C’è un’immagine che descrive bene l’economia svizzera in questo inizio estate: una bilancia in equilibrio instabile. Da una parte segnali che fanno sperare, dall’altra numeri che invitano alla prudenza. A maggio 2025, l’indicatore anticipatore del KOF Konjunkturbarometer è salito a 98.5 punti, dopo il crollo di aprile (97.1). Un miglioramento, sì, ma ancora non abbastanza: siamo sotto la soglia dei 100 punti che indica una congiuntura sopra la media. Il barometro del KOF misura ogni mese le aspettative sull’economia svizzera a 3-6 mesi, aggregando vari dati (produzione, ordini, export…).
A trainare questa timida ripresa è soprattutto il settore manifatturiero: le imprese della chimica, dell’agroalimentare, del legno e della carta riportano attese più favorevoli. Anche la percezione sulla competitività e sulle esportazioni migliora. Ma la domanda, sia interna che estera, resta debole.
E questo trova conferma nei dati reali sul commercio estero pubblicati dall’Ufficio federale della dogana: aprile 2025 è stato un mese difficile. Le esportazioni svizzere, corrette dagli effetti stagionali, sono scese del 9,2% rispetto a marzo; le importazioni addirittura del 15,6%, peggior dato mensile dal 2020. Ma attenzione: si tratta di dati nominali, cioè non corretti per l’andamento dei prezzi. A prezzi costanti, il calo è più contenuto: –3,3% per le esportazioni e –10% per le importazioni. Inoltre, marzo aveva mostrato una crescita eccezionale e anomala delle esportazioni.
A provocare questi sbalzi è, ancora una volta, il settore chimico-farmaceutico. Solo i medicinali hanno perso quasi 3 miliardi in un mese, –44%. Anche le importazioni di questi prodotti si sono ridotte di un terzo. Quando un settore pesa così tanto, trascina con sé tutto il commercio.
Ci sono però eccezioni positive: l’orologeria svizzera ha toccato un massimo storico con 2,6 miliardi (+16%). Anche strumenti di precisione e macchine industriali tengono. E se l’export verso gli USA è crollato del 36%, quello verso l’Asia è cresciuto del 4,4%, soprattutto grazie a Cina (+15,2%) e Giappone (+5%).
Curiosamente, il crollo delle importazioni ha portato a un avanzo commerciale record: 6,3 miliardi di franchi. Ma non è un segnale di forza: se importiamo meno, rischiamo di produrre e quindi esportare meno. E in un’economia povera di materie prime, importare è spesso il primo passo per poter vendere all’estero.
In sintesi: qualche segnale positivo c’è, ma servono conferme. Le imprese sperano in una ripresa, ma per ora i numeri veri la rimandano. Serve calma, capacità di leggere il quadro d’insieme e resistere tanto al panico quanto all’euforia.
