di investimenti negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Cina
Nel caso degli Stati Uniti l’impressione è che la manovra sia piuttosto di tipo elettorale che non veramente economica. Mi spiego. Il primo pacchetto di aiuti è stato di 1’900 miliardi di dollari e non si è nemmeno finito di spendere quelli che il Presidente Biden ha annunciato un ulteriore pacchetto di 2’200 miliardi. Gli interventi annunciati sembrano più che proiettati verso il futuro, un tentativo di sanare ritardi decennali in alcuni settori. E poi non dimentichiamo che queste manovre vanno finanziate. Dopo pochi giorni ha annunciato l’aumento delle imposte e lanciato l’idea che tutti gli Stati dovrebbero avere una aliquota minima di imposte. Insomma, gli Stati Uniti iniziano a perdere in competitività fiscale e vogliono che gli altri Stati peggiorino la loro. Discorso diverso il programma economico lanciato dalla Cina che ambisce ora, giustamente, a migliorare il benessere dei suoi cittadini così da garantirsi una domanda interna elevata e a investire pesantemente dell’innovazione e nella tecnologia. Non a caso la Cina si appresta a breve a superare gli Stati Uniti e diventare la prima potenza mondiale.
La fine dell’Accordo Quadro Finalmente questa questione è stata chiusa e risolta. I punti di discordia come l’applicazione automatica delle leggi europee, i rischi per il nostro mercato del lavoro, la tutela delle nostre banche cantonali e il diritto per i cittadini europei alle nostre prestazioni assistenziali erano troppo grandi. Ora sarà necessario sedersi al tavolo e farlo però ritenendo che tutte e due le parti hanno pari dignità. La Svizzera ha necessità di buoni rapporti con l’Unione Europea e l’Unione Europea ha bisogno di buoni rapporti con la Svizzera. Non dimentichiamo che l’Unione Europea “tiene” circa 800 mila posti di lavoro grazie ai buoni rapporti con la Svizzera, Si torni a discutere di accordi bilaterali, e magari anche tutelando maggiormente i cantoni di confine come il nostro. I problemi sul mercato del lavoro sono sotto gli occhi di tutti.
Ieri sera ho passato una splendida serata con delle amiche. A due di loro avevamo regalato due bandeaux, ma io non sapevo assolutamente cosa fossero. Così all’apertura dei pacchi ho scoperto che il bandeau è un pezzetto di stoffa. Mi sono permessa di dire a voce alta “ah, ma è un foulard!”. Non lo avessi mai fatto. Le mie amiche mi hanno fulminata con lo sguardo. E avevano ragione. Le sue dimensioni sono troppo piccole per servire a coprire dal freddo. Lungo tra i 50 e 120 centimetri, largo tra i 5 e gli 8, non può proprio essere una sciarpa. Ma qui è arrivata l’economista che è in me e dando un’occhiata ai prezzi medi dei marchi più noti, ho scoperto che il costo medio di quel pezzetto di stoffa è di circa 5’000 franchi al metro quadrato. Incuriosita sono andata avanti con la ricerca. Il bandeau è uno dei primi accessori usato da uomini e donne per ornare i capelli. Lo mettevano già gli assiri, i greci e i romani. Vedete, da sempre l’essere umano non consuma solo beni di prima necessità. Al contrario i beni catalogati come superflui rappresentano oggi una fetta importantissima dell’economia dei paesi industrializzati. Ma torniamo ai “fazzoletti da collo”. Sfogliando nel web si apre un mondo. Decine e decine di articoli che parlano di questo accessorio, centinaia di fashion blogger che postano fotografie su come indossarlo e migliaia di modelli diversi tra materiali, dimensioni e fantasie. Un bel business. Scopriamo che è possibile usarlo come fascia per capelli (e pare che lo indossasse anche la regina Maria Antonietta), come foulard in sostituzione alla collana, legarlo intorno alla vita, al braccio o al polso. Ma pensate, può essere usato anche come decorazione per la borsetta, cioè l’accessorio dell’accessorio. Se qualche uomo è arrivato fino a questo punto dell’articolo, sveliamo che anche loro utilizzano qualcosa di simile. Guardate gli sportivi e in particolare i tennisti. I primi a indossarlo alla fine degli anni ’70 furono John McEnroe e Björn Borg. Ma torniamo ai giorni nostri. L’ennesima rinascita di questo accessorio la si deve a Louis Vuitton che nel 2015 ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia. Proprio il settore della moda e degli accessori è stato uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi Covid-19, probabilmente secondo solo a quello ricreativo e del turismo. In Italia per esempio si stima che nel 2020 il fatturato si sia ridotto del 26% con una perdita di oltre 25 miliardi di euro. L’anno precedente il settore aveva generato un fatturato di 98 miliardi. Purtroppo i primi mesi del 2021 con gli importanti confinamenti e le chiusure non hanno mostrato segni incoraggianti. Ma un segnale incoraggiante c’è. Le intenzioni delle grandi multinazionali del settore di accelerare verso una moda sostenibile. Così leggiamo che si vogliono ridurre gli sprechi per preservare le risorse, sviluppare nuovi metodi di produzione, riciclare e riutilizzare i materiali. Ma non solo. I grandi marchi si sono accorti che un altro business sta prendendo piede e garantendo cifre d’affari interessanti: la vendita di abiti e accessori di seconda mano. In effetti abbiamo visto che proprio in gennaio di quest’anno la piattaforma californiana di rivendita di abbigliamento di seconda mano Poshmark è stata quotata con successo in borsa. Il suo fatturato è di oltre 190 milioni di dollari e vanta una crescita annuale di quasi il 30%. E iniziano ad aprire anche negozi fisici. Siamo certi che i grandi marchi non staranno a guardare. D’altra parte ben venga il riciclaggio anche dei vestiti e degli accessori! PS. Quando ho aperto il mio regalo di compleanno sapevo benissimo che quel meraviglioso accessorio si chiamava “splendida borsa fucsia”! Grazie amiche 😉
la versione audio: Di bandeaux e borsette. Gli accessori? Un capriccio già degli antichi
Il Polo Sportivo di Lugano si farà; forse. Il consiglio Comunale nella seduta del 29 marzo ha deciso di approvare questo progetto. Da mesi la città di Lugano dibatte e si batte su due importanti infrastrutture. L’aeroporto di Agno e appunto il Polo Sportivo. Lugano è la città più importante del Cantone, oltre a essere l’ottava città più popolata in Svizzera. Un quarto di tutte le aziende e di tutti gli impieghi del Cantone si trova in questa città. Città che contribuisce in maniera sostanziale alla perequazione intercomunale, ossia al fondo con cui i comuni più “ricchi” danno risorse ai comuni più “poveri”. Insomma, quando Lugano ha il raffreddore, il Cantone deve misurarsi la febbre. Proprio per mantenere questa sua forza, come tutte le grandi città, anche Lugano dovrà ripensarsi nei prossimi anni. Questo il mio pensiero pubblicato qualche settimana fa dal Caffè (14.03.2021)
Il passo più difficile è dimenticare il glorioso passato La maggioranza dei fattori con cui bisogna fare i conti sfugge al controllo. Due differenti dinamiche hanno caratterizzato il nostro Cantone negli ultimi anni. Da una parte le città considerate fino a qualche tempo fa le “sorelline minori” hanno potuto innovare, sperimentare, costruirsi un’identità più specifica che le fa apparire oggi dinamiche e con il vento in poppa. Dall’altra parte Lugano, la locomotiva del Cantone, che faceva i conti con dei cambiamenti strutturali che ne avrebbero intaccato in parte la sua stessa identità. Pensiamo all’impatto che hanno avuto il ridimensionamento della piazza finanziaria e delle attività collegate, la riduzione dei posti di lavoro, la diminuzione delle entrate fiscali o ancora la fine di un certo turismo “di lusso”. Questi elementi accompagnati dalla necessità di gestire problematiche tipiche delle città più grandi e multietniche hanno fatto sì che il contesto si modificasse rapidamente richiedendo attenzioni particolari. Ora però siamo a un punto di svolta. La Nuova Lugano ha tutte le carte per programmare il suo sviluppo futuro. Il compito non è semplice, soprattutto quando richiede la capacità di estraniarsi dal presente in cui si vive e si decide, per proiettarsi nei dieci-quindici anni successivi. L’orizzonte temporale per le grandi manovre purtroppo non è mai il breve termine. Così Lugano dovrà scegliere su quali settori e ambiti scommettere. Poi dovrà avere il coraggio di costruire le condizioni quadro favorevoli e soprattutto di investire. Di certo la città non parte da zero. Potrà sfruttare la sua posizione tra due metropoli come Zurigo e Milano; il suo essere città universitaria che si svilupperà ulteriormente grazie alla facoltà di scienze biomediche; le competenze della piazza finanziaria e del settore del commercio delle materie prime; la rinascita di un turismo di qualità. Senza dimenticare tutto ciò che si sta sviluppando nell’agglomerato luganese: dall’intelligenza artificiale, alla farmaceutica, dalle scienze infermieristiche, alla tecnologia. Le possibilità non mancano. Tuttavia, come per ogni cambiamento, probabilmente il passo più difficile è mettere da parte il glorioso tempo che fu. Tratto da il Caffè, 14.03.2021
La versione audio: Il polo sportivo di Lugano si farà! Forse…