Shutdown, governi che cadono… e il Ticino?

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Gli Stati Uniti sono in pieno shutdown (blocco di tutte le attività pubbliche non essenziali) dall’inizio di ottobre 2025. Il Congresso non è riuscito a trovare un accordo sul bilancio e la conseguenza è stata immediata: uffici chiusi, migliaia di dipendenti pubblici sospesi, servizi ridotti al minimo. Non è la prima volta che succede. L’ultima nel 2018–2019. La paralisi durò 35 giorni, con rimborsi fiscali bloccati, aeroporti in tilt e cittadini che avevano perso fiducia nello Stato. Ogni volta la lezione è la stessa: quando le finanze pubbliche traballano, la politica si inceppa e l’economia reale paga subito il conto.

La teoria economica ci dice che la stabilità macroeconomica è una condizione necessaria per crescere. Un Paese non può accumulare debito all’infinito senza rischiare di compromettere la fiducia. Se il tasso di crescita dell’economia è inferiore al tasso d’interesse reale pagato sul debito, la traiettoria non è più sostenibile. A quel punto, non è più lo Stato a guidare la politica economica, ma sono i mercati a dettare le condizioni.

Il meccanismo è semplice: più alto è il debito, più crescono gli interessi che sono il costo per finanziarlo. Ma più risorse vanno agli interessi, meno ne restano per scuola, sanità, ricerca, infrastrutture. Invece di sostenere lo sviluppo, lo Stato si limita a rimborsare il passato. La stabilità macroeconomica non è quindi un lusso o una fissazione di alcuni economisti: è il prerequisito per mantenere competitività, attrarre investimenti e garantire ai cittadini servizi di qualità.

La Francia lo ha sperimentato di recente: deficit elevato, debito fuori controllo, governi caduti uno dopo l’altro perché incapaci di proporre una strategia credibile. Non basta annunciare correzioni, serve coerenza. Senza, il mercato reagisce: alza i tassi, riduce la fiducia e l’instabilità diventa permanente.

E se pensiamo che sia un problema solo dei grandi Stati, sbagliamo. Il Cantone Ticino non ha il dollaro come moneta di riserva né il peso politico della Francia. Se scegliesse la scorciatoia del debito facile, si ritroverebbe subito con margini ridotti: meno spazio per investire, meno possibilità di dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini. E basta poco perché i costi aumentino.

La conclusione è netta: finanze pubbliche sane non sono moralismo, sono buon senso. Senza stabilità macroeconomica, la politica diventa ostaggio del debito e perde la libertà di scegliere.

Chi crede ancora che i debiti non si paghino può guardare lo spettacolo di Washington. Promesse, accuse incrociate, stipendi sospesi. Una sceneggiatura già vista, con un finale scontato: i debiti non spariscono. Non è magia, è contabilità. E il conto, alla fine, lo pagano sempre i cittadini.

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L’economia nel nuovo anno fra ottimismo e prudenza

Come stanno le principali economie industrializzate? Ci sarà qualche bel regalo sotto l’albero di Natale o i pacchi resteranno vuoti?

I dati sull’inflazione, nonostante un leggero aumento a novembre, restano rassicuranti. Negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo su base annua è salito al 2.7%, nell’Eurozona al 2.3%, mentre in Svizzera si attesta allo 0.7%. Questi ultimi sono ben lontani dai picchi del 3.5% dell’agosto 2022 o del 3.4% di febbraio 2023.

L’ottimismo sui prezzi ha spinto la Banca Nazionale Svizzera (BNS) e la Banca Centrale Europea (BCE) a ridurre i tassi di interesse di riferimento. La BCE ha tagliato di 0.25 punti percentuali, portandoli tra il 3% e il 3.4%. La BNS ha invece sorpreso con una diminuzione di 0.5 punti, fissando il tasso allo 0.5%. Questa mossa potrebbe anche mirare a frenare la forza del franco svizzero, ancora troppo elevata per non penalizzare le esportazioni e il turismo. Alcuni analisti non escludono un ritorno ai tassi negativi entro la fine del prossimo anno, anche se è bene rimanere prudenti, considerata la volatilità del contesto economico globale. Anche la Federal Reserve, attesa alla sua prossima riunione, potrebbe seguire questa tendenza di ribasso.

Se i cittadini possono beneficiare dei tassi più bassi, i dati sulla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) lasciano meno spazio alla soddisfazione. Negli Stati Uniti, il PIL del terzo trimestre ha registrato un solido +2.8%, confermando la ripresa dell’economia americana. L’Eurozona e la Svizzera, invece, arrancano: il PIL europeo è aumentato di appena lo 0.4%, mentre quello svizzero si ferma a un modesto +0.2%.

Per il 2025, le previsioni non sono molto migliori: l’Unione Europea dovrebbe crescere attorno all’1.1%, mentre la crescita Svizzera è attesa tra l’1.1% e l’1.5%. Il quadro resta fragile, influenzato da fattori come i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, i rincari energetici e le tensioni commerciali, che continuano a gravare sulle economie occidentali.

Sul fronte occupazionale, il terzo trimestre mostra una certa stabilità. L’occupazione europea è cresciuta dello 0.2% su base trimestrale, mentre in Svizzera l’aumento su base annua è stato dello 0.3%. Tuttavia, non mancano segnali di allarme: il tasso di disoccupazione è tornato a salire sia negli Stati Uniti sia in Svizzera nell’ultimo mese.

Tirando le somme, cosa possiamo augurarci per questo periodo natalizio? In uno scenario ideale, i consumatori potrebbero ritrovare fiducia, contribuendo a sostenere i consumi. Ma è evidente come l’incertezza economica e il costo della vita spingano molti a una maggiore prudenza. Auguriamoci che il 2025 porti una ventata di ottimismo e un ritorno a condizioni economiche più favorevoli. Del resto, il periodo delle festività dovrebbe essere un’occasione per guardare al futuro con un pizzico di speranza.

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Pubblicato da L’Osservatore – 14.12.2024

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Speriamo che Natale arrivi in fretta…

La Banca centrale europea ha deciso di ridurre di altri 25 punti base il tasso di interesse di riferimento. È la terza volta negli ultimi quattro mesi che l’istituzione bancaria europea prende questa decisione. Anche questa volta la manovra era ampiamente attesa e così non c’è stata nessuna sorpresa quando è stato dato l’annuncio della riduzione del tasso al 3.25%. Questo è il tasso che la Banca centrale europea paga sui depositi delle banche secondarie.

A differenza delle ultime conferenze stampa, questa volta però la presidente Christine Lagarde è stata piuttosto cauta rispetto alle decisioni che saranno prese nei prossimi mesi. Nelle sue dichiarazioni ha affermato che la BCE si aspetta nei prossimi mesi un leggero aumento dell’inflazione che però diminuirà per raggiungere l’obiettivo del 2% nel corso dell’anno prossimo. Per quanto riguarda l’efficacia della politica monetaria restrittiva attuata nell’ultimo anno, la presidente non ha dubbi: le scelte sono state ottime.

Qualche dubbio in più lo abbiamo noi, non tanto sull’efficacia della politica restrittiva, quanto piuttosto sul fatto che la diminuzione dei prezzi a cui stiamo assistendo sia in parte anche causata da un rallentamento congiunturale che potrebbe diventare preoccupante nei prossimi mesi. 

In effetti, una gran parte delle economie avanzate ha rivisto al ribasso le previsioni sull’andamento del prodotto interno lordo per quest’anno e anche parzialmente per l’anno prossimo. I segnali di un rallentamento dei consumi delle famiglie ci sono, nonostante la discesa dei prezzi dovrebbe al contrario favorirli. Le aziende, in risposta a questo andamento dei mercati, iniziano a tirare il freno sugli investimenti produttivi, causando a loro volta una riduzione della domanda. D’altra parte, è chiaro che, anche in caso di recessione, l’intervento dello Stato non potrà essere molto incisivo. Il livello del debito pubblico globale inizia a spaventare. Anche le istituzioni internazionali hanno messo in guardia dai disordini mondiali a cui si potrebbe andare incontro nel caso in cui la situazione sfuggisse di mano.

Non vogliamo di certo essere pessimisti, e ci mancherebbe! Tuttavia, non possiamo non pensare che se l’entusiasmo del Natale arrivasse un pochino prima quest’anno, forse anche l’economia potrebbe tirare un sospiro di sollievo.

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Taylor Swift impedisce la riduzione dei tassi di interesse?

È l’ottobre del 2023 quando Taylor Swift entra nella classifica dei miliardari della rivista Forbes. Non è la prima musicista a farlo, ma è la prima a riuscirci grazie esclusivamente alle sue canzoni. I suoi colleghi “miliardari” devono il loro patrimonio alle attività secondarie, come le collaborazioni con marchi di cosmetica oppure di abbigliamento sportivo.

Gli economisti, tuttavia, non si occupano di Taylor Swift solo per il suo patrimonio personale. Negli ultimi mesi gli studi sull’impatto economico dei suoi concerti si sono moltiplicati. Capiamo che la cantante possa generare importanti introiti nelle località in cui si esibisce, ma ora si parla addirittura di influenzare le scelte delle banche centrali. Vediamo perché.

I fans che seguono Taylor Swift oltre a comperare il biglietto spendono del denaro per i viaggi, per gli alberghi, nei ristoranti, … Uno studio del 2023 su un concerto in Colorado ha stimato una spesa diretta totale media a persona di 1’327 $ (ca. 1’200 CHF). Se da questi si tolgono gli introiti che vanno direttamente alla cantante, l’impatto sul prodotto interno lordo (PIL) di questo Stato americano rimane comunque elevato: 140 milioni di dollari (126 milioni CHF). Stime più recenti fatte sulla tournée nel Regno Unito parlano addirittura di un giro d’affari di un miliardo di sterline (1.15 miliardi CHF).

Sappiamo che eventi che attirano migliaia di persone, come per esempio i mondiali di calcio o le esposizioni universali, generano effetti economici locali. Qui però il fenomeno è ben più grande e potrebbe addirittura influenzare decisioni macroeconomiche internazionali. Parliamo in particolare dei tassi di interesse. In questo senso, i banchieri centrali europei stanno già mettendo le mani avanti dichiarando che nei prossimi mesi bisognerà tenere conto della “Swift economy” (termine coniato dal New York Times).

Ma capiamo perché questa cantante può influenzare l’andamento dei tassi di interesse. Nelle date in cui è previsto un concerto si registra un aumento importante dei consumi: camere d’albergo, abbigliamento, gioielli, accessori, ristorazione, trasporti, tutto aumenta. Se la domanda aumenta, aumentano anche i prezzi. E che cosa succede se l’ufficio di statistica nazionale registra i prezzi proprio durante i giorni dei concerti? L’indice dei prezzi al consumo risulterà più alto. Niente di grave penserete voi, ma non è proprio così.  

Quando la banca centrale europea (BCE) si riunirà in settembre e guarderà i dati dei mesi precedenti, scoprirà che l’inflazione è ancora elevata. Questo potrebbe causare il rinvio di una riduzione dei tassi di interesse.

Insomma, se da una parte i concerti portano benessere economico, dall’altra possono generare anche un po’ di confusione nei dati.

Detto questo, siamo certi che i responsabili delle Banche centrali, pur non ascoltando per forza le canzoni della cantante, sappiano isolare gli effetti della “Swift economy” . 

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La Banca Centrale Europea abbassa i tassi

“Tanto tuonò che … piovve” La Banca centrale europea (BCE) ha finalmente deciso di abbassare i tassi di interesse di riferimento di 0.25 punti percentuale. Ad oggi i tassi oscillano tra il 3.75% e il 4.5%. La notizia era talmente attesa che i mercati di fatto non hanno avuto nessuna reazione. Ancora una volta vediamo quanto siano importanti le aspettative in economia. Se l’annuncio fosse arrivato in maniera inattesa o se al contrario la Banca centrale europea non avesse abbassato i tassi di interesse, il mercato avrebbe avuto reazioni molto diverse. Invece, in questo caso la notizia era stata stra-annunciata. Non siamo in grado di dirlo con certezza, ma è molto probabile che questi mesi di continue anticipazioni e conferme che si sarebbe andati in questa direzione, siano proprio serviti a fare in modo che le reazioni fossero piuttosto contenute e controllate.

Questo in effetti accade quando le strategie di politica economica delle banche centrali sono ritenute valide e il comportamento preannunciato attendibile. In questo caso quindi gli agenti si comportano di conseguenza fidandosi delle istituzioni monetarie.

Così è stato anche nel caso del tasso di interesse di riferimento in Europa, l’Euribor a un mese. In concreto, questo tasso che è quello utilizzato come riferimento per i prestiti a tasso variabile, è passato dal 3.85% del 6 maggio al 3.68% del 5 giugno. La comunicazione della BCE è avvenuta il giorno dopo. In questo caso il mercato ha di fatto modificato il suo andamento in funzione di quello che sarebbe successo in seguito.

Sono celebri i casi in economia in cui si cerca attraverso le aspettative di modificare il comportamento degli agenti economici. Pensiamo al 6 settembre 2011 quando la Banca nazionale svizzera (BNS) in maniera del tutto inaspettata dichiarava che avrebbe mantenuto una soglia minima del tasso di cambio di 1.20 franchi per un euro. In quel momento la speculazione era molto grande e con questa comunicazione la BNS sperava di spingere gli investitori a rallentare la loro rincorsa al franco svizzero. A onor del vero, in questo caso l’effetto sperato fu piuttosto contenuto, non tanto per mancanza di credibilità dell’operato della Banca Nazionale, quanto piuttosto perché le forze in campo (quantità di moneta in euro e quantità di moneta in franchi svizzeri) erano molto spropositate. Ma questo non significa che le dichiarazioni di politica economica, non abbiano influenzato il comportamento degli agenti, anzi.

In conclusione, le decisioni della BCE e di altre istituzioni monetarie mostrano chiaramente quanto sia cruciale la gestione delle aspettative economiche. La fiducia nelle strategie annunciate e la loro credibilità giocano un ruolo determinante nel modo in cui i mercati reagiscono. Questo dimostra l’importanza di una comunicazione chiara e anticipata per garantire stabilità e prevedibilità nei mercati finanziari.

Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

La Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha inaspettatamente aumentato il tasso di interesse di riferimento dello 0.5%. Inaspettatamente perché pochi giorni prima la Banca centrale europea, che è il nostro “faro guida” nelle decisioni di politica economica ha annunciato sì un aumento, ma graduale: 0.25 punti percentuali adesso e se necessario un secondo aumento tra qualche mese. Ma non è la prima volta che la Banca Nazionale ci sorprende. Pensiamo a quando ha deciso prima di introdurre la soglia minima di cambio tra il franco e l’euro e poi quando ha deciso di toglierla. E proprio l’imprevedibilità di questi annunci, di solito, ne garantisce una maggiore efficacia. Speriamo che anche questa volta la mossa della BNS porti i suoi frutti e riesca a contenere l’aumento dei prezzi. Il dato del mese di maggio parlava di un incremento del 2.9% in Svizzera. Certo, nulla in confronto agli aumenti dell’8.6% negli Stati Uniti o in altre nazioni europee, ma comunque una chiara accelerazione.
Nonostante questa tendenza che non sembra al momento volersi fermare, le previsioni del KOF, il centro di ricerca del politecnico federale di Zurigo, rimangono ancora positive. In effetti, anche se un po’ al ribasso la crescita del prodotto interno lordo per quest’anno è stimata al 2.7%. A fare da traino è ancora il consumo privato che dovrebbe aumentare del 4.3% rispetto all’anno scorso. Dati positivi si prevedono anche per le esportazioni (+6%) e le importazioni (+10.5%). Ricordiamo che non avendo noi materie prime dipendiamo per queste e per molti semilavorati dal resto del mondo: comperiamo, trasformiamo, aggiungiamo valore e rivendiamo. Per questo, importazioni che si riducono non sono sempre una buona notizia. E notizie abbastanza buone arrivano anche dagli investimenti in macchinari e beni di equipaggiamento che restano positivi (+1.2%). Meno bene va per il settore delle costruzioni che mostra una riduzione dello 0.8%; probabilmente questo rallentamento dipende anche dall’aumento dei tassi di interesse di riferimento che poi impattano sugli altri tassi di interesse come quelli bancari o quelle ipotecari.
Rimane infine la voce della spesa pubblica. A differenza di altri paesi a noi i vicini, la Svizzera ha deciso da tempo di ridurre il suo intervento a sostegno dell’economia e delle famiglie. Nonostante qualche eccezione che andrebbe sicuramente introdotta, e pensiamo in particolare ai pensionati e alle piccole e medie imprese che soffrono maggiormente per questi aumenti dei prezzi, non possiamo non riconoscere la messa in atto di una politica anticiclica corretta. E proprio questa era la ricetta dell’economista John Maynard Keynes: sì alla spesa pubblica nei momenti di necessità, no allo spreco di risorse dei cittadini.
Tratto da L’Osservatore del 25.06.2022

La versione audio: Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

Svizzera: i prezzi continuano a salire

I prezzi continuano ad aumentare. Anche in Svizzera. Nel mese di aprile l’indice dei prezzi al consumo, che rappresenta il costo del carrello della spesa del consumatore medio svizzero, è aumentato dello 0.4% rispetto al mese prima. La situazione sembra sotto controllo, ma per esserne certi dobbiamo guardare come si è modificato il prezzo rispetto all’anno scorso. Così scopriamo che l’aumento è stato di ben il 2.5%.

Il rincaro maggiore si registra per i prodotti importati: +6.6%. Per fortuna che il nostro carrello della spesa è principalmente fatto di prodotti svizzeri il cui prezzo è aumentato di “solo” l’1.2% ( i beni dall’estero rappresentano in effetti il 25%).

I principali responsabili degli aumenti sono il petrolio, il gas e le fonti energetiche in generale. Il prezzo dell’energia e del carburante è aumentato in un anno di oltre il 23%; quello dei prodotti petroliferi addirittura di quasi il 40%. Ed ecco spiegati gli aumenti del 10% dei prezzi dei trasporti, del 5.1% del mobilio e degli articoli per la casa, del 4.1% dei costi dell’abitazione e dell’energia. E pensate che le cose in Svizzera vanno ancora bene.

L’inflazione nel resto del mondo ha raggiunto livelli storici impressionanti. Aumenti dell’8.5% negli Stati Uniti, del 7% in Gran Bretagna, del 7.4% in Germania, del 9.8% in Spagna e del 6.2% in Italia. E le conseguenze non tardano ad arrivare. I principali istituti di ricerche economiche internazionali hanno ridotto notevolmente le aspettative di crescita dell’economia mondiale e delle singole nazioni.

La Banca Centrale degli Stati Uniti, la Fed (Federal Reserve Bank), sta cercando di correre ai ripari aumentando i tassi di interesse. Proprio questa settimana li ha incrementati dello 0.5%. Non c’era un aumento così grande dal 2000; in passato gli aumenti non erano mai stati superiori a più di un quarto di punto. 0.25% che è stato l’aumento deciso poche ore dopo dalla Banca Centrale d’Inghilterra BoE (Bank of England) che ha quindi portato il tasso di riferimento all’1%.

Ma perché quando i prezzi aumentano le banche centrali fanno aumentare i tassi di interesse? Il meccanismo è molto complesso, ma noi lo semplifichiamo affinché sia comprensibile. Se aumentiamo i tassi di interesse, le aziende riducono i loro investimenti e i consumatori comperano meno. Questa riduzione della domanda dovrebbe attenuare l’aumento dei prezzi. Tutto bene fino a qui se non fosse che ci sono anche delle conseguenze negative. La riduzione della domanda causa una riduzione della produzione che potrebbe a sua volta causare licenziamenti. In tempi normali si può ricorrere a un sostegno dello Stato, ma non è il caso in questo momento.

Così, in effetti, purtroppo, molti economisti sono preoccupati perché potrebbe verificarsi la presenza contemporanea di inflazione e stagnazione economica con disoccupazione, la famosa e temuta stagflazione. Insomma, il peggiore dei mondi. Attenzione però a dare tutta la colpa alla guerra che è scoppiata in febbraio. Già nel mese di settembre dell’anno scorso i prezzi hanno iniziato a crescere in maniera anomala. Purtroppo la maggioranza degli esperti ha preferito ignorarlo o parlare di fenomeno temporaneo.

La versione audio: Svizzera i prezzi continuano a salire