Abbiamo problemi gravi: si vive troppo a lungo, ci si forma troppo e moriamo troppo poco. So che potrebbe apparire strano, eppure i problemi dei nostri sistemi di previdenza professionale nascono proprio dal miglioramento delle condizioni di vita.
In queste settimane si è dibattuto molto sulla proposta di aumentare l’età di pensionamento delle donne da 64 anni a 65. La previdenza sociale e professionale è suddivisa in due sistemi: quello a ripartizione e quello a capitalizzazione.
Il primo, di cui fanno parte l’AVS (Assicurazione Vecchiaia e Superstiti) e l’AI (Assicurazione Invalidità), è un sistema gestito dallo Stato, le cui entrate dipendono dal 25-30% dagli introiti fiscali (es. tabacco, IVA,…), che si basa sull’idea di trasferimento (le persone che lavorano pagano per le persone che sono in pensione). Questo fa sì che non abbia un grande fondo di riserva, non sia soggetto al rischio di inflazione, ma sia in pericolo in caso di denatalità. Ma la caratteristica più importante è la fortissima componente di solidarietà che si manifesta in almeno quattro maniere: dai ricchi verso i poveri (esistendo delle rendite massime chi guadagna molto non riceverà tutto quanto versato, ma contribuirà alla rendita di chi guadagna poco), dai giovani verso gli anziani, dai sani verso gli invalidi e dai fortunati verso gli sfortunati (le vedove e gli orfani). Il secondo modello è quello dei sistemi a capitalizzazione (ad esempio il II pilastro); essi si basano sull’accumulazione di un patrimonio durante tutta la vita attiva, hanno una minima componente di solidarietà perché ognuno riceve quanto ha risparmiato ed è a rischio di inflazione.
La Svizzera, a differenza di altre nazioni, ha mantenuto l’equilibrio tra questi due sistemi e non a caso la previdenza risulta tra le migliori al mondo. Ora è innegabile che il calo della natalità, l’aumento della speranza di vita, l’allungamento del periodo di formazione (e quindi della diminuzione della durata di vita lavorativa), le difficoltà di fare investimenti redditizi e i bassi tassi di interesse degli ultimi anni, chiedono dei correttivi che devono andare nella direzione, coraggiosa, di una riforma generale. Niente piccoli cerotti ogni 6 mesi. Le strade non sono molte. Se non ci sarà un aumento generalizzato dei salari rimarrà la possibilità di agire sulle entrate, aumentando per esempio i contributi, quella di agire sulle uscite, riducendo le prestazioni, o cosa ben più difficile, agire sulla natalità e sull’immigrazione.
Se la modifica proposta non dovesse essere accettata la Svizzera non corre grandi rischi: i circa due miliardi all’anno di mancati introiti potranno essere trovati altrove. Discorso diverso invece per quanto riguarda i rischi che correranno le donne che saranno private di un intero anno di rendite.
Questo quanto scritto per L’Osservatore il 24.09.2022; nel frattempo il popolo ha votato e ha deciso di aumentare l’età pensionabile delle donne a 65 anni. E che ci piacciano o meno le decisioni democratiche vanno sempre rispettate.
