Dazi USA: quando la politica si incarta, ci pensano gli imprenditori

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Il 14 novembre 2025 arriva finalmente un po’ di calma nei rapporti tra Stati Uniti e Svizzera. Dopo mesi di nervosismo sui dazi, le due parti hanno trovato un accordo: Washington taglia i dazi sulle esportazioni svizzere dal 39% al 15%. Una sforbiciata che non risolve tutto, ma riporta un po’ d’ordine in una relazione che negli ultimi tempi era diventata tesa.

Ovviamente l’accordo non è piovuto dal cielo. La Svizzera ha accettato di togliere i dazi su alcuni prodotti americani e di introdurre quote preferenziali su carne di manzo, bisonte e pollame. Uno scambio abbastanza classico: continuare a commerciare proteggendo settori “delicati” dei due paesi.

A conferma che serviva muoversi in fretta, proprio ieri Swissmem ha reso noto un nuovo calo nelle esportazioni dell’industria tecnologica, con metalli e meccanica sotto pressione. Un messaggio abbastanza chiaro: il settore non aveva più margine per aspettare.

E qui va detto chiaramente: l’accordo non è merito solo delle diplomazie. Il 5 novembre diversi imprenditori svizzeri, quelli che negli USA investono, esportano e rischiano in prima persona, sono andati a trattare sul posto. Hanno spiegato cosa stava succedendo alle aziende, ai lavoratori e alle catene di fornitura. Hanno portato numeri e casi concreti, e hanno dato una spinta decisiva al negoziato. Non è la prima volta che il settore privato aggiusta dove la politica tentenna.

Sul fronte degli investimenti c’è poi un impegno importante: circa 200 miliardi di dollari (160 miliardi CHF) di aziende private negli Stati Uniti entro il 2028, con focus su innovazione, tecnologia e formazione. Non è solo una cifra scenografica. È il segnale di due economie (anche se con potere diverso) che sanno di essere più forti se collaborano.

Risultato: per le imprese svizzere si apre una fase un po’ più stabile e un po’ meno costosa. Buona notizia. Ma servirà attenzione, perché il contesto globale resta turbolento, con tensioni economiche e geopolitiche che rendono il franco svizzero ancora più forte.

E questo, se troppo forte, diventa l’ennesimo problema per l’industria di esportazione. 

Accordo Stati Uniti Cina: buone notizie anche per noi

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L’accordo appena siglato tra Stati Uniti e Cina sui dazi è una buona notizia. Non solo per loro, che da anni si contendono il primato globale a colpi di tariffe e ritorsioni, ma per tutti noi. È un segnale di distensione, e quando due potenze di quella taglia si parlano invece di farsi la guerra commerciale, l’aria si fa subito più respirabile. Anche per la Svizzera.

Non si tratta solo di dazi. Si tratta, prima di tutto, di ridurre l’incertezza. E l’incertezza è il peggior nemico dell’economia. Quando le persone hanno paura del futuro, consumano meno. E quando i consumi calano, le imprese producono meno, assumono meno e addirittura licenziano. In aggiunta le aziende prevedono che le cose peggioreranno e quindi investono meno. Questo rallenta l’intera economia. E rallenta ovunque.

Un accordo tra USA e Cina, quindi, ha un primo effetto immediato: riattiva la fiducia. E senza fiducia, l’economia non gira. Le aziende non pianificano, i consumatori non spendono, i governi rinviano. Ma se si ristabilisce un orizzonte stabile, allora si torna a investire, a produrre, a costruire. E la crescita riparte.

Per la Svizzera questo è particolarmente importante. Siamo un Paese esportatore. Ma non solo: i nostri prodotti fanno parte di filiere globali complesse. Pensiamo all’orologeria, alla farmaceutica, alla meccanica di precisione, all’elettronica. Importiamo materie prime e componenti da tutto il mondo, li trasformiamo qui, e poi li rivendiamo. Se le regole del gioco cambiano continuamente, o se due giganti economici si fanno la guerra, noi finiamo nel mezzo. Dobbiamo pagare di più per quello che importiamo e vendere ad un prezzo più alto quello che vendiamo: insomma, il peggiore dei mondi.

Un sistema aperto, stabile e prevedibile è la condizione minima per difendere il nostro modello economico. Più i grandi si parlano, più noi possiamo fare bene quello che sappiamo fare meglio: innovare, produrre qualità, vendere ad alto valore aggiunto.

E c’è un altro punto. Quando i mercati si chiudono, i prodotti in eccesso finiscono da qualche altra parte. Se la Cina non riesce a vendere negli Stati Uniti, quei beni cercheranno sbocchi altrove. Anche in Europa. Anche da noi. E questo significa concorrenza più aggressiva, prezzi più bassi e difficoltà per i nostri settori.

In sintesi: l’accordo tra Stati Uniti e Cina è una buona notizia perché riduce l’incertezza, protegge le catene globali di produzione e aiuta a evitare squilibri nei mercati. Non risolve tutto, ma è un passo nella direzione giusta. E per un’economia aperta come la nostra, è un passo che conta.

Sintesi dell’intervista rilasciata a Radio Ticino, 12.05.2025

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La crisi mondiale si fa sentire anche in Svizzera

I dati appena pubblicati sul commercio estero della Svizzera riferiscono di un primo trimestre di quest’anno non troppo entusiasmante. Le esportazioni hanno superato di poco i 64 miliardi di franchi mentre le importazioni si aggirano attorno ai 55,5 miliardi. Rispetto al trimestre precedente entrambi i flussi nominali, ossia i valori in franchi senza considerare l’effetto dell’inflazione, mostrano una riduzione, rispettivamente del -0.8% e del -1.9%. La situazione migliora un po’ se si va a guardare il dato in termini reali, quindi tenendo conto dell’effetto dei prezzi: in questo caso le esportazioni segnano + 0.6% e le importazioni una riduzione di “solo” -0.2%. La differenza tra esportazioni e importazioni, quindi il saldo della bilancia commerciale, chiude con una eccedenza di 8,6 miliardi di franchi.
Attenzione però, questo dato potrebbe indurci in errore. In effetti dobbiamo sempre ricordare che la Svizzera è un paese esportatore netto nonostante tre caratteristiche particolari. La prima è che la nostra nazione è piccola e questo significa che ha poca manodopera e anche poco territorio a disposizione per produrre. Nonostante ciò riusciamo a creare di più di quello che consumiamo e quindi a vendere all’estero. La seconda caratteristica è che la nostra nazione non dispone di una storia di industria pesante. Detto altrimenti non abbiamo un’industria automobilistica storica come la Germania e neppure cantieri navali come l’Italia. Infine, la terza caratteristica è che a differenza di altri paesi noi non abbiamo grandi risorse di materie prime. Questo implica che per poter produrre e vendere all’estero abbiamo bisogno di importare materie prime e prodotti semilavorati a cui aggiungeremo valore aggiunto con la nostra produzione. È proprio per questa ragione che quando le importazioni si riducono dobbiamo essere piuttosto cauti perché questo potrebbe significare che le nostre aziende esportatrici stanno vivendo un calo negli ordini e per questa ragione non comprano dall’estero. Ancora una volta comprendiamo quanto sia importante analizzare i dati economici aldilà dei semplici numeri.
In generale vediamo che la maggioranza dei settori economici ha visto le sue esportazioni ridursi. In particolare hanno sofferto il settore legato alla gioielleria, l’orologeria e gli strumenti di precisione. Anche il settore dei prodotti chimici e farmaceutici, punta di diamante delle nostre esportazioni, è rimasto pressoché stabile. Per quanto riguarda i mercati segnaliamo un certo rallentamento nelle vendite verso l’Asia (in particolare Singapore), un leggero aumento verso l’America del Nord e una certa stabilità verso l’Unione Europea. In questo caso, vediamo che purtroppo la maggioranza dei paesi (inclusi i nostri principali partner commerciali, Germania e Italia) mostra una riduzione degli acquisti, compensati in grande parte dall’aumento avvenuto con la Slovenia.
Naturalmente sappiamo che queste dinamiche dipendono fortemente dalla situazione internazionale, situazione internazionale che con l’allargarsi del conflitto Israelo-Palestinese non potrà far altro che peggiorare.

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Svizzera: le cose sono andate bene, ma non benissimo…

L’economia svizzera non ha chiuso troppo bene il 2022. Qualche giorno fa la Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) ha pubblicato i dati relativi all’andamento del prodotto interno lordo (PIL) svizzero nel quarto trimestre del 2022, ossia del periodo che va da ottobre a dicembre. Il PIL, che ricordiamo è il valore dei beni e dei servizi prodotti all’interno della Svizzera, non è né cresciuto né si è ridotto. Certo non sono buonissime notizie, ma almeno non abbiamo visto un calo.
In effetti, la situazione internazionale avrebbe potuto giocare un ruolo ancora più importante per il nostro paese che grazie al commercio con l’estero garantisce il 12% circa del nostro prodotto interno lordo (altrimenti detto del nostro benessere economico). La conseguenza è chiara: se le cose vanno male nel resto del mondo, i cittadini e le aziende non compreranno i nostri prodotti e quindi ne risentiranno anche le nostre industrie. I dati sono chiari: le esportazioni di beni si sono ridotte dell’1.7%, mentre quelle di servizi sono leggermente aumentate. Ma i dati ci dicono altro. Essendo noi un paese che non ha grandi materie prime per produrre i beni finali, dobbiamo importare queste e i semilavorati dall’estero. Anche in questo caso c’è stata una riduzione dell’1.5% rispetto al trimestre precedente.

Ma non finisce qui. I dati ci dicono anche che il settore dell’industria, quello delle costruzioni, ma anche quello dei servizi legati alla finanza e delle assicurazioni mostrano una certa riduzione. Tengono ma senza risultati eccezionali il settore del commercio, quello dei servizi alle imprese e l’amministrazione pubblica. Notiamo che il settore relativo al turismo e in particolare all’alloggio e alla ristorazione è quello che va meglio con un aumento dell’1.5% rispetto al trimestre precedente. Aumento che tuttavia non ci porta ancora al livello pre Covid-19.

Ma allora com’è possibile che se le esportazioni sono andate male, il prodotto interno lordo svizzero è rimasto stabile? Ad alimentare questo risultato ci pensano le famiglie, l’amministrazione pubblica e le aziende. Il consumo delle famiglie e quello della Stato mostrano una leggera crescita dello 0.3%. Un buon risultato si segnala negli investimenti in beni di equipaggiamento, +1.7%. La crescita dei beni di equipaggiamento è un buon risultato, perché significa che i nostri imprenditori investono in macchinari. Meno bene sono andati gli investimenti in costruzione che per ancora un altro trimestre mostrano una riduzione.

E che succederà in futuro? Attendiamo le previsioni degli esperti, ma per quanto ci riguarda almeno nel Canton Ticino la situazione non sembra così florida: commerci, industria, ma anche servizi finanziari sembrano pessimisti. Speriamo di sbagliarci.

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Le previsioni per il Ticino

Quali sono le prospettive per il nuovo anno dell’economia del Canton Ticino? Andiamo a dare un’occhiata ai diversi settori.

Il settore industriale dopo aver concluso un 2022 meglio del previsto adesso sembra un po’ più pessimista: gli imprenditori giudicano il volume degli ordini come insufficiente e la situazione è peggiorata soprattutto tra le aziende che si rivolgono al mercato estero. Anche le prospettive per i prossimi mesi non sono troppo favorevoli.

Il settore delle costruzioni mostra un andamento differenziato rispetto alle sue specializzazioni. Nel caso dell’edilizia principale si nota un certo peggioramento mentre sembrerebbe andar meglio l’edilizia accessoria (come le attività legate ai lavori di installazione) e quella del genio civile. In effetti, anche in questo caso le previsioni per i prossimi tre mesi sono piuttosto rosee per questi due settori, mentre sono più negative per il settore delle costruzioni.

E passiamo al settore del commercio al dettaglio. In questo caso i commercianti si sono dichiarati abbastanza soddisfatti dell’andamento degli affari degli ultimi tre mesi e sono diminuiti gli insoddisfatti. In questo caso sia i piccoli che medi commercianti hanno visto un miglioramento. Per quanto riguarda le prospettive dei prossimi mesi c’è un po’ più di pessimismo, soprattutto per i piccoli commercianti che dichiarano previsioni più negative.

E chiudiamo la nostra carrellata con uno sguardo al settore bancario. Anche in questo caso negli ultimi tre mesi si registra un miglioramento nella valutazione della situazione degli affari, sia per quanto riguarda la clientela nazionale che per quanto concerne la clientela estera. Anche le prospettive dei prossimi mesi sono piuttosto positive, nonostante si segnala la possibilità di ridimensionamenti sul fronte occupazionale.

Insomma, guardando ai principali settori economici del Cantone Ticino le prospettive non appaiono troppo negative, anzi potremmo parlare di una certa stabilità. Naturalmente tutto dipenderà dall’evoluzione dell’economia europea e mondiale, essendo noi come tutti strettamente interdipendenti. Anche in questo caso, però le previsioni appaiono incoraggianti, con un’inflazione che sembra essere sempre più sulla via del rientro. Naturalmente ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma se saremo in grado di bilanciare gli effetti negativi delle politiche monetarie, potremmo sperare in un nuovo periodo di crescita e benessere.

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La Posta si “risposta” e torna a portare la Posta

Gli impatti economici della crisi del Covid-19 iniziano oggi a essere un po’ più chiari. Quasi a prenderci in giro questa crisi pandemica ha rimescolato le carte in tavola. Proviamo a fare un gioco: immaginate di essere stati i membri dei consigli di amministrazione di aziende pubbliche o private prima del mese di marzo del 2020. Oggi probabilmente vi trovereste nella situazione paradossale di essere stati o troppo innovatori o poco innovatori. Spieghiamoci meglio. Pensate al caso della Posta svizzera. Nel 2020 a causa delle misure di confinamento e di consumi on-line mai visti prima la Posta ha consegnato quasi 183 milioni di pacchi, record assoluto negli oltre 170 anni di storia. Per capirci se consideriamo 220 giorni di lavoro si tratta di oltre 830 mila pacchi al giorno. Una crescita così ha obbligato l’azienda in poche settimane a rivedere completamente una strategia portata avanti da decenni e concentrata sulle attività ritenute, fino a un anno fa, più redditizie, come quelle finanziarie. E invece, inversione di rotta: impennata di assunzioni e milioni di franchi di investimenti nell’infrastruttura per la consegna pacchi.
Una riflessione simile può essere fatta per il commercio al dettaglio e le vendite on-line. Non neghiamo che fino allo scorso mese di marzo per molti grandi magazzini la tentazione di smantellare l’offerta legata alla vendita on-line è stata molto grande. Certo, negli ultimi anni il settore aveva registrato una crescita, ma era legata principalmente agli acquisti fatti all’estero e specializzati. Nessuno avrebbe immaginato che le vendite dei generi non alimentari sarebbero avvenute solo grazie ai canali di distribuzione via etere. E non tutti in Svizzera avevano avuto la perseveranza di investire in questo settore. Vi ricordate quanto tempo hanno impiegato alcuni commerci a offrire il catalogo dei prodotti on-line? Certo, per i piccoli artigiani e le piccole imprese poter investire risorse in questo campo in un momento di difficoltà non è stato semplice e non lo è nemmeno ora. E in questo caso lo Stato avrebbe potuto sicuramente aiutare di più.
Ma il problema concerne anche i beni e i servizi che per loro definizione sono consumati di persona. Pensate a come eravamo prima di un anno fa: tutti pronti a prendere un aereo con un bagaglio a mano per andare a vedere un concerto in una città europea e rientrare in 36 ore. Tutte le strategie di crescita delle aziende legate al turismo, agli spostamenti e agli eventi partivano dall’ipotesi inconfutabile della massima mobilità. Molte compagnie aeree per sopravvivere alla crescente concorrenza nel settore avevano creato sinergie con le agenzie di viaggio, con i complessi alberghieri e con gli organizzatori di eventi per ampliare i pacchetti vacanze. Tutto ad un tratto il nulla. E ancora oggi, per tutto il settore a livello mondiale regna un’incertezza che impedisce di trovare strategie aziendali efficaci e con un orizzonte di medio periodo. Alcuni hanno tentato la riconversione sul traffico delle merci, ma anche in questo caso, i dubbi rimangono tanti.
Al contrario i confinamenti e il ricorso al telelavoro sono stati estremamente positivi per le aziende legate ai prodotti informatici che negli ultimi anni mostravano un certo stallo; in questo caso la crisi è stato un toccasana.
Che dire quindi? In alcuni casi la crisi ha riportato le aziende indietro sui loro passi, in altri l’aver anticipato nuovi sentieri ha invece consentito di seguirli nell’immediato.
Come spesso accade in economia, non troviamo un’unica strada vincente, anche perché se no saremmo tutti imprenditori di successo.

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