Per fortuna i robot e i macchinari in generale non ci ruberanno il lavoro. A confermarlo è l’ufficio federale di statistica attraverso una rilevazione di dati che potremmo definire indiretta. Vediamo perché.
Già nel 1800 circa Adam Smith aveva individuato nella separazione del lavoro in tante piccole fasi di produzione distinte un importante vantaggio. Se l’operaio doveva dedicarsi a un’unica fase della lavorazione di un prodotto, la produttività dello stesso sarebbe aumentata e di conseguenza la produzione. Le ragioni che individuava Smith erano tre. La prima è che la persona che si dedica sempre alla stessa attività, diventa più abile e quindi produce una quantità maggiore di beni. La seconda è che rimanendo fermi a fare sempre la stessa attività, non si perde tempo per cambiare postazione e quindi si riuscirà a produrre di più. Infine la terza ragione è quella che riallacciamo al concetto di automazione. Dal momento che l’individuo fa un’azione limitata e ripetitiva è molto probabile che nel tempo si svilupperà un macchinario che potrà sostituire questa attività consentendo quindi ancora una volta di aumentare la produzione. Naturalmente, Smith che era un grande economista aveva individuato anche i grossi rischi per le persone legati alla divisione del lavoro e che emergeranno in maniera forte con l’implementazione delle famose catene di montaggio di Ford.
Ma torniamo alle nostre statistiche. Diamo subito una bella notizia: in Svizzera il rischio di essere sostituiti nel proprio lavoro da una macchina è tendenzialmente più basso che nel resto d’Europa. La stima avviene misurando diverse caratteristiche del mondo del lavoro. Ad esempio misuriamo l’uso degli strumenti informatici, la quantità di tempo dedicata a svolgere i compiti intellettuali e i compiti manuali e valutiamo questi compiti in funzione della ripetitività e dell’autonomia. Ripetitività delle attività e mancanza di autonomia sono gli stessi concetti che avevano portato Adam Smith a sostenere la creazione di macchinari per svolgere questi lavori.
Dai dati pubblicati scopriamo che in Svizzera più di un terzo delle persone lavora sempre utilizzando strumenti informatici, mentre solo il 13% non li utilizza mai. I settori economici in cui l’uso dell’informatica è maggiore sono quello dell’informazione e della comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative come anche quello delle attività tecniche scientifiche e l’amministrazione pubblica.
In maniera analoga scopriamo che metà della popolazione occupata dedica una parte delle sue ore lavorative a compiti intellettuali come la lettura dei documenti tecnici o calcoli complicati.
Ma forse i dati più interessanti riguardano il fatto che meno del 5% delle persone occupate ritiene la sua attività professionale come molto ripetitiva. In questo caso emerge un evidente legame con il grado di formazione: in effetti la percentuale più bassa, 2.3%, è quella registrata tra le persone che hanno una formazione terziaria.
Se a tutti questi dati aggiungiamo che meno di una persona su 10 dichiara di avere poca autonomia nel suo lavoro, ecco che il quadro ci appare delineato.
La percentuale di persone che ha un lavoro altamente ripetitivo e un basso livello di autonomia, ossia proprio quelle professioni che più facilmente possono essere sostituite da un macchinario, è molto bassa ed è dell’1%. Al primo posto della classifica troviamo il Lussemburgo con lo 0.9%, mentre all’ultimo la Slovacchia con l’11.4%.
Questo dato non ci mette al riparo da tutti i problemi del mercato del lavoro, ma quantomeno indica che il rischio di automazione nel nostro paese è molto basso. Ciò che dovrebbe rincuorarci quindi è che la nostra economia fortunatamente presenta una piccola parte di lavori ritenuti ripetitivi, poco autonomi e, aggiungiamo noi, probabilmente logoranti.



