Svizzera 2026: crescita sì, ma con prudenza

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Anche quest’anno sotto l’albero di Natale degli economisti sono arrivate puntuali le previsioni economiche della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e del KOF, il centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo. Per l’anno prossimo i dati per la Svizzera non si discostano di molto nei due casi. Vediamo i principali della SECO.

Il prossimo anno dovrebbe essere caratterizzato da una certa stabilità economica, che ci porterà a una crescita del prodotto interno lordo (PIL) dell’1,1%. A sostenere questa crescita sarà soprattutto la domanda delle famiglie. I consumi privati rappresentano circa il 50% dell’intera produzione annuale e sono quindi una delle componenti principali della nostra economia.

Sul fronte dei consumi pubblici, invece, si dovrebbe registrare sì un aumento, ma contenuto rispetto a quello dell’anno in corso: +0,4% rispetto all’1,3% del 2025.

Buone notizie arrivano anche dagli investimenti, che quest’anno hanno mostrato una riduzione sia nel settore delle costruzioni sia in quello dei beni di equipaggiamento, cioè gli investimenti produttivi. Nel 2026 la tendenza dovrebbe modificarsi, segnando un aumento dell’1,6% nelle costruzioni e dello 0,7% nei beni di equipaggiamento. In questo caso l’indicatore legato agli investimenti produttivi ricopre un ruolo molto importante perché ci permette di comprendere il sentimento degli imprenditori: se i macchinari vengono sostituiti o se se ne acquistano di nuovi, è il segnale che ci si aspetta maggiori vendite e quindi una fase più positiva per l’economia.

Sul fronte del commercio estero è arrivata una buona notizia, anzi ottima: gli accordi sui dazi hanno consentito di ridurli, nel caso degli Stati Uniti, dal 39% al 15%. Questo elemento gioca un ruolo importante per quanto riguarda l’aumento delle esportazioni, stimate per l’anno prossimo all’1,6%. La Svizzera non è un paese con grandi materie prime e, di conseguenza, per esportare beni deve prima importare materie prime e semilavorati, ai quali aggiungere valore in vista dell’esportazione di prodotti finali. In questo contesto si conferma un aumento previsto delle importazioni dell’1,3%.

La somma di tutte le componenti della domanda aggregata, ossia consumi privati, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette, compone il prodotto interno lordo che, come dicevamo, crescerà dell’1,1%.

La notizia di una crescita è certamente positiva, ma dobbiamo interrogarci sul fatto che sia sufficiente a mantenere un’occupazione stabile. Affinché non aumenti il tasso di disoccupazione, infatti, la vendita di beni e servizi deve crescere a un ritmo tale da compensare sia l’aumento della popolazione attiva sia l’aumento della produttività legato al progresso tecnologico. In questo caso i dati per l’anno prossimo non sono particolarmente confortanti: si prevede una crescita dell’occupazione di appena lo 0,2% e un aumento della disoccupazione dal 2,8% di quest’anno al 3,1%.

Chiudiamo questo viaggio nelle previsioni con un’ultima buona notizia: il livello dei prezzi per l’anno prossimo è stimato praticamente stabile (+0,2%). Questo significa che almeno sul fronte dell’inflazione la battaglia è stata vinta.

Naturalmente, come sappiamo, l’economia è influenzata da moltissimi fattori, spesso difficili da prevedere. Per questo, come sempre, al di là delle previsioni, i conti li faremo con la realtà. E speriamo che sia una bella realtà.

Economia svizzera: segnali contrastanti tra attese e realtà

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C’è un’immagine che descrive bene l’economia svizzera in questo inizio estate: una bilancia in equilibrio instabile. Da una parte segnali che fanno sperare, dall’altra numeri che invitano alla prudenza. A maggio 2025, l’indicatore anticipatore del KOF Konjunkturbarometer è salito a 98.5 punti, dopo il crollo di aprile (97.1). Un miglioramento, sì, ma ancora non abbastanza: siamo sotto la soglia dei 100 punti che indica una congiuntura sopra la media. Il barometro del KOF misura ogni mese le aspettative sull’economia svizzera a 3-6 mesi, aggregando vari dati (produzione, ordini, export…).
A trainare questa timida ripresa è soprattutto il settore manifatturiero: le imprese della chimica, dell’agroalimentare, del legno e della carta riportano attese più favorevoli. Anche la percezione sulla competitività e sulle esportazioni migliora. Ma la domanda, sia interna che estera, resta debole.
E questo trova conferma nei dati reali sul commercio estero pubblicati dall’Ufficio federale della dogana: aprile 2025 è stato un mese difficile. Le esportazioni svizzere, corrette dagli effetti stagionali, sono scese del 9,2% rispetto a marzo; le importazioni addirittura del 15,6%, peggior dato mensile dal 2020. Ma attenzione: si tratta di dati nominali, cioè non corretti per l’andamento dei prezzi. A prezzi costanti, il calo è più contenuto: –3,3% per le esportazioni e –10% per le importazioni. Inoltre, marzo aveva mostrato una crescita eccezionale e anomala delle esportazioni.
A provocare questi sbalzi è, ancora una volta, il settore chimico-farmaceutico. Solo i medicinali hanno perso quasi 3 miliardi in un mese, –44%. Anche le importazioni di questi prodotti si sono ridotte di un terzo. Quando un settore pesa così tanto, trascina con sé tutto il commercio.
Ci sono però eccezioni positive: l’orologeria svizzera ha toccato un massimo storico con 2,6 miliardi (+16%). Anche strumenti di precisione e macchine industriali tengono. E se l’export verso gli USA è crollato del 36%, quello verso l’Asia è cresciuto del 4,4%, soprattutto grazie a Cina (+15,2%) e Giappone (+5%).
Curiosamente, il crollo delle importazioni ha portato a un avanzo commerciale record: 6,3 miliardi di franchi. Ma non è un segnale di forza: se importiamo meno, rischiamo di produrre e quindi esportare meno. E in un’economia povera di materie prime, importare è spesso il primo passo per poter vendere all’estero.
In sintesi: qualche segnale positivo c’è, ma servono conferme. Le imprese sperano in una ripresa, ma per ora i numeri veri la rimandano. Serve calma, capacità di leggere il quadro d’insieme e resistere tanto al panico quanto all’euforia.

La crisi mondiale si fa sentire anche in Svizzera

I dati appena pubblicati sul commercio estero della Svizzera riferiscono di un primo trimestre di quest’anno non troppo entusiasmante. Le esportazioni hanno superato di poco i 64 miliardi di franchi mentre le importazioni si aggirano attorno ai 55,5 miliardi. Rispetto al trimestre precedente entrambi i flussi nominali, ossia i valori in franchi senza considerare l’effetto dell’inflazione, mostrano una riduzione, rispettivamente del -0.8% e del -1.9%. La situazione migliora un po’ se si va a guardare il dato in termini reali, quindi tenendo conto dell’effetto dei prezzi: in questo caso le esportazioni segnano + 0.6% e le importazioni una riduzione di “solo” -0.2%. La differenza tra esportazioni e importazioni, quindi il saldo della bilancia commerciale, chiude con una eccedenza di 8,6 miliardi di franchi.
Attenzione però, questo dato potrebbe indurci in errore. In effetti dobbiamo sempre ricordare che la Svizzera è un paese esportatore netto nonostante tre caratteristiche particolari. La prima è che la nostra nazione è piccola e questo significa che ha poca manodopera e anche poco territorio a disposizione per produrre. Nonostante ciò riusciamo a creare di più di quello che consumiamo e quindi a vendere all’estero. La seconda caratteristica è che la nostra nazione non dispone di una storia di industria pesante. Detto altrimenti non abbiamo un’industria automobilistica storica come la Germania e neppure cantieri navali come l’Italia. Infine, la terza caratteristica è che a differenza di altri paesi noi non abbiamo grandi risorse di materie prime. Questo implica che per poter produrre e vendere all’estero abbiamo bisogno di importare materie prime e prodotti semilavorati a cui aggiungeremo valore aggiunto con la nostra produzione. È proprio per questa ragione che quando le importazioni si riducono dobbiamo essere piuttosto cauti perché questo potrebbe significare che le nostre aziende esportatrici stanno vivendo un calo negli ordini e per questa ragione non comprano dall’estero. Ancora una volta comprendiamo quanto sia importante analizzare i dati economici aldilà dei semplici numeri.
In generale vediamo che la maggioranza dei settori economici ha visto le sue esportazioni ridursi. In particolare hanno sofferto il settore legato alla gioielleria, l’orologeria e gli strumenti di precisione. Anche il settore dei prodotti chimici e farmaceutici, punta di diamante delle nostre esportazioni, è rimasto pressoché stabile. Per quanto riguarda i mercati segnaliamo un certo rallentamento nelle vendite verso l’Asia (in particolare Singapore), un leggero aumento verso l’America del Nord e una certa stabilità verso l’Unione Europea. In questo caso, vediamo che purtroppo la maggioranza dei paesi (inclusi i nostri principali partner commerciali, Germania e Italia) mostra una riduzione degli acquisti, compensati in grande parte dall’aumento avvenuto con la Slovenia.
Naturalmente sappiamo che queste dinamiche dipendono fortemente dalla situazione internazionale, situazione internazionale che con l’allargarsi del conflitto Israelo-Palestinese non potrà far altro che peggiorare.

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La crisi mondiale si manifesta nelle nostre esportazioni

Come abbiamo più volte anticipato il rallentamento economico mondiale avrebbe presto tardi mostrato i suoi effetti anche sulla nostra economia. E così è stato nel mese di ottobre. Il commercio estero svizzero ha fortemente rallentato la sua corsa rispetto ai precedenti due mesi dove aveva segnato dati record. Leggendo un po’ superficialmente la notizia che dice che la bilancia commerciale chiude con una eccedenza di 3.4 miliardi di franchi saremmo tentati di pensare che le cose vanno bene. Ma purtroppo non è così. Ricordiamo che la bilancia commerciale rappresenta la differenza tra le esportazioni e le importazioni di una nazione. Nel nostro caso rimane ancora positiva perché purtroppo entrambe le componenti hanno mostrato una riduzione rispetto ai mesi precedenti.

Prima di addentrarci nell’analisi dei settori che più hanno sofferto in questo ultimo mese e di quelli che invece hanno gioito di un aumento delle vendite all’estero, ricordiamo che la Svizzera è un paese esportatore Netto, quindi vende all’estero non solo più di quello che compra dall’estero, ma cosa ancora più importante produce di più di quello che consuma. Ciò implica che grazie a questa produzione aggiuntiva riusciamo a tenere migliaia di posti di lavoro in Svizzera che altrimenti andrebbero all’estero. Stimiamo in maniera un po’ approssimativa, basandoci sul fatto che ben il 10-12% del nostro prodotto interno lordo (PIL) dipende dalle esportazioni nette, di riuscire a garantire in Svizzera 400-450.000 posti di lavoro.

È proprio questa la ragione che spesso conduce i nostri partner internazionali a guardarci con un certo dispetto.

Ma torniamo alle nostre esportazioni. Sappiamo che il settore principale  è quello della chimica e della farmaceutica e non a caso è proprio questo che ha sofferto maggiormente passando da circa 13.5 miliardi di franchi di esportazioni nel mese di settembre agli 11 miliardi del mese di ottobre. In termini nominali si tratta di una riduzione di quasi l’11% che scende al 7% quando togliamo l’effetto dei prezzi (quindi quando guardiamo al dato reale). Curiosando tra le sue componenti che vanno dai prodotti farmaceutici a quelli immunologici, dai medicamenti ai principi attivi vediamo che nessuna componente ha mostrato una crescita.

Ma anche negli altri settori le cose non sono andate bene, anche se hanno tenuto. Tra questi segnaliamo i macchinari e l’elettronica, l’orologeria e anche gli strumenti di precisione (che in questo caso hanno mostrato un tasso di crescita di oltre il 4%).

Ma perché le esportazioni rallentano? Come più volte detto la Svizzera è un’economia globale e quindi è fortemente legata a quanto succede nel resto del mondo. E anche in questo caso la realtà ce lo dimostra. Le esportazioni svizzere sono diminuite in tutti e tre i principali mercati. Verso l’America del Nord si registra il  -14.1%, verso l’Asia il -6.9% verso l’Europa il -5.3%. E proprio all’interno dell’Europa segnaliamo nuovamente la grande difficoltà che sta affrontando la Germania, nostro principale partner commerciale. Proprio oggi è stata confermata la crescita negativa dello -0.1% del prodotto interno lordo (PIL) tedesco del terzo trimestre. Non parliamo ancora di recessione, ma i dati conseguiti nei primi nove mesi dell’anno (primo trimestre 0.0%, secondo trimestre +0.1% e ora -0.1%) non fanno altro che confermare le difficoltà incontrate dalla ex locomotiva d’Europa. Noi, da parte nostra possiamo solo augurarci che torni presto a trainare la crescita europea.

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Sotto l’albero? Le previsioni del KOF

Anche quest’anno il KOF ci fa il suo regalo e mette sotto l’albero di Natale le previsioni economiche. Il KOF, che è il centro di ricerche congiunturali del politecnico federale di Zurigo, ci presenta i dati per il 2023 e per il 2024.

In generale constatiamo che a livello mondiale il Prodotto Interno Lordo (PIL), che ricordiamo è un indicatore del valore della produzione di beni e servizi e in un certo senso anche del benessere economico, mostra segni di rallentamento rispetto alla crescita del 2021 (anno post-Covid) e del 2022.
In effetti, il PIL mondiale nel 2023 aumenterà dello 0.5%, quello dell’Unione Europea e degli Stati Uniti dello 0.3% e quello cinese del 4.5%. Il PIL in Svizzera invece crescerà dell’1% (senza conteggiare l’effetto degli avvenimenti sportivi internazionali). La crescita dipenderà anche l’anno prossimo dal consumo privato (+2%), dagli investimenti (+1.3%) e dalle esportazioni (+2.1%). La spesa pubblica, come era prevedibile dopo anni di grandi interventi, si ridurrà del 2.9%. Detto questo però dobbiamo fare alcune considerazioni. Primo: le previsioni dicono che il settore delle costruzioni soffrirà (-0.7%), mentre terranno gli investimenti in macchinari e beni strumentali (2.3%). Siamo dispiaciuti per il settore delle costruzioni, ma la situazione poteva essere più preoccupante se a mostrare un andamento negativo fosse stato il settore dei macchinari. In effetti, questo settore indica il sentimento degli imprenditori. Se si aspettano un andamento positivo e quindi di aumentare le vendite, aumenteranno le spese in macchinari necessari per produrre. Se invece hanno un sentimento negativo, non sostituiranno nemmeno i macchinari che diventano vecchi oppure che si rompono. Secondo: anche il settore del commercio estero non ci fa dormire sonni troppo tranquilli. In effetti, la crescita sia dei beni che dei servizi venduti all’estero appare piuttosto ridotta rispetto agli anni passati. Questo dipende dalla situazione economica degli altri Paesi: se ci sono difficoltà economiche, non compreranno i nostri prodotti. Ma anche le importazioni sono da monitorare. Ricordiamo che la Svizzera non ha grandi materie prime per cui per produrre necessita di comperare dal resto del mondo materiali e prodotti semilavorati. Per questa ragione se le importazioni rallentano significa che produrremo meno e che quindi esporteremo meno.

Ma perché gli economisti sono ossessionati dall’analisi del prodotto interno lordo? Semplice perché dietro al prodotto interno lordo ci sono i concetti di produzione, occupazione e reddito. Se il PIL non aumenta a sufficienza, vuol dire che non bisogna produrre. Se non bisogna produrre, le aziende non hanno bisogno di dipendenti E questo significa licenziamenti. Senza un lavoro non si ha un reddito. Questo implica per lo Stato due fatti: da una parte aumentano le spese per le assicurazioni sociali (per esempio l’assicurazione disoccupazione), dall’altra parte si riducono le entrate (se si riduce il reddito si pagano meno imposte).
Sappiamo che il PIL deve crescere a un livello tale da compensare l’aumento della forza lavoro e l’aumento del progresso tecnologico. Se questo avviene il tasso di disoccupazione rimane stabile. Guardando i dati del 2023 e del 2024 possiamo dire che fortunatamente l’impatto sul mondo del lavoro sarà contenuto.

Tutte queste previsioni però si avvereranno a patto che si verificheranno le condizioni immaginate dal KOF: un’inflazione contenuta, un approvvigionamento energetico garantito e la fine dei lockdown legati alla pandemia.

Che dire a questo punto? Beh, caro Babbo Natale potresti fare in modo che le previsioni del KOF si avverino?

Versione audio: Sotto l’albero? Le previsioni del KOF
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Commercio estero: bene, ma non benissimo

Le esportazioni e le importazioni svizzere nel mese di luglio sono diminuite. Dobbiamo preoccuparci? Sappiamo che la Svizzera è un Paese esportatore netto, ossia produce più di quanto consuma e quindi vende una parte all’estero. Tutti i Paesi vorrebbero essere esportatori netti, perché dietro alle produzioni ci sono le persone che lavorano e che quindi sono occupate, hanno un reddito, pagano le imposte, non sono al beneficio di aiuti statali, consumano e di conseguenza alimentano in maniera positiva il ciclo economico.
Le esportazioni tra giugno e luglio sono scese da 22.5 miliardi di franchi a 21.5; la riduzione è stata del 4.3% in termini nominali, mentre se togliamo l’effetto dei prezzi, la riduzione scende al 2.9%. In maniera analoga, le importazioni sono diminuite da quasi 20 miliardi a poco più di 19.1 miliardi. Anche in questo caso, la diminuzione nominale è stata del 4.2%, mentre quella reale del 3.4%. Il saldo della bilancia commerciale (qui trovate la definizione) è di circa 2.4 miliardi di franchi.
E questa è la prima buona notizia che fa relativizzare un po’ la riduzione del traffico commerciale. A differenza di quanto accaduto per Germania e Italia, i nostri saldi sono ancora positivi. Certo, vediamo una diminuzione, ma per il momento si parla di un solo mese.
È anche per queste ragioni che è difficile al momento dire se si stratta di una flessione stagionale e temporanea oppure se può essere l’inizio di una crisi più grande che potrebbe trovare radici nella situazione che stanno vivendo molte nazioni in Europa. Basti pensare che l’inflazione in Gran Bretagna ha superato il 10%, attestandosi al 10.1%. E la fiducia dei consumatori che vedono ridurre il loro potere d’acquisto non poteva che diminuire. Attenzione, perché le cose non sembrano andare molto meglio nell’Unione Europea dove gli aumenti dei prezzi sono stati nel mese di luglio del 9.8%. Leggiamo che rispetto a quanto avvenuto in giugno in ben 18 Paesi membri su 27 l’inflazione è aumentata. Le cause maggiori sono state ancora l’energia, gli alimentari, l’alcool e i tabacchi e i servizi. È facilmente comprensibile che se i prezzi aumentano i consumatori possono comperare anche meno prodotti dall’estero.
Guardando ai beni svizzeri che hanno rallentato le loro vendite troviamo i prodotti chimici e farmaceutici (che rappresentano circa la metà delle nostre esportazioni), i macchinari e gli apparecchi elettronici (che sono il 12%) e gli strumenti di precisione (circa il 7%). In controtendenza il settore dell’orologeria (10%) che continua la sua crescita positiva, come abbiamo anche letto dalle dichiarazioni della Federazione dell’industria orologeria svizzera.
E anche sulle importazioni non possiamo festeggiare: se diminuiscono vuol dire che abbiamo meno materie prime e semilavorati e di conseguenza anche la nostra produzione rallenterà. Sappiamo che i ritardi nelle catene di approvvigionamento rimangono di strettissima attualità.
A tutto questo si aggiunge poi un franco estremamente forte che fa risultare più care le nostre esportazioni.
Insomma, non allarmiamoci inutilmente, ma teniamo gli occhi ben aperti.

La versione audio: Commercio estero: bene, ma non benissimo
Fonte: la Posta

Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

La Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha inaspettatamente aumentato il tasso di interesse di riferimento dello 0.5%. Inaspettatamente perché pochi giorni prima la Banca centrale europea, che è il nostro “faro guida” nelle decisioni di politica economica ha annunciato sì un aumento, ma graduale: 0.25 punti percentuali adesso e se necessario un secondo aumento tra qualche mese. Ma non è la prima volta che la Banca Nazionale ci sorprende. Pensiamo a quando ha deciso prima di introdurre la soglia minima di cambio tra il franco e l’euro e poi quando ha deciso di toglierla. E proprio l’imprevedibilità di questi annunci, di solito, ne garantisce una maggiore efficacia. Speriamo che anche questa volta la mossa della BNS porti i suoi frutti e riesca a contenere l’aumento dei prezzi. Il dato del mese di maggio parlava di un incremento del 2.9% in Svizzera. Certo, nulla in confronto agli aumenti dell’8.6% negli Stati Uniti o in altre nazioni europee, ma comunque una chiara accelerazione.
Nonostante questa tendenza che non sembra al momento volersi fermare, le previsioni del KOF, il centro di ricerca del politecnico federale di Zurigo, rimangono ancora positive. In effetti, anche se un po’ al ribasso la crescita del prodotto interno lordo per quest’anno è stimata al 2.7%. A fare da traino è ancora il consumo privato che dovrebbe aumentare del 4.3% rispetto all’anno scorso. Dati positivi si prevedono anche per le esportazioni (+6%) e le importazioni (+10.5%). Ricordiamo che non avendo noi materie prime dipendiamo per queste e per molti semilavorati dal resto del mondo: comperiamo, trasformiamo, aggiungiamo valore e rivendiamo. Per questo, importazioni che si riducono non sono sempre una buona notizia. E notizie abbastanza buone arrivano anche dagli investimenti in macchinari e beni di equipaggiamento che restano positivi (+1.2%). Meno bene va per il settore delle costruzioni che mostra una riduzione dello 0.8%; probabilmente questo rallentamento dipende anche dall’aumento dei tassi di interesse di riferimento che poi impattano sugli altri tassi di interesse come quelli bancari o quelle ipotecari.
Rimane infine la voce della spesa pubblica. A differenza di altri paesi a noi i vicini, la Svizzera ha deciso da tempo di ridurre il suo intervento a sostegno dell’economia e delle famiglie. Nonostante qualche eccezione che andrebbe sicuramente introdotta, e pensiamo in particolare ai pensionati e alle piccole e medie imprese che soffrono maggiormente per questi aumenti dei prezzi, non possiamo non riconoscere la messa in atto di una politica anticiclica corretta. E proprio questa era la ricetta dell’economista John Maynard Keynes: sì alla spesa pubblica nei momenti di necessità, no allo spreco di risorse dei cittadini.
Tratto da L’Osservatore del 25.06.2022

La versione audio: Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

Record di esportazioni svizzere!

La bilancia commerciale Svizzera nel 2021 è andata alla grande! Ce lo comunica l’ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC), nuovo nome della “vecchia” amministrazione federale delle dogane (AFD).

I dati del 2021 dicono che le esportazioni, quindi i beni che abbiamo venduto all’estero, hanno raggiunto quasi i 260 miliardi di franchi: un record assoluto. La loro crescita rispetto all’anno prima è del 15,2%.

Sull’altro lato della bilancia dobbiamo mettere le importazioni, ossia i beni che abbiamo comprato dall’estero. Nel 2021 abbiamo speso circa 201 miliardi. Facendo la differenza tra esportazioni e importazioni troviamo la bilancia commerciale. La Svizzera è un paese esportatore netto, quindi vende al resto del mondo più beni di quanti ne comperi. Anche nel 2021 si è confermata questa tendenza con ben 58,7 miliardi di franchi di eccedenza.

So che potrei dirvi una cosa che vi farà sobbalzare sulla sedia ma a differenza di quello che saremmo tentati di pensare non sono il cioccolato, il latte e il formaggio i prodotti che esportiamo maggiormente e che ci consentono di fare questi importanti guadagni.

Metà dei guadagni è stata generata dai settori dei prodotti chimici e farmaceutici che hanno trascinato le vendite (130 miliardi di franchi). Al secondo posto con 31 miliardi troviamo i macchinari e i prodotti elettronici seguiti da ben 22 miliardi di franchi di orologi. L’orologeria merita tutta la nostra attenzione perché ha ottenuto il miglior risultato di sempre. Mai nella storia erano stati venduti così tanti orologi svizzeri. La maggioranza sono andati negli Stati Uniti. Tra le esportazioni non possiamo dimenticare anche i 17 miliardi di strumenti di precisione.

Ma dato che il nostro paese ha risorse limitate (basti pensare al territorio, alla manodopera e alle materie prime) abbiamo bisogno di importare tante materie prime e tanti prodotti semilavorati dai quali produrre i beni finali. E in effetti nelle importazioni troviamo ben 34 miliardi di prodotti chimici e farmaceutici, quasi 8 miliardi di macchinari e di elettronica e oltre 5 miliardi nel settore dell’orologeria.

Ma perché è così importante essere esportatori netti? Perché produrre di più di quello che si consuma consente di tenere dei posti di lavoro nella propria nazione che producono beni per i cittadini del resto del mondo che li comperano.

Sommando anche le altre relazioni commerciali con i paesi (servizi, redditi, capitali,…) si stima che grazie alle esportazioni manteniamo in Svizzera circa 400-500.000 posti di lavoro. Come vedete una bella cifra!

È per questa ragione quando i nostri vicini stanno male e le loro economie soffrono, siamo fortemente preoccupati anche noi. Se consumano meno, compreranno meno da noi, noi dovremo produrre meno e perderemo posti di lavoro. Quindi ben venga un augurio di “buona economia” a tutti!

La versione audio: Record di esportazioni svizzere!
Swatch da ora in poi si copre di diamanti. La rivincita dell'orologio di  plastica

La crisi è finita? Non lo sappiamo ancora, ma almeno le esportazioni crescono

Le esportazioni svizzere crescono e tornano ai livelli precedenti allo scoppio della pandemia. Tiriamo tutti un bel sospiro di sollievo. Però guardare a questo indicatore non basta. Proprio per la nostra struttura economica e per le nostre risorse limitate, dobbiamo sempre tenere d’occhio anche le importazioni. E per fortuna anche le importazioni trimestrali sono aumentate (anche se non ancora ai livelli pre-crisi).
Spulciando un po’i dati trimestrali appena pubblicati vediamo che i settori trainanti si confermano quelli dei prodotti chimici e farmaceutici, dei macchinari e dell’elettronica, dei metalli e dell’orologeria. In termini di Paesi, la crescita è stata particolarmente rimarcata verso l’America del Nord. Segnaliamo comunque anche il buon risultato verso l’Europa (in particolare Francia e Spagna) e verso l’Asia che diventa sempre più un partner interessante.
Le esportazioni rappresentano per tutte le economie un fattore molto importante, ma lo sono ancora di più per la Svizzera. Il benessere generato dalla vendita di beni e servizi corrisponde a circa il 12% del nostro prodotto interno lordo. In termini concreti, il fatto che produciamo di più di quello che consumiamo e che soprattutto vendiamo questa eccedenza all’estero ci consente di mantenere in patria circa mezzo milione di posti di lavoro. E questo riusciamo a farlo nonostante una moneta storicamente forte e addirittura considerata un bene rifugio. Questo significa che anche se quello che produciamo costa di più per i nostri compratori all’estero, la qualità, la precisione, i servizi dopo vendita, come pure l’affidabilità, ci consentono di riuscire a superare quello che in apparenza sembrerebbe uno svantaggio. Inoltre, non dobbiamo nemmeno dimenticare che la nostra moneta forte ci consente dei vantaggi: il costo delle materie prime e dei semilavorati che comperiamo dall’ estero, è più basso; questo ci consente di contenere i costi, di non dover aumentare i salari, di mantenere i prezzi sotto controllo, di operare con tassi di interesse bassi. Tutti fattori questi che permettono di mantenere la stabilità macroeconomica, che è uno tra gli elementi competitivi più importanti.
Ma la Svizzera è un caso eccezionale anche per altre ragioni. Primo: siamo una nazione piccola, dalle risorse piuttosto limitate sia in termini di manodopera che in termini di territorio. Eppure le nostre bilance commerciali e dei servizi sono largamente in attivo. La seconda ragione è che non abbiamo materie prime e quindi dobbiamo dare il nostro contributo alla creazione e alla trasformazione di beni e servizi. Mi spiego meglio. Se siete tra i paesi fortunati che possono estrarre petrolio, dato che è uno dei beni più richiesti al mondo, risulterà piuttosto facile essere esportatori netti. Meno facile quando dovete comprare materie prime o prodotti semilavorati dall’estero riutilizzarli, trasformarli e rivendere prodotti finiti al di fuori dei vostri confini nazionali. Infine anche la storia economica ha un peso importante per una nazione. In questo caso a differenza della Francia, della Germania o dell’Italia la Svizzera non può contare su una storia decennale di industrie pesanti. Né automobili, né cantieri navali.
Fatte queste considerazioni, quindi massima attenzione e occhio di riguardo ai partner commerciali. Quando le altre nazioni, che sono i nostri clienti, mostrano un andamento economico favorevole, anche noi tiriamo un sospiro di sollievo. Per cui ben vengano le prospettive positive per l’Unione Europea, per gli Stati Uniti e anche per i paesi asiatici. Insomma è proprio uno di quei casi dove tutti risultano vincenti e traggono benessere dal benessere altrui.

La versione audio: La crisi è finita? Non lo sappiamo ancora, ma almeno le esportazioni crescono
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