«Così rovinate il Ticino e i ticinesi»

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Le aziende “recluta frontalieri” che pagano i dipendenti col minimo salariale sono in aumento.

BELLINZONA/ LUGANO – Camminano sul filo di lana. Rispettano la legge, pagando i dipendenti il salario minimo. Ma allo stesso tempo risultano dannose per il Ticino e per i ticinesi. Sono le “aziende recluta frontalieri”. Una vera piaga per la Svizzera italiana. Che si declina in varie forme. Strutture sanitarie, fabbriche, aziende di produzione. E tanto altro. «Tutti guardano e nessuno fa niente», sostiene Amalia Mirante, economista ed esponente del movimento Avanti Ticino&Lavoro, interpellata da tio.ch.

Aziende che rispettano il minimo salariale e che allo stesso tempo sono piene di frontalieri. Le domande dovrebbero sorgere spontaneamente.
«Grazie al cielo è stato istituito un minimo salariale, tra i 20 e i 20 franchi e 50 all’ora, a dipendenza del settore. In passato avevamo situazioni da 12-13 franchi all’ora. Ma non possiamo accontentarci. È evidente qual è il giochino fatto da chi gestisce queste aziende».

Spieghiamolo.
«Arruolano quasi solo frontalieri perché con quella paga in Italia si vive. I residenti invece sono penalizzati: non vengono assunti e se vengono assunti non vivono senza l’aiuto dello Stato. E i residenti a cui viene detto no, sono tanti: più di quelli che immaginiamo».

Se qualcuno reclama, non succede nulla.
«No. Appunto. Perché la legge è rispettata. Ma resta comunque un gioco al massacro. Una guerra tra poveri. I residenti che lavorano in queste aziende fanno fatica ad arrivare a fine mese e questo non è sintomo di un Paese che si sviluppa, anzi».

Chi vive qui, non ha quasi margini col salario minimo…
«Figuriamoci se riesce a risparmiare qualcosa: impossibile. Senza dimenticare che stipendi bassi equivale a pagare bassi contributi previdenziali che portano a ipotecare una vita difficile anche quando si arriverà alla pensione». 

Per forza di cose, questi residenti sono obbligati a ricorrere all’aiuto sociale. 
«La cosa grave è che già oggi tanti pensionati devono andarsene perché non ce la fanno più a vivere in questo Cantone. È una situazione su cui bisogna intervenire».

Perché nessuno si sta opponendo a questo trend?
«La politica dice che non si può fare niente. Non è vero. Certo, le direttive sul salario minimo sono dettate a livello federale. Ma ci sono i metodi per cambiare le cose, basta volerlo. Con le aziende si parla. Ed esistono anche altre possibilità».

Ad esempio?
«Si potrebbero incentivare diversamente le aziende virtuose. Perché il rischio è che anche quelle che fanno sforzi e sacrifici per dare salari maggiori e una qualità di vita ai loro collaboratori, quelle che non sfruttano il frontalierato per risparmiare sugli stipendi e guadagnare di più loro, presto o tardi saranno costrette a rivedere le loro posizioni per sopravvivere a questa concorrenza sleale».

Domanda schietta: alcuni politici hanno interessi personali nel mantenere questa situazione?
«Mi auguro proprio di no. Perché altrimenti si giustifichino nei confronti dei cittadini di questo Cantone».

D’accordo. Ma i Comuni per esempio? Non dicono nulla pur sapendo di avere sul loro territorio delle aziende fatte praticamente solo di frontalieri.
«Inutile nascondersi. Nelle casse dei Comuni arrivano indirettamente dei soldi che derivano dalle imposte alla fonte. Ci guadagnano anche i Comuni da questa storia».

Quanto dumping creano queste aziende?
«Il rischio è altissimo. Pensate se tutte le aziende facessero così. E non si tratta solo di salari, la questione è ancora più grave. Da una parte, se continuiamo a consentire la presenza di migliaia di posti di lavoro che non riescono a garantire salari svizzeri sul nostro territorio, vuol dire che continuiamo a sviluppare un modello ticinese di “Cina (di una volta) della Svizzera”». 

E dall’altra?
«Dall’altra si parla di aziende che potrebbero pagare salari ben più alti, ma non lo fanno. E in questo caso, che prospettive professionali diamo ai nostri giovani se noi per primi non riconosciamo il valore delle competenze e delle qualifiche? Il nostro Cantone rischia di diventare un Cantone fabbrica dove si arriva al mattino, si lavora e si vive altrove la notte. Quando addirittura non si scappa del tutto. Così si stanno rovinando il Ticino e i ticinesi».

Intervista di Patrick Mancini pubblicata su Ticinonline, 31.10.2025

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Il calendario dell’avvento ci porta… il salario minimo!

La prima casellina di dicembre del calendario dell’avvento porterà ai ticinesi il salario minimo. E questo dopo sei anni e mezzo dalla votazione in cui ne hanno accettato l’introduzione. Ho fatto questa battaglia in prima persona perché credo fortemente che il nostro mercato del lavoro vada tutelato.
Finalmente anche questo cantone avrà un piccolo strumento per contrastare le conseguenze devastanti della concorrenza. Sì, avete letto bene, della concorrenza. Sembra un paradosso eppure è così. Sui manuali di economia impariamo che la concorrenza è il migliore dei mondi possibili. I cittadini possono comperare i beni che vogliono a un prezzo giusto, mentre le aziende possono liberamente produrli. In questo senso il modello è perfetto. Peccato che nella realtà le cose non funzionino così.
L’ideale che ha mosso la creazione dell’Unione Europea è proprio la concorrenza. Libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Spostarsi liberamente tra le nazioni, vendere e comperare beni prodotti nel resto d’Europa, trasferire la propria azienda a piacimento avrebbero dovuto garantire un aumento del benessere dei cittadini.
Ma questo sarebbe stato possibile solo se le condizioni di partenza dei paesi fossero state le stesse. Purtroppo non era così. Quello che è successo è che la libertà di circolare ha trasformato i lavoratori in merci. E come ogni merce, anche loro si spostano in funzione del prezzo migliore. Questo ha fatto sì che anche le aziende si trasferiscano dove la “merce” lavoro costa meno.
La Svizzera, non fa parte dell’Unione Europea eppure ne ha sottoscritto i principi fondanti. Così i lavoratori residenti in Italia si trovano in concorrenza con i lavoratori residenti in Ticino, senza più regole (proprio come vuole l’Unione Europea). Le imprese il lavoro lo “comperano” dove costa meno. Essendo noi al confine con un paese in cui il costo della vita rapportato alla nostra moneta nazionale è enormemente inferiore, diventa possibile offrire lavoro ad un prezzo più basso.

Il salario minimo votato oltre sei anni fa non poteva andare a correggere tutte le distorsioni del sistema. Cercava di mettere un cerotto a una situazione che già allora appariva drammatica. Avrebbe dovuto essere il primo tassello di tante altre misure a sostegno di un’economia in cui tutelare primi fra tutti i piccoli e medi imprenditori. Perché? Perché come è possibile per una piccola e media impresa competere sui mercati internazionali continuando a offrire salari elevati e a formare gli apprendisti mentre dall’estero arrivano aziende che fanno lo stesso prodotto usando manodopera a basso costo? Impossibile!
Sì, la piccola e media impresa è stata messa a dura prova ed è mancato il coraggio di proteggerla. Oggi il salario minimo è una tutela anche alla piccola e media impresa, quella piccola e media impresa legata al territorio.

La versione audio: Il calendario dell’avvento ci porta… il salario minimo!