Svizzera 2026: crescita sì, ma con prudenza

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Anche quest’anno sotto l’albero di Natale degli economisti sono arrivate puntuali le previsioni economiche della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e del KOF, il centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo. Per l’anno prossimo i dati per la Svizzera non si discostano di molto nei due casi. Vediamo i principali della SECO.

Il prossimo anno dovrebbe essere caratterizzato da una certa stabilità economica, che ci porterà a una crescita del prodotto interno lordo (PIL) dell’1,1%. A sostenere questa crescita sarà soprattutto la domanda delle famiglie. I consumi privati rappresentano circa il 50% dell’intera produzione annuale e sono quindi una delle componenti principali della nostra economia.

Sul fronte dei consumi pubblici, invece, si dovrebbe registrare sì un aumento, ma contenuto rispetto a quello dell’anno in corso: +0,4% rispetto all’1,3% del 2025.

Buone notizie arrivano anche dagli investimenti, che quest’anno hanno mostrato una riduzione sia nel settore delle costruzioni sia in quello dei beni di equipaggiamento, cioè gli investimenti produttivi. Nel 2026 la tendenza dovrebbe modificarsi, segnando un aumento dell’1,6% nelle costruzioni e dello 0,7% nei beni di equipaggiamento. In questo caso l’indicatore legato agli investimenti produttivi ricopre un ruolo molto importante perché ci permette di comprendere il sentimento degli imprenditori: se i macchinari vengono sostituiti o se se ne acquistano di nuovi, è il segnale che ci si aspetta maggiori vendite e quindi una fase più positiva per l’economia.

Sul fronte del commercio estero è arrivata una buona notizia, anzi ottima: gli accordi sui dazi hanno consentito di ridurli, nel caso degli Stati Uniti, dal 39% al 15%. Questo elemento gioca un ruolo importante per quanto riguarda l’aumento delle esportazioni, stimate per l’anno prossimo all’1,6%. La Svizzera non è un paese con grandi materie prime e, di conseguenza, per esportare beni deve prima importare materie prime e semilavorati, ai quali aggiungere valore in vista dell’esportazione di prodotti finali. In questo contesto si conferma un aumento previsto delle importazioni dell’1,3%.

La somma di tutte le componenti della domanda aggregata, ossia consumi privati, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette, compone il prodotto interno lordo che, come dicevamo, crescerà dell’1,1%.

La notizia di una crescita è certamente positiva, ma dobbiamo interrogarci sul fatto che sia sufficiente a mantenere un’occupazione stabile. Affinché non aumenti il tasso di disoccupazione, infatti, la vendita di beni e servizi deve crescere a un ritmo tale da compensare sia l’aumento della popolazione attiva sia l’aumento della produttività legato al progresso tecnologico. In questo caso i dati per l’anno prossimo non sono particolarmente confortanti: si prevede una crescita dell’occupazione di appena lo 0,2% e un aumento della disoccupazione dal 2,8% di quest’anno al 3,1%.

Chiudiamo questo viaggio nelle previsioni con un’ultima buona notizia: il livello dei prezzi per l’anno prossimo è stimato praticamente stabile (+0,2%). Questo significa che almeno sul fronte dell’inflazione la battaglia è stata vinta.

Naturalmente, come sappiamo, l’economia è influenzata da moltissimi fattori, spesso difficili da prevedere. Per questo, come sempre, al di là delle previsioni, i conti li faremo con la realtà. E speriamo che sia una bella realtà.

Quando le esportazioni rallentano, il PIL crolla

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Tanto tuonò che piovve. Il terzo trimestre chiude con un Prodotto interno lordo (PIL) in calo dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. I dati del settore chimico-farmaceutico sono quelli balzati subito all’occhio: –7,9%. Però se guardiamo bene dentro i numeri, la storia interessante non è solo la frenata delle esportazioni: i consumi privati riescono ancora a dare un contributo positivo, mentre gli investimenti mostrano una debolezza sempre più strutturale. Soprattutto quelli in macchinari.

I consumi privati crescono dello 0,4%. Può sembrare poco, ma in un trimestre in cui la principale locomotiva industriale è ferma è un risultato importante. Le famiglie spendono di più per casa, energia e sanità, ma tornano anche a frequentare ristoranti e hotel. Non è un “boom”, ma è il segnale di una domanda interna resiliente, che compensa l’assenza di slancio dall’estero. È una crescita migliore di quella di molti Paesi europei e, soprattutto, costante.

Il problema rimangono gli investimenti. Da tempo vediamo che la parte più innovativa e produttiva dell’economia svizzera fatica a mettere risorse in nuovi strumenti di lavoro: quelli in beni di equipaggiamento scendono ancora, –0,1%, dopo un trimestre già negativo (il terzo di fila). E la voce più debole è proprio l’informatica, che dovrebbe essere l’area più dinamica. Se le imprese investono poco in tecnologia dell’informazione, lo fanno per due ragioni: o perché non vedono prospettive di crescita, o perché il contesto internazionale è troppo incerto. In entrambi i casi, non è un buon segnale per il 2026.

Anche le costruzioni non mostrano un buon andamento: –0,2% negli investimenti e –0,6% come settore. È un comparto che normalmente anticipa i cambiamenti economici e che ora mostra, di nuovo, un raffreddamento. E qui torna utile incrociare il quadro macro con i dati del commercio estero appena pubblicati. Non basta dire che le esportazioni scendono dello 0,3% a ottobre: il rallentamento internazionale è esattamente il contesto in cui le imprese decidono se rinviare investimenti, assumere con prudenza o ridurre la spesa in innovazione.

Il risultato è un’economia che sta in equilibrio grazie alle famiglie, mentre le imprese evitano mosse impegnative. La domanda interna regge, spinge, tiene il ritmo. Gli investimenti invece frenano la dinamica futura: senza un cambio di passo, rischiamo un 2026 con più stabilità che crescita.

Non siamo davanti a un’economia malata, ma a una che si muove con cautela. I consumi fanno il loro dovere e lo fanno bene. Ma non sappiamo fino a quando. Ogni giorno leggiamo di grandi gruppi, anche internazionali, che annunciano licenziamenti e la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Gli investimenti raccontano un Paese che aspetta di capire dove va il vento. E finché le imprese restano prudenti, l’unico motore davvero acceso resta quello delle famiglie. Che però cominciano a chiedersi se avranno ancora un posto di lavoro tra qualche mese. L’incertezza è il male peggiore per l’economia, ma al momento non abbiamo alternative. Almeno sul fronte dei dazi la partita è andata a buon fine: altrimenti i guai sarebbero stati ancora più grandi.

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Il -0,3% del PIL non affonda Trump, ma l’informazione economica

Nel primo trimestre del 2025 il prodotto interno lordo degli Stati Uniti si è contratto dello 0,3%. È bastato questo dato per far partire una raffica di commenti trionfali da parte di chi da tempo prevede (e auspica) il fallimento della politica economica dell’amministrazione Trump. Ma è un errore. Più che un segnale allarmante sull’economia, questo dato è il riflesso distorto di un meccanismo contabile e di alcuni fenomeni transitori. Bastava leggere con attenzione il comunicato del Bureau of Economic Analysis (BEA).

Prima di tutto, il -0,3% è una variazione annualizzata, come d’uso negli Stati Uniti. Significa che il dato indica quanto crescerebbe (o calerebbe) il PIL in un anno se la dinamica del primo trimestre si ripetesse identica nei successivi tre. Il dato non annualizzato, cioè la variazione trimestrale del primo trimestre, mostra una flessione modesta, inferiore allo 0,1%.

Ma la questione non è solo tecnica. Serve un’analisi macroeconomica. Il PIL è composto da quattro elementi: consumi delle famiglie, spesa pubblica, investimenti delle imprese e esportazioni nette (cioè esportazioni meno importazioni). In questo trimestre, la dinamica della bilancia commerciale ha inciso in modo determinante. Le importazioni sono aumentate del 41,3%. Un incremento eccezionale, legato in parte al timore di nuovi dazi: molte imprese hanno anticipato gli acquisti dall’estero, soprattutto nel settore farmaceutico e nei beni capitali (come computer e componenti industriali).

Questo boom delle importazioni ha causato un disavanzo commerciale record: 162 miliardi di dollari solo nel mese di marzo (circa 134 miliardi di franchi). È un’anomalia che lo stesso BEA ha sottolineato. Inoltre, per semplificare dal punto di vista tecnico, è come se una parte consistente di queste merci importate non sia ancora stata registrata come incremento delle scorte, perché non è fisicamente entrata nei magazzini o è stata contabilizzata in modo differito. Poiché le importazioni sono sottratte dal calcolo del PIL, la loro impennata ha avuto un impatto negativo immediato, ma distorto, sull’indicatore.

Altri fattori da considerare: la spesa pubblica è diminuita, come previsto dai programmi dell’amministrazione Trump. Anche questo ha inciso sulla riduzione del PIL. Ma si tratta di una scelta politica coerente, non di un segnale di debolezza congiunturale.

Infine, va allargato lo sguardo. Un solo dato trimestrale, per quanto importante, non può restituire lo stato di salute di un’economia. Occupazione, consumi, inflazione e creazione di posti di lavoro indicano che non siamo di fronte a una crisi. Il mercato del lavoro è solido, l’inflazione sotto controllo, la domanda interna regge.

Il dato del PIL va quindi interpretato con cautela. Non è una pagella politica. È una fotografia parziale, influenzata da fattori tecnici e congiunturali. Saper leggere questi numeri richiede attenzione e competenza. Altrimenti si finisce per fare propaganda. E l’economia, a differenza della politica, ha bisogno di lucidità.

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Trump ha fatto la prima mossa. Ma non controlla tutto il tavolo

Tanto tuonò che piovve. E alla fine, i dazi annunciati dal Presidente Trump sono arrivati. Non più minaccia, ma provvedimento. E come prevedibile, l’impatto immediato è stato più politico-mediatico che economico (se escludiamo quello sui mercati azionari). In poche ore, si sono moltiplicate dichiarazioni confuse, talvolta contraddittorie, da parte di leader politici, ministri, esperti e commentatori. Un vero eccesso comunicativo.
Una delle poche eccezioni, la presidente Karin Keller-Sutter, che, in stile tipicamente svizzero, ha preferito il silenzio fino alla conferenza stampa di giovedì quando ha comunicato che la Svizzera non attuerà misure di ritorsione.
L’introduzione di dazi selettivi ha un impatto economico che va letto con attenzione. E non basta dire che “il protezionismo porta solo disastri”. È una posizione ideologica, non un’analisi.
Ricordiamolo: i dazi sono imposte sull’importazione. Fanno salire i prezzi dei beni esteri, riducono la concorrenza, spingono la produzione interna. Ma l’impatto è asimmetrico e settoriale. Alcuni settori beneficiano, altri soffrono. Qualcuno guadagna, qualcuno perde. Se proteggi l’acciaio, rischi di penalizzare l’industria dell’auto. Se aiuti il manifatturiero, alzi i prezzi al consumo.
Vero, i dazi di Trump non sono frutto di un’elaborazione tecnica condivisa o di un modello economico trasparente. Sono decisioni politiche, spesso annunciate via social prima ancora che siano definite nelle modalità applicative. Il calcolo dei costi e benefici? Ai nostri occhi, opaco. La selezione dei settori colpiti? Sembra elettorale, ma forse è più mirata di quanto appare. In apparenza, non siamo davanti a una politica industriale organica.
Eppure, non tutto è irrazionale. Alcune imprese, anche svizzere non escludono di rilocalizzare negli Stati Uniti. Questo perché, a differenza dei cittadini, le imprese non hanno identità territoriali. Hanno vincoli competitivi. E se il costo-opportunità cambia, cambiano anche loro.
Pensare che il libero mercato sia sempre la scelta migliore, in ogni condizione, è un dogma. La globalizzazione ha prodotto vantaggi enormi, ma anche squilibri che oggi nessuno può ignorare. Trump, nel suo modo disordinato, intercetta una parte di questo problema. Anche se lo fa con strumenti discutibili.
Quello che serve ora non è la condanna morale o l’applauso ideologico. Serve tempo.
Il pallino, in questo momento, è nelle mani di Trump. Ma sarebbe un errore pensare che il gioco sia solo suo. Le reazioni dei partner commerciali, le dinamiche delle filiere globali, le decisioni delle imprese e il comportamento dei consumatori contribuiranno a ridisegnare la partita. Trump può muovere per primo, ma non controlla tutto il tavolo. E i dazi, per quanto rumorosi, sono solo una delle pedine.

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Articolo pubblicato da L’Osservatore, 5.04.2025

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Svizzera? Bene, ma non benissimo

Bene, ma non benissimo. Questa potrebbe essere la sintesi delle previsioni economiche appena pubblicate dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) per quest’anno e il prossimo. Rispetto a tre mesi fa, le aspettative sono leggermente peggiorate. Il prodotto interno lordo (PIL) crescerà nel 2025 dell’1,4% (prima si parlava dell’1,5%), mentre per l’anno prossimo il tasso salirà di poco, all’1,6%.
Nonostante l’incertezza che aleggia sui mercati e i due grandi conflitti ancora in corso, i consumi privati dovrebbero comunque crescere anche nel 2025. Lo stesso vale per la spesa pubblica: ci sarà un aumento dell’1,7%, un po’ meno di quello di quest’anno (1,9%).
Un altro segnale positivo arriva dagli investimenti nelle costruzioni. Dopo anni decisamente difficili, il settore è cresciuto del 2,4% l’anno scorso. Quest’anno si prevede un leggero rallentamento, ma si rimarrà su un buon +2,3%.
E ora veniamo alle note un po’ più dolenti. Gli investimenti in macchinari aumenteranno dello 0,8%, ma arrivano da un 2024 in rosso: -2,6%. Questo ci dice che le prospettive degli imprenditori per il 2025 erano piuttosto negative. Ora, almeno, si intravede un piccolo miglioramento.
Un discorso simile vale per le esportazioni di beni: nel 2024 la crescita è stata quasi nulla (+0,1%). Per il 2025, però, le stime sono decisamente più rosee: +3,1%. Speriamo bene. Anche le esportazioni di servizi andranno su (+2,5%), così come le importazioni: +2,8% per i beni e +3,5% per i servizi.
Tutto bello? Non proprio. Perché poi arriva la domanda chiave: tutto questo cosa significa per il mercato del lavoro? Beh, la creazione di nuovi posti rallenta: solo +0,8% quest’anno, contro l’1,3% dell’anno scorso. E questo si riflette sul tasso di disoccupazione, previsto in aumento: dal 2,4% del 2024 al 2,8%. Non una grande notizia.
Un piccolo lato positivo c’è: i prezzi al consumo dovrebbero rimanere abbastanza stabili, con un’inflazione prevista allo 0,3%. In pratica, il nostro potere d’acquisto – almeno in teoria – dovrebbe restare più o meno intatto.
E quindi, che si fa? Intanto si spera che i nostri partner commerciali, cioè le altre economie avanzate, crescano un po’ di più. Ma l’incertezza legata alla crisi commerciale e ai dazi imposti dal presidente Trump non va proprio in quella direzione.
Ci consola solo una cosa: che Trump, spesso, cambia idea piuttosto in fretta…

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L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà…

L’anno sta volgendo al termine e quindi non potevamo proprio evitare di parlare… dell’oroscopo! Ma naturalmente intendiamo quello economico, quindi delle previsioni per il prossimo anno. 

In realtà, purtroppo già i dati di avvicinamento alla fine dell’anno non sono di buon auspicio: abbiamo letto, per esempio, che le esportazioni svizzere nel mese di novembre sono rallentate fortemente. Abbiamo anche visto che molti istituti prevedono per quest’anno che le famiglie spenderanno meno nel periodo natalizio e questo vuol dire che ci sarà un aumento dei consumi, ma meno forte rispetto a quello dell’anno scorso. Anche sul fronte dei salari, gli aumenti prospettati per l’anno prossimo non per forza compenseranno l’aumento dei prezzi, anche se fortunatamente questo dovrebbe essere contenuto (+0.3%). 

Anche alla luce di questi fatti, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha rivisto al ribasso il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) sia per questo 2024 (dall’1.2% allo 0.9%) che per il prossimo anno (dall’1.6% all’1.5%). Tra i fattori di maggiore incertezza, il gruppo di esperti cita la situazione del commercio internazionale che potrebbe subire rallentamenti importanti a seguito dell’elezione di Donald Trump vista la sua politica piuttosto protezionista tesa a tutelare il mercato americano. Ma anche i conflitti in Medio Oriente e in Ucraina aumentano l’instabilità economica.

In Svizzera sarà ancora il consumo delle famiglie (+1.6%) a trainare la crescita del PIL, mentre la spesa pubblica crescerà sì dell’1.2%, ma meno di quest’anno (1.8%). Il settore delle costruzioni dovrebbe proseguire il suo trend positivo (+2.3%), mentre il rallentamento economico è confermato anche da una crescita piuttosto modesta degli investimenti in beni di equipaggiamento, quindi in macchinari e strumenti per la produzione (+1.0%). Sul fronte delle esportazioni alle possibili politiche protezioniste si aggiunge la modesta crescita dell’economia europea e in particolare di quella tedesca. A tal proposito, proprio poche ore fa la Volkswagen è riuscita a trovare un accordo con i sindacati per la riduzione di 35’000 posti di lavoro.

Tutto questo clima di incertezza farà sì che l’economia elvetica non crescerà abbastanza per mantenere stabile il tasso di disoccupazione che aumenterà per l’anno prossimo al 2.7%. Vediamo quindi che pur non essendo in una situazione di crisi economica, la fase di crescita rimane piuttosto contenuta. E come sempre succede in questi casi, la preoccupazione degli economisti non sta tanto nella fissazione sulla crescita del PIL, quanto sulle conseguenze in termini di posti di lavoro e di salari versati. La nostra economia si fonda ancora principalmente per la maggioranza delle persone sul reddito da lavoro e se viene a mancare questo, vengono a mancare le condizioni per una vita dignitosa.

Detto ciò, il Natale è un periodo di speranza, per cui il nostro augurio è che in questo caso gli esperti della SECO prendano una bella cantonata e che il PIL torni a crescere in maniera soddisfacente. 

Tantissimi auguroni di buon Natale!

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L’economia nel nuovo anno fra ottimismo e prudenza

Come stanno le principali economie industrializzate? Ci sarà qualche bel regalo sotto l’albero di Natale o i pacchi resteranno vuoti?

I dati sull’inflazione, nonostante un leggero aumento a novembre, restano rassicuranti. Negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo su base annua è salito al 2.7%, nell’Eurozona al 2.3%, mentre in Svizzera si attesta allo 0.7%. Questi ultimi sono ben lontani dai picchi del 3.5% dell’agosto 2022 o del 3.4% di febbraio 2023.

L’ottimismo sui prezzi ha spinto la Banca Nazionale Svizzera (BNS) e la Banca Centrale Europea (BCE) a ridurre i tassi di interesse di riferimento. La BCE ha tagliato di 0.25 punti percentuali, portandoli tra il 3% e il 3.4%. La BNS ha invece sorpreso con una diminuzione di 0.5 punti, fissando il tasso allo 0.5%. Questa mossa potrebbe anche mirare a frenare la forza del franco svizzero, ancora troppo elevata per non penalizzare le esportazioni e il turismo. Alcuni analisti non escludono un ritorno ai tassi negativi entro la fine del prossimo anno, anche se è bene rimanere prudenti, considerata la volatilità del contesto economico globale. Anche la Federal Reserve, attesa alla sua prossima riunione, potrebbe seguire questa tendenza di ribasso.

Se i cittadini possono beneficiare dei tassi più bassi, i dati sulla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) lasciano meno spazio alla soddisfazione. Negli Stati Uniti, il PIL del terzo trimestre ha registrato un solido +2.8%, confermando la ripresa dell’economia americana. L’Eurozona e la Svizzera, invece, arrancano: il PIL europeo è aumentato di appena lo 0.4%, mentre quello svizzero si ferma a un modesto +0.2%.

Per il 2025, le previsioni non sono molto migliori: l’Unione Europea dovrebbe crescere attorno all’1.1%, mentre la crescita Svizzera è attesa tra l’1.1% e l’1.5%. Il quadro resta fragile, influenzato da fattori come i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, i rincari energetici e le tensioni commerciali, che continuano a gravare sulle economie occidentali.

Sul fronte occupazionale, il terzo trimestre mostra una certa stabilità. L’occupazione europea è cresciuta dello 0.2% su base trimestrale, mentre in Svizzera l’aumento su base annua è stato dello 0.3%. Tuttavia, non mancano segnali di allarme: il tasso di disoccupazione è tornato a salire sia negli Stati Uniti sia in Svizzera nell’ultimo mese.

Tirando le somme, cosa possiamo augurarci per questo periodo natalizio? In uno scenario ideale, i consumatori potrebbero ritrovare fiducia, contribuendo a sostenere i consumi. Ma è evidente come l’incertezza economica e il costo della vita spingano molti a una maggiore prudenza. Auguriamoci che il 2025 porti una ventata di ottimismo e un ritorno a condizioni economiche più favorevoli. Del resto, il periodo delle festività dovrebbe essere un’occasione per guardare al futuro con un pizzico di speranza.

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Pubblicato da L’Osservatore – 14.12.2024

Previsioni economiche Svizzera: bene, ma non benissimo…

Mentre la Federal Reserve (Fed) decideva di ridurre i tassi di interesse di 50 punti base, portandoli in un intervallo tra il 4.75 e il 5%, in Svizzera venivano pubblicati dei dati non altrettanto rassicuranti.
Nel mese di agosto, le esportazioni e le importazioni di merci in termini reali sono scese rispetto al mese precedente che già registrava una riduzione di entrambe le voci. Per quanto riguarda le vendite all’estero, i settori principalmente toccati sono stati quello dei prodotti chimici e farmaceutici, quello dei metalli come pure i macchinari di precisione. Sul fronte delle importazioni si segnalano le riduzioni importanti di prodotti energetici, di strumenti di precisione e nel settore dell’elettronica. Al contrario, in questo caso si è registrato un aumento dei prodotti chimici e farmaceutici. Quest’ultimo andamento potremmo leggerlo con un po’ di ottimismo pensando che parte di queste importazioni sarà destinata alla produzione dei prossimi mesi e quindi a una possibile crescita del settore chimico farmaceutico.
Nonostante questi dati, le previsioni per la fine dell’anno delle esportazioni restano positive. La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha stimato per il 2024 una crescita dei beni del 5.1% e dei servizi del 2.3%. L’andamento dei consumi privati rimane positivo (+1.5%) esattamente in linea con quello dei consumi dell’amministrazioni pubbliche. Anche il settore delle costruzioni, che l’anno scorso aveva segnato una riduzione del -2.7%, sembrerebbe confermare il suo momento positivo (+0.5%). Ciò che preoccupa un po’ gli economisti sono gli investimenti in macchinari, la cui previsione si colloca al -2%. Questo, potrebbe significare che gli imprenditori pensano che la domanda non andrà troppo bene e che quindi non sarà necessario aumentare la produzione e di conseguenza gli investimenti. Ma noi sappiamo che le cose possono cambiare e quindi speriamo in bene. In totale, la previsione dell’aumento del prodotto interno lordo (PIL) sarà per il 2024 dell’1.2%.
Questa crescita, seppur positiva, rimane una crescita abbastanza contenuta e, in effetti, il tasso di disoccupazione medio per quest’anno dovrebbe salire dal 2% al 2.4%. Una buona notizia però c’è: l’indice dei prezzi del consumo, ossia l’inflazione, dovrebbe finalmente tornare a livelli stabili. Il tasso previsto per quest’anno sarà dell’1.2%.
Notizie ancora più buone riguardano l’anno prossimo, anno in cui l’aumento dei prezzi dovrebbe limitarsi allo 0.7%. Questo, insieme all’andamento positivo dei consumi privati, della spesa dello Stato, degli investimenti in costruzioni e della ripresa di quelli in beni di equipaggiamento, come pure della crescita delle esportazioni, dovrebbero portare il prodotto interno lordo a crescere nel 2025 dell’1.6%.
Anche per l’anno prossimo, quindi non sarà prevista una crescita esorbitante, ma probabilmente dobbiamo anche abituarci che è finita l’epoca di tassi di crescita superiori al 2%. Questo, non significa per forza che le cose andranno male. Se questo tasso sarà sufficiente a garantire di compensare l’aumento della popolazione e l’impatto del progresso tecnologico, le persone potranno andare avanti ad avere un lavoro e di conseguenza un reddito. Per cui ancora una volta, leggiamo la realtà oltre i dati.

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Previsioni a tinte fosche per l’economia elvetica

L’inflazione rallenta. I prezzi al consumo sia negli Stati Uniti che nelle principali nazioni europee stanno riducendo fortemente la loro corsa. Lo stesso accade anche per i prezzi alla produzione, che lo ricordiamo sono i prezzi dei beni nel momento in cui i prodotti escono dalla “fabbrica”.

Nel dettaglio possiamo segnalare la riduzione dei prezzi al consumo su base mensile nel mese di novembre in Spagna, Francia, Italia, Germania e nella Eurozona in generale. Anche gli aumenti su base annuale sono stati piuttosto contenuti e in alcuni casi persino inferiori ai due punti percentuali ritenuti quale soglia per parlare di stabilità dei prezzi. È questo il caso per esempio dell’Italia. Giova ricordare, tuttavia, che parte di questo effetto positivo è da ricondurre al fatto che proprio nei mesi di ottobre-dicembre dell’anno scorso avevamo vissuto l’impennata dei costi dei prezzi energetici (che nel frattempo fortunatamente si sono ridotti). Per questa ragione dobbiamo attendere ancora qualche mese prima di poter cantare vittoria nella lotta all’inflazione.

Anche il dato svizzero ci ha sorpresi positivamente: l’inflazione nel mese di novembre ha registrato un aumento annuo di “solo” l’1.4%; rispetto al mese precedente addirittura si registra una riduzione dello 0.2%. Ma le notizie buone finiscono qui. I dati appena pubblicati sull’andamento del terzo trimestre (luglio-settembre) del prodotto interno lordo (PIL) mostrano una crescita piuttosto contenuta (+0.3%), dopo che il trimestre precedente si era chiuso addirittura con una crescita negativa del -0.1%. Le voci che più preoccupano sono quelle che influenzeranno anche l’andamento dei prossimi mesi. In particolare, i consumi delle famiglie, gli investimenti in beni strumentali delle aziende oltre alle previsioni non troppo favorevoli delle esportazioni. È evidente che la situazione Svizzera è fortemente influenzata da quella internazionale. Il PIL dei nostri principali partner ha mostrato o una minima crescita, come nel caso dell’Italia (+0.1%) o addirittura una riduzione come nel caso della Francia e della Germania (-0.1%).

Non siamo ancora in grado di dire se questo rallentamento economico è la conseguenza delle politiche monetarie restrittive attuate per contrastare l’inflazione. Quello che è certo è che i conflitti ancora aperti in Ucraina e in Medio Oriente, uniti alle incertezze geopolitiche ed economiche, non sono di buon auspicio per il prossimo futuro. Non a caso le previsioni che gli istituti di ricerca stanno elaborando in queste settimane confermano per l’anno prossimo un tasso di crescita del PIL svizzero piuttosto contenuto che dovrebbe, purtroppo, causare anche degli effetti negativi, seppur fortunatamente contenuti, sul mercato del lavoro.

Speriamo che il Natale ci porti in dono prospettive migliori.

Articolo pubblicato da L’Osservatore, 9.12.2023

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Svizzera 2024: salari troppo bassi e prezzi troppo alti

L’economia mondiale rallenta e con lei anche quella svizzera. Le previsioni appena pubblicate dal KOF, che è il centro di ricerca congiunturale del politecnico federale di Zurigo, confermano quanto già prospettato dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) la settimana scorsa. Anzi, le aspettative peggiorano ulteriormente. Ma andiamo con ordine.
Sia per il 2023 che per il 2024 il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) mostra una riduzione rispetto a quanto prospettato nel mese di giugno. In concreto quest’anno il PIL svizzero crescerà dello 1.2% mentre l’anno prossimo il tasso dovrebbe salire dell’1.5%.

A tenere in piedi la nostra crescita saranno principalmente i consumi privati dei cittadini e delle famiglie (+2.3% nel 2023 e +1.5% nel 2024). In effetti, sappiamo che se anche in riduzione, il contributo dei consumi all’intera produzione nazionale è di ben oltre il 50%. Al contrario, l’anno prossimo la spesa pubblica si ridurrà: non a caso la Confederazione e molti cantoni hanno annunciato la necessità di rientrare nel rispetto dei parametri legati al freno all’indebitamento. Gli investimenti, sia nelle costruzioni che nei macchinari, dovrebbero riprendersi il prossimo anno. Per il 2023 si stima una crescita solo dello 0.5% con addirittura una riduzione dell’1.7% per quanto riguarda le costruzioni.

Tuttavia, la principale causa del deludente risultato globale sarà la congiuntura estera. In effetti, sia per quest’anno che per il prossimo, si stima un importante rallentamento delle esportazioni, soprattutto per quanto riguarda i beni. Innegabile che la situazione economica in Cina e quella in Europa, e in particolare in Germania, avranno un impatto sul nostro commercio estero.

Purtroppo non giungono buone notizie nemmeno sul fronte dell’occupazione e dell’inflazione. Se per quest’anno si stima una crescita del 2% dei posti di lavoro e quindi di un mantenimento nel tasso di disoccupazione, la stessa cosa non accadrà l’anno prossimo. I nuovi posti di lavoro saliranno solo dello 0.8%, fatto questo che porterà sia il tasso di disoccupazione calcolato secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sia quello calcolato secondo il metodo della SECO a salire (rispettivamente 4,3% 2,2%).

Infine, guardiamo ai prezzi: gli annunci di aumenti soprattutto nel settore dell’energia e in quello degli affitti si manifestano anche nelle previsioni del KOF. Se per quest’anno si conferma una chiusura con un aumento del 2.2%, l’anno prossimo le previsioni parlano ancora di un’inflazione del 2.1% (in giugno si stimava invece “solo” +1,5%).

La situazione sarebbe meno preoccupante se fossero previsti aumenti salariali che superassero questo tasso di inflazione; sfortunatamente, non è così. Le stime parlano di un aumento dei salari attorno al 2% fatto quindi che ci porterà ancora l’anno prossimo a vedere una riduzione dei nostri salari reali.

La situazione dovrebbe migliorare nel 2025, ma come possiamo ben immaginare le previsioni su due anni lasciano il tempo che trovano. Gli eventi che possono accadere sono troppi e troppo imprevedibili.

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