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L’economia e la scuola

Durante queste settimane nei comunicati delle aziende vediamo dare grande risalto alle fotografie dei ragazzi e delle ragazze che hanno terminato il loro periodo di apprendistato o di formazione professionale. Riconoscerne i meriti è importante sia per i ragazzi che per le aziende.
I nostri giovani che non scelgono di proseguire gli studi nelle scuole medio superiori sono spesso poco valorizzati dalla società e dall’opinione pubblica. Pensiamo a quanto avviene nell’ambito delle discussioni sul superamento dei livelli. Invece che preoccuparsi di valorizzare chi ha talenti, capacità e maniere di apprendere differenti, si parla esclusivamente di consentire a tutti l’accesso agli studi uniformando il percorso formativo. Ma i ragazzi sono diversi e la loro diversità è la nostra ricchezza. Le aziende, quelle che si impegnano nella loro formazione, lo sanno bene. Per un’impresa non è né facile né vantaggioso dedicare risorse, tempo ed energia nella preparazione di questi giovani. Eppure in nome di un grande patto sociale, nel nostro Paese ancora oggi possiamo vantare un sistema duale che ci è invidiato da tutto il mondo.
Affinché questo patrimonio non si disperda e anzi diventi ancora più valorizzante e valorizzato si può fare tanto. Si può innanzitutto riconoscere e premiare talenti e capacità differenti cominciando con scuole che diventino ambienti piacevolmente vivibili e socializzanti, con spazi e infrastrutture dignitose. Senza dimenticare, naturalmente, l’importanza di avere docenti preparati, competenti e motivati che li accompagnino nella formazione. E anche in questo senso possiamo fare molto. Leggiamo che nei prossimi anni in tutta la Svizzera e in tutti i livelli scolastici ci sarà una penuria di insegnanti. Questo dipende anche dalle condizioni di lavoro e dal riconoscimento sociale che queste figure fondamentali per lo sviluppo della nostra società sembrano aver perso negli ultimi decenni. E tra tutti, se possibile, probabilmente i meno valorizzati sono proprio i docenti delle formazioni professionali. Eppure sono loro che fanno da ponte tra i giovani, le famiglie e le aziende.
Aziende che a loro volta dovrebbero essere sostenute, aiutate e coinvolte maggiormente nella formazione degli apprendisti o dei giovani collaboratori. Sì perché formare non significa riempire contratti e rispettare requisiti burocratici. Per formare meglio le aziende necessiterebbero di essere a loro volta formate di più. E per poter svolgere più adeguatamente il loro ruolo le aziende dovrebbero essere coinvolte maggiormente nei percorsi formativi.
Non c’è un mondo dell’economia in contrasto con un mondo della scuola perché ciò che li lega sono proprio i nostri e le nostre apprendiste.
Articolo tratto dal Corriere del Ticino del 19.07.2022

La versione audio: L’economia e la scuola
Foto (e complimenti!) degli apprendisti e delle apprendiste che hanno ultimato il tirocinio alla Coop (Svizzera Italiana)

Formazione professionale: una scelta, non un ripiego

Abbiamo sentito parlare tanto di istruzione in queste ultime settimane in Ticino. Abbiamo sentito politici, sindacalisti, associazioni di genitori. Peccato non aver sentito chi la scuola la fa, dalla mattina alla sera, anno dopo anno, allievo dopo allievo. E peccato non aver sfruttato quest’occasione per elogiare il nostro sistema duale. La collaborazione tra imprese e scuole è forse il principale fattore di successo della Svizzera
E invece in queste settimane abbiamo sentito parlare di giovani privati della possibilità di eccellere a causa dei livelli nelle scuole medie; di giovani indirizzati verso scelte di serie B, riferendosi al mondo professionale. Ma spesso queste narrazioni d’impatto, più che narrarci la realtà sono rappresentazioni ideologiche che vedono solo negli studi universitari una forma di successo.
La realtà è un’altra. Ogni anno 1’400-1’500 ragazzi e ragazze che finiscono la quarta media in Ticino scelgono di seguire una formazione professionale di base attraverso una scuola a tempo pieno oppure in parallelo al lavoro in azienda (apprendistato). E di loro si occupano oltre 1’400 docenti e centinaia di aziende attive in tutti i settori economici. Un mondo intero.
Un mondo che ora dovremmo iniziare a valorizzare con maggior convinzione; un mondo a cui dare il giusto merito e riconoscimento. I ragazzi e le ragazze che decidono di entrare nel mondo del lavoro o di scegliere le scuole professionali meritano il nostro sostegno e appoggio. Eppure verso di loro, soprattutto in Ticino, abbiamo un atteggiamento critico. Il resto della Svizzera sembra al contrario sostenere, accompagnare e incoraggiare i suoi giovani “professionisti” anche dopo la fine della formazione. Il mercato del lavoro li cerca, li vuole e li premia. Come deve essere: dietro alla loro formazione c’è studio, fatica e disciplina esattamente come i loro compagni e compagne che hanno scelto formazioni di cultura generale.
Questo purtroppo non sembra accadere in Ticino. Probabilmente la causa principale è la fragilità del mercato del lavoro ticinese. E allora perché non concentrare le nostre risorse e i nostri sforzi in questa direzione? Stipendi bassi, maggiore precarietà, minori opportunità potrebbero spingere i genitori a ricercare nella formazione accademica più certezza per i loro figli.
Ma la certezza, al contrario, dobbiamo dargliela noi offrendo la migliore formazione possibile e le più ampie competenze ottenibili.
Forse dovremmo smettere di interrogarci “su livelli sì, livelli no” e iniziare a parlare di livelli “come”: con quali obiettivi? I risultati sono all’altezza degli obiettivi prefissati? Le risorse sono sufficienti per questi obiettivi?
Se ci avviciniamo a problemi come questi lasciando da parte lo spirito da tifoseria, forse faremo un favore a tutti, soprattutto alla scuola.
Tratto da L’Osservatore del 29.01.2022

La versione audio: Formazione professionale: una scelta, non un ripiego
Fonte: Scuola Universitaria Federale per la Formazione Professionale (SUFFP)

Caffè e vaccini: a cosa servono i brevetti?

Chi l’avrebbe mai detto che la forma della capsula di caffè non è un bene da tutelare come marchio? Sì, la nostra è una provocazione che si riferisce alla recentissima sentenza del tribunale federale che finalmente mette fine a una vertenza economico-giuridica che si trascina da molti anni. Il tribunale ha sancito che una forma, in questo caso di una capsula da caffè, non può essere registrata come marchio se deve per forza essere usata da un concorrente che produce un prodotto simile.
Questa sentenza ci consente di affrontare il tema dell’importanza dei brevetti per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. A differenza di quello che saremmo tentati di pensare la maggior parte della spesa in ricerca e sviluppo viene finanziata dal settore privato. Sono le aziende che spinte dalla necessità di scoprire nuovi prodotti, nuove organizzazioni, nuove tecnologie per garantirsi il successo economico e sopravvivere investono molte risorse nella ricerca. Evidentemente affinché ci sia questa spinta ad essere la prima a scoprire qualcosa, deve esserci una chiara tutela che le altre imprese non possano beneficiarne. In effetti, se gli altri possono copiare il mio prodotto e guadagnare, mentre io ho sostenuto i costi per scoprirlo, nessuno investirà un franco nella ricerca.
Naturalmente questo non significa che anche le università, le aziende e gli istituti pubblici e para-pubblici non facciano attività di ricerca, anzi. Ma è chiaro che lo scopo in questo caso non è quello di massimizzare i profitti o ridurre i costi, bensì collaborare nelle scoperte di interesse pubblico.
Le nazioni hanno la libertà di scegliere quanta tutela dare alle aziende. Ci sono nazioni come la Svizzera che proteggono molto le scoperte. Altre, come per esempio la Cina, hanno basato la loro forza sulla riproduzione di scoperte altrui su larga scala. Questo grazie alla grandissima disponibilità di manodopera a disposizione. Il modello copia e riproduci su larga scala è stato determinante per la loro crescita economica. Attenzione però che oggi la Cina ha fatto passi da gigante nello sviluppo tecnologico e nell’innovazione, tanto da diventare, probabilmente a breve, la prima potenza mondiale.
Tornando ai nostri brevetti, il tema è di estrema attualità. Il dibattito sul fatto che i vaccini non debbano essere tutelati riaccende un tema che non ha mai veramente trovato una quadratura del cerchio: fino a che punto le scoperte nel campo della medicina devono essere brevettabili?
La nostra risposta di pancia è scontata: i farmaci devono essere accessibili a tutti perché esiste un diritto alla salute. Purtroppo, bisogna fare i conti con la realtà: se non ci fosse un interesse e una garanzia della tutela dei guadagni futuri, nessuna azienda investirebbe milioni in spese di ricerca. Ricordiamoci anche che non tutti gli investimenti portano a risultati; molte volte finiscono nel nulla.
Quindi, non sta tanto all’economia quanto piuttosto ai governi fare in modo di garantire l’accessibilità ai farmaci a tutti, tutelando il diritto alla salute.

La versione audio: Caffè e vaccini: a cosa servono i brevetti?
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L’anno che sta arrivando… tra un anno passerà

Prima di gettarci nel nuovo anno e nei nuovi avvenimenti economici che ci accompagneranno, facciamo una brevissima carrellata sugli ultimi fatti del 2020.
Negli ultimi giorni ci hanno comunicato che la Banca Nazionale Svizzera (BNS) nel III trimestre del 2020 ha comperato “solo” 11 miliardi di franchi in divise. Questa manovra serve a contenere l’apprezzamento del franco svizzero. Strategia, questa, che la BNS ha messo in atto già nei primi 6 mesi dell’anno, comperando ben 90 miliardi di franchi in divise. Per avere un termine di paragone, il record nell’acquisto, era nel 2015 e ammontava per l’intero anno a 86.1 miliardi di franchi. Quindi, record superato.
Sempre sul fronte nazionale, la borsa svizzera ha dichiarato attraverso il suo responsabile di voler rimanere indipendente dando anche ad intendere che la strategia di acquisizione di altre attività europee iniziata nel corso di quest’anno potrebbe proseguire. Questo in virtù del fatto che “più grande è la dimensione di una borsa, tanto più conta il suo parere” a livello decisionale. Speriamo anche in questo caso che non si faccia il passo più lungo della gamba.
Le prime analisi di chiusura dell’anno fatte da startups.ch dicono che in apparenza, un po’ paradossalmente, nel 2020 sono state create 46’842 nuove imprese, con una crescita del 5% rispetto all’anno prima. I settori più attivi imprenditorialmente risultano quelli legati al commercio online, al settore sanitario e informatico; in ragionevole calo le attività legate al turismo e al tempo libero. Tuttavia, la geografia delle “neo-nate” imprese (che non me ne si voglia vedremo quanto vivranno) è molto diversa: lo spirito imprenditoriale pare molto sviluppato nella Svizzera nordoccidentale, in quella centrale, in quella orientale e a Zurigo. Trend contrario in Romandia dove si segnala un calo del 4% e in Ticino dove il calo è stato addirittura del 16%. Facile, vedere subito una correlazione con le regioni che hanno vissuto in maniera più drammatica gli effetti del Covid-19. Nonostante questo entusiasmo finiamo dicendo che sempre secondo i dati di questa piattaforma il 2020 è stato caratterizzato da quasi 2’500 fallimenti, l’88% in più rispetto al 2019.
A questa notizia possiamo legare la valutazione fatta da JP Morgan che ritiene ci sarà un importante aumento di acquisizioni e fusioni nel 2021 in risposta alla crisi pandemica e alla necessità da una parte di aumentare gli introiti dall’altra di ridurre i costi.
Sul fronte internazionale segnaliamo la firma del presidente Trump al pacchetto di aiuti economici da 900 miliardi di dollari voluto per dare sostegno alle famiglie e alle imprese toccate dalla crisi del Covid-19. Il provvedimento, che si basa su un sistema di sicurezza sociale molto diverso dal nostro, concerne i sussidi ai disoccupati, gli aiuti contro gli sfratti e il pagamento degli affitti, i sussidi per le aziende, come anche per ristoranti, hotel, compagnie aree, oltre a fondi per la distribuzione del vaccino.
Altra notizia legata agli Stati Uniti è quella di escludere tre aziende di telecomunicazione cinesi da Wall Street, Borsa di New York. Questa decisione dipende dal decreto voluto da Trump che prescrive il divieto di investimenti americani in aziende vicine all’esercito cinese. Il paradosso sta nel fatto che nell’ultimo decennio proprio la Borsa americana abbia cercato in tutte le maniere di convincere aziende cinesi a quotarsi sul loro listino.
E infine, notizia di pochi minuti fa il Bitcoin (tema già discusso in questo blog) ha superato i 30 mila dollari di valore: un bell’inizio dell’anno per chi li ha comperati… Insomma, come sempre in economia, c’è chi guadagna e chi perde… speriamo che prima o poi sarà la maggioranza a vincere…

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