Le auto crollano, l’oro brilla

Questa settimana Donald Trump ha sferrato un altro colpo: ha annunciato che dal 2 aprile saranno applicati dazi del 25% su tutte le automobili importate negli Stati Uniti. In pratica, chi vuole vendere un veicolo in America dovrà pagare molto di più per farlo. L’obiettivo è chiaro: spingere le case automobilistiche americane a produrre di più in patria, e quelle estere a spostare la produzione direttamente negli USA. Ma gli effetti non sono così semplici da prevedere.

Il primo impatto si è visto in borsa. Le azioni delle grandi case automobilistiche, europee e americane, sono crollate. BMW, Mercedes, Volkswagen: tutte giù. General Motors ha perso quasi il 10% a Wall Street in un solo giorno. Perché? Perché i dazi significano costi più alti, vendite più difficili e margini ridotti.

E non parliamo solo di auto straniere. Anche molti veicoli americani vengono assemblati con pezzi importati. Se aumentano i costi di quelle componenti, aumenta anche il prezzo finale. Risultato: auto più care, consumatori scontenti e rischi reali per l’occupazione.

E quando un paese alza i dazi, gli altri non stanno a guardare. Canada, Giappone e Unione Europea hanno già annunciato contromisure. È così che nascono le guerre commerciali: uno colpisce, l’altro risponde, e alla fine tutti tassano tutti.

Nel frattempo, mentre la borsa scende, l’oro sale. Quando i mercati traballano e il futuro diventa incerto, gli investitori si rifugiano nei beni più stabili. E l’oro è il rifugio per eccellenza. Risultato: ha quasi raggiunto i 3’100 dollari l’oncia (che equivale a circa 31,1 grammi), toccando un record storico. È come un termometro: più la situazione si scalda, più l’oro si infiamma. E adesso la febbre è alta.

La domanda vera è: funzionerà? Trump spera di riportare lavoro nelle fabbriche americane, ma il mondo non è più quello degli anni ’80. Le catene produttive sono globali, le aziende sono collegate in tutto il mondo, e nessuno produce tutto da solo. I dazi piacciono a una parte dell’elettorato, ma non è detto che risolvano i problemi. D’altra parte, un po’ di produzione locale in più potrebbe non far male, né all’occupazione né all’ambiente. Come spesso succede, la ragione – e forse anche l’efficacia – sta nel mezzo.

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