Una pensione a metà per chi lavora a metà

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Uno studio appena pubblicato dalla Società degli Impiegati del Commercio Svizzera (SIC) e dalla Hochschule für Wirtschaft Zürich (HWZ) mostra un problema noto ma ancora irrisolto: molti lavoratori e lavoratrici, pur avendo un impiego, restano esclusi dal secondo pilastro della previdenza professionale. Sono il 9,2%, quasi uno su dieci.
Il sistema LPP si basa sulla capitalizzazione individuale, che però si attiva solo oltre una soglia di reddito annuo, oggi 22’680 franchi. Sotto questa cifra non si è assicurati e non si accumula alcuna rendita. È un meccanismo pensato per un mondo del lavoro che non esiste più: quello a tempo pieno, stabile, con ruoli familiari tradizionali.
Oggi invece il 40% delle persone lavora a tempo parziale e circa l’8% ha più impieghi. Chi divide le ore tra più datori o lavora su chiamata spesso non supera la soglia con nessuno di essi e i salari non si sommano: il risultato è la mancanza totale di copertura previdenziale.
Il fenomeno riguarda tutti, ma le donne sono le più colpite: lavorano part-time quasi tre volte più degli uomini e, nel commercio al dettaglio, oltre l’80% di chi resta sotto la soglia è femminile. È l’effetto di carriere frammentate e di politiche familiari ancora troppo rigide.
Alcuni correttivi esistono già: alcune casse pensioni permettono di ridurre la deduzione di coordinamento o di aderire volontariamente anche sotto la soglia; in altri casi conviene accorpare gli impieghi presso un datore principale. Per chi resta escluso, l’unico strumento resta il terzo pilastro, che però non basta a compensare intere carriere “scoperte”.
La tendenza è chiara: le nuove generazioni cercano flessibilità, orari ridotti e lavori multipli. È una scelta legittima, ma il sistema previdenziale non è stato progettato per questo. Se non cambiamo rotta, una parte crescente della popolazione rischia la povertà nella vecchiaia.
Serve una riforma seria, che parta da piccoli passi come rivedere la soglia LPP, sommare i salari, favorire l’affiliazione sotto la soglia, coordinare meglio II e III pilastro, ma che allo stesso tempo guardi lontano. Il nuovo mercato del lavoro, la bassa natalità e l’aumento della speranza di vita impongono un ripensamento generale.
Forse dovremo pensare a due fasi distinte della vita: quella lavorativa e quella di pensionamento. Ma anche il sistema sociale e sanitario dovranno cambiare: invecchiare non è malattia, fa parte del decorso della vita.

Finanziamento dei sistemi previdenziali: dalle urne un invito a trovare nuovi modelli

Ancora una volta la maggioranza dei cittadini ha detto no alla riforma del II pilastro. Lo aveva già fatto nel 2010 e nel 2017.
Per i contrari non è stato difficile far capire ai cittadini che questa riforma avrebbe comportato una riduzione del loro benessere in relazione ai contributi versati. Eppure, non sarebbe stata la prima volta che il popolo svizzero, per garantire stabilità al sistema, votava “contro i suoi interessi di breve periodo”. Pensiamo al rifiuto delle sei settimane di vacanze, agli aumenti dell’IVA o ancora all’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne. E allora perché questa volta il popolo svizzero ha deciso di essere meno “svizzero”?
Nei prossimi mesi gli analisti diranno quali sono state le ragioni che hanno spinto i cittadini a votare no, ma una di queste ci sentiamo di anticiparla con una certa sicurezza. A differenza di buona parte dei media mainstream e degli analisti sorpresi dal voto, molti di noi hanno da subito ritenuto che l’errore commesso nel calcolo del finanziamento dell’AVS e dichiarato nel mese di agosto con modalità a dir poco rocambolesche, avrebbe giocato un ruolo determinante. In un sistema come quello svizzero, fortemente democratico, dove i cittadini sono sovente chiamati alle urne, la certezza dei dati e dei fatti deve essere sempre garantita. I cittadini sono liberi di votare anche tirando la monetina, ma quando si tratta di cifre e quindi di qualcosa che dovrebbe essere poco opinabile, deve esserci la certezza della solidità e della fiducia nelle nostre istituzioni. Questo è venuto a mancare.
Probabilmente il Consiglio Federale avrebbe dovuto rimandare la votazione attendendo dati “certi” sull’evoluzione dei conti delle assicurazioni sociali così da riguadagnare la fiducia dei cittadini. Ma così non è stato fatto e si è andati incontro a un esito abbastanza scontato.
E ora, come risolviamo i problemi dei nostri sistemi previdenziali? Con una stagione che si preannuncia di bassi tassi di interesse la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi. Per questo è necessario cambiare completamente paradigma e anziché proporre cerotti che non vanno a curare il sistema bisogna creare nuovi modelli assicurativi e previdenziali pensati per la società odierna. L’ennesimo aumento dei premi cassa malati mostra tutti i limiti degli strumenti del nostro stato sociale. Se vogliamo veramente preservarlo, è ora di avere lo stesso coraggio che hanno avuto i nostri predecessori nell’introdurre l’AVS, il II pilastro e la cassa malati obbligatoria. Strumenti ottimi, ma che purtroppo non risultano più utilizzabili in una società in cui nascono meno bambini, ci si forma di più e si vive più a lungo. Ci vuole coraggio a rimettere tutto in discussione e proporre modelli nuovi, ma questo è il momento giusto.

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Pubblicato da L’Osservatore, 28.09.2024

Pensiamo ad una nuova AVS

Il popolo svizzero è stato chiaro: vuole la tredicesima AVS e non vuole lavorare un anno di più. Almeno non per il momento. Le ragioni per l’esito di questa votazione possono essere molteplici, e forse alla fine non hanno neppure una grande importanza.
Ora bisogna capire come finanziare questa ulteriore indennità. Il primo pilastro è basato su un sistema a ripartizione: le persone che lavorano attualmente pagano le pensioni delle persone che non sono più attive. Esiste un piccolo fondo di compensazione che deve essere almeno pari a un anno di contributi erogati (ca. 45-55 miliardi di franchi). In questo caso quindi il sistema si fonda sulla solidarietà: dai giovani agli anziani, dagli attivi ai pensionati, dai sani ai malati e dai “fortunati” alle vedove e agli orfani.
Se si considera il sistema attuale le soluzioni non sono molte: aumentare i contributi sul lavoro, aumentare la quota che versa la Confederazione o aumentare direttamente l’imposta sul valore aggiunto o la tassa sulle case da gioco o la loro quota. Tutte queste misure però comportano una riduzione del potere d’acquisto per la fascia toccata o la rinuncia ad altri compiti (nel caso dell’aumento della quota parte della Confederazione). Soluzioni che paradossalmente potrebbero esercitare l’effetto contrario della nuova politica pubblica: per esempio aumentare l’IVA significa rendere più povere le persone meno abbienti.
Per questo bisogna avere coraggio e ripensare i nostri sistemi sociali e previdenziali. E bisogna farlo guardando alla società tra vent’anni e non più a quella del 1950, quando è stata istituita l’AVS. Questa riflessione deve essere fatta subito cogliendo l’occasione data da questa votazione. Purtroppo gli scontri generazionali iniziano a farsi sentire e potrebbero mettere in pericolo la coesione della nostra società. Pensiamo ai premi cassa malati e alla colpevolizzazione degli anziani, ritenuti da alcuni i responsabili perché vanno nelle case per anziani o hanno bisogno di aiuti a domicilio. In maniera ripensabile, oggi questi costi rientrano anche nelle spese di malattia. Ma l’invecchiamento non è una malattia, l’invecchiamento è il decorso della vita.
A partire da queste riflessioni dobbiamo avere il coraggio di pensare una nuova assicurazione sociale che tenga conto del decorso della vita. L’uscita dal mercato del lavoro dovrà essere considerato il punto di svolta per creare nuovi strumenti che diano le giuste risposte ai bisogni che nascono da quel momento e che trovino i giusti finanziamenti. Smettiamola con i cerotti e troviamo il coraggio di salvaguardare la pace intergenerazionale che è una delle componenti più importanti delle nostre società. Per farlo dobbiamo studiare una nuova assicurazione sociale.

Pubblciato da L’Osservatore, 09.03.2024

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Basta aumentare le tasse! La riforma dell’AVS non si fa aumentando l’IVA

Basta aumentare le tasse perché non si vogliono affrontare i problemi. E soprattutto basta aumentare l’IVA solo perché è la decisione politica più semplice da prendere.
I sistemi previdenziali sono in crisi in tutto il mondo. Non è certo una scoperta di oggi che l’AVS e il II pilastro necessitano di essere curati. Ma la cura non può essere una minestra riscaldata. Ci vuole serietà e anche coraggio.
Sapete quale è il problema? Viviamo troppo a lungo, studiamo troppo e moriamo in pochi. Se a questo aggiungiamo che facciamo meno bambini, che mancano investimenti sicuri e redditizi e che ci sono tassi di interesse bassi mai visti prima, abbiamo elencato le ragioni per cui i nostri sistemi pensionistici sono in crisi. Ma la crisi dipende dal fatto che la loro struttura è stata pensata per una società di 70 anni fa. E quindi il problema del finanziamento dell’AVS e del II pilastro può essere risolto solo con una riforma globale. Purtroppo la nostra classe politica non pare avere coraggio e cerca di farci mangiare il minestrone una verdura alla volta anziché tutto insieme. Mi spiego meglio.
Nel 2017 il popolo svizzero ha bocciato la riforma 2020. Questa prevedeva l’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, l’aumento dell’IVA di 0.3 punti percentuali, la riduzione del tasso di conversione dal 6.8% al 6%, l’aumento dei contributi sociali dello 0.3% e l’aumento della partecipazione della Confederazione. Come vi dicevo prima un bel minestrone di misure. Il popolo ha detto no. E che cosa ha deciso di fare la nostra classe politica? Ha deciso di presentarci le verdure non più nel minestrone ma una alla volta. Non mi credete? Seguitemi.
Nel 2019 il popolo ha accettato la “Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS” più famosa come RFFA accettando di aumentare i contributi sociali e di aumentare la partecipazione della Confederazione all’AVS. La riduzione del tasso di conversione è oggetto della riforma del II pilastro, mentre l’aumento dell’età di pensionamento delle donne e l’aumento dell’IVA è in discussione in Parlamento in questi giorni. Dell’aumento dell’età di pensionamento femminile l’opinione pubblica se ne sta già occupando.
Quello che veramente mi lascia perplessa è che nessuno abbia detto no all’aumento dell’IVA. Certo è facile da un punto di vista burocratico ritoccare al rialzo la percentuale dell’Imposta sul valore aggiunto. E forse è facile anche farla digerire ai cittadini se si dice che dopotutto in Italia è al 22% o in Germania al 19%. Ma attenzioni, signori, c’è una ragione ben precisa perché da noi l’IVA è solo al 7.7%.
La Svizzera a differenza delle altre nazioni europee ha deciso di incassare la fetta più importante delle sue entrate fiscali con la tassazione diretta della potenzialità delle persone e delle aziende. Anche se può apparire un po’ difficile da capire, questo sistema fiscale se ben modulato è la più grande garanzia di equità. Cosa che non avviene quando tassiamo attraverso le imposte indirette sul consumo, sulla spesa o sul possesso. Per farla semplice, quando compilerete tra qualche giorno la dichiarazione delle imposte, lo Stato vi tasserà in funzione delle vostre capacità. Quando invece andate a fare la spesa o a bere un caffè o a comperare un’automobile, pagate esattamente la stessa tassa di una persona milionaria. Insomma, se ci riflettiamo qualcosa non torna.
Ma non contenti i nostri politici qualche mese fa hanno pure pensato di prendere una parte della tassa sul CO2 (di cui abbiamo già parlato) e metterla nell’AVS. Ancora una volta saranno i meno benestanti a pagare la mancanza di coraggio della nostra classe politica che forse dovrebbe cercare soluzioni serie a problemi che così affrontati rimarranno sul tavolo per decenni.

La versione audio: Basta aumentare le tasse! La riforma dell’AVS non si fa aumentando l’IVA