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La Svizzera e la crisi che (forse) verrà

È appena arrivata una buona notizia: l’inflazione negli Stati Uniti in ottobre è aumentata meno del previsto. È vero che si parla ancora di tassi elevatissimi: il 7.7% non è un rialzo che non desta preoccupazioni. Tuttavia gli analisti si aspettavano un dato peggiore. Analisti che ora si interrogano sui prossimi passi della Federal Reserve (Fed), la banca centrale degli Stati Uniti. Finora la Fed ha seguito una politica monetaria aggressiva: è stata tra le prime banche centrali ad aumentare i tassi di interesse di riferimento ed è stata una di quelle che lo ha fatto anche in maniera piuttosto vigorosa. Ancora l’ultimo aumento deciso la settimana scorsa, ed è stato il quarto di fila, è stato di 0.75 punti percentuale. Questo rialzo ha di fatto portato il costo del denaro tra il 3.75% e il 4%. Come tutte le banche centrali anche la Fed ha come obiettivo la stabilità dei prezzi, stabilità che si identifica con un aumento dell’inflazione entro il 2%. Evidentemente in questo momento storico non c’è nessun paese che possa dichiararsi vicino a questo obiettivo.

Nessun paese, tranne la Svizzera. L’ultimo dato pubblicato dall’Ufficio federale di statistica parla di un aumento dei prezzi del 3%. Decisamente ben lontano dal quasi 12% dell’Unione europea. Le ragioni di questa differenza sono molte, tra queste le più importanti sono una moneta forte che consente di comperare beni dall’estero ad un “prezzo inferiore” e il fatto che il nostro carrello della spesa è composto in maniera un po’ differente da quello degli altri Paesi. Nel nostro caso i beni importati rappresentano solo il 25% della spesa; il 75% sono beni e servizi prodotti all’interno della Svizzera. Questo fa sì che, per esempio, il prezzo delle fonti energetiche come petrolio e gas incida in maniera limitata. Nonostante ciò, anche la Svizzera non può chiamarsi fuori dal rallentamento economico che tocca tutte le economie avanzate e che si prospetta piuttosto rilevante nei mesi a venire.

In effetti, gli ultimi indicatori mostrano ad esempio che la fiducia dei consumatori elvetici è crollata a livelli bassissimi. Bisogna tornare ai primi dati pubblicati nel 1972 per vedere segnali di sfiducia così grandi. Ma non è solo questo a preoccuparci. Le economie moderne sono fortemente connesse tra loro. Se alle preoccupazioni interne aggiungiamo le difficoltà di approvvigionamento sui mercati, le problematiche relative alle fonti energetiche, il clima di sfiducia generale, la situazione deve farci riflettere.

Attenzione però alle scelte affrettate e agli appelli di intervento dello Stato. Prima di tutto dobbiamo comprendere se questa crisi ci sarà, quanto durerà e quali saranno i settori che necessiteranno di sostegno. Solo dopo, potremo intervenire, se necessario e in misura mirata.

Tratto da L’Osservatore, 12.11.2022

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Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

La Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha inaspettatamente aumentato il tasso di interesse di riferimento dello 0.5%. Inaspettatamente perché pochi giorni prima la Banca centrale europea, che è il nostro “faro guida” nelle decisioni di politica economica ha annunciato sì un aumento, ma graduale: 0.25 punti percentuali adesso e se necessario un secondo aumento tra qualche mese. Ma non è la prima volta che la Banca Nazionale ci sorprende. Pensiamo a quando ha deciso prima di introdurre la soglia minima di cambio tra il franco e l’euro e poi quando ha deciso di toglierla. E proprio l’imprevedibilità di questi annunci, di solito, ne garantisce una maggiore efficacia. Speriamo che anche questa volta la mossa della BNS porti i suoi frutti e riesca a contenere l’aumento dei prezzi. Il dato del mese di maggio parlava di un incremento del 2.9% in Svizzera. Certo, nulla in confronto agli aumenti dell’8.6% negli Stati Uniti o in altre nazioni europee, ma comunque una chiara accelerazione.
Nonostante questa tendenza che non sembra al momento volersi fermare, le previsioni del KOF, il centro di ricerca del politecnico federale di Zurigo, rimangono ancora positive. In effetti, anche se un po’ al ribasso la crescita del prodotto interno lordo per quest’anno è stimata al 2.7%. A fare da traino è ancora il consumo privato che dovrebbe aumentare del 4.3% rispetto all’anno scorso. Dati positivi si prevedono anche per le esportazioni (+6%) e le importazioni (+10.5%). Ricordiamo che non avendo noi materie prime dipendiamo per queste e per molti semilavorati dal resto del mondo: comperiamo, trasformiamo, aggiungiamo valore e rivendiamo. Per questo, importazioni che si riducono non sono sempre una buona notizia. E notizie abbastanza buone arrivano anche dagli investimenti in macchinari e beni di equipaggiamento che restano positivi (+1.2%). Meno bene va per il settore delle costruzioni che mostra una riduzione dello 0.8%; probabilmente questo rallentamento dipende anche dall’aumento dei tassi di interesse di riferimento che poi impattano sugli altri tassi di interesse come quelli bancari o quelle ipotecari.
Rimane infine la voce della spesa pubblica. A differenza di altri paesi a noi i vicini, la Svizzera ha deciso da tempo di ridurre il suo intervento a sostegno dell’economia e delle famiglie. Nonostante qualche eccezione che andrebbe sicuramente introdotta, e pensiamo in particolare ai pensionati e alle piccole e medie imprese che soffrono maggiormente per questi aumenti dei prezzi, non possiamo non riconoscere la messa in atto di una politica anticiclica corretta. E proprio questa era la ricetta dell’economista John Maynard Keynes: sì alla spesa pubblica nei momenti di necessità, no allo spreco di risorse dei cittadini.
Tratto da L’Osservatore del 25.06.2022

La versione audio: Le proverbiali mosse impreviste della Banca Nazionale Svizzera

La Banca Nazionale scommette contro il franco svizzero

Anche il rapporto annuale del 2020 della Banca Nazionale Svizzera (BNS) non può non parlare della crisi del Covid-19. Così dalle sue pagine scopriamo che per fare la sua politica monetaria espansiva ha usato principalmente tre strumenti: il contenimento dell’apprezzamento del franco svizzero, il mantenimento di bassi tassi di interesse e la garanzia di sufficienti crediti e liquidità al sistema. Ma vediamo in parole semplici che cosa ha fatto la Banca Nazionale.

Quando c’è una crisi economica che genera incertezza e instabilità gli agenti economici si comportano in maniera differente. Così per esempio anziché cercare investimenti che fanno guadagnare, cercano la garanzia di mettere al sicuro il proprio capitale. E così comperano i cosiddetti beni rifugio. Oro, oggetti di valore, monete, opere d’arte, auto d’epoca, immobili, vini pregiati vedono il loro mercato aumentare notevolmente. Lo stesso può capitare anche per le valute. E tra queste il franco svizzero, famoso per la sua stabilità. Così la Banca Nazionale si è trovata a dover affrontare il pericolo di un troppo grande apprezzamento del franco. Se la nostra moneta diventa forte, i beni e i servizi prodotti in Svizzera diventano troppo cari per l’estero e questo può causare grossi problemi alla nostra economia. Semplificando di molto le cose possiamo pensare che per contrastare questo fenomeno la BNS interviene sul mercato dei cambi acquistando valuta estera e quindi vendendo franchi svizzeri. La maggior parte degli investimenti è fatta da titoli di Stato, anche se la BNS non disdegna investimenti in azioni e obbligazioni di società.

Nel 2019, l’anno prima, la Banca Nazionale aveva comperato il corrispettivo di 13.2 miliardi di franchi; nel 2020 ha speso 110 miliardi. L’intervento è stato decisamente grande.

Dobbiamo comunque riconoscere la BNS ha fatto bene il suo lavoro generando un rendimento delle riserve monetarie dell’1.9%.

Un’altra manovra per scoraggiare il fatto di comperare franchi svizzeri e tenerli depositati in banca è quella dei tassi di interesse negativi. Concretamente significa che siete voi a dover pagare per tenere i soldi in banca.

Ma il mantenimento di un basso tasso di interesse è anche uno strumento che ha ridotto il costo per le aziende e gli enti pubblici che necessitano di finanziamenti.

Infine sempre sul fronte del credito e della liquidità la Banca nazionale ha concesso liquidità alle banche secondarie affinché potessero elargire i crediti COVID-19 garantiti dallo Stato.

Insomma un bel misto di strumenti per fare una politica monetaria espansiva.

Ma sfogliando il rapporto leggiamo tante altre curiosità. Per esempio scopriamo che a fine 2020 gli attivi della BNS ammontavano a 999 miliardi di franchi (accidenti, mancava solo 1 miliardo per la cifra tonda…) o ancora che è stato proposto un dividendo agli azionisti di 15 franchi. Già perché la Banca Nazionale svizzera è una società anonima detenuta sì per metà dai Cantoni e dalle banche cantonali, ma per l’atra metà appartiene ai privati. Dobbiamo precisare che però è una società anonima retta da una legge speciale (per esempio il dividendo è al massimo il 6% del capitale azionario oppure ci sono limitazioni al diritto di voto).

Altra curiosità è che mentre i pagamenti in contanti l’anno scorso si sono ridotti notevolmente, la domanda di banconote di grosso taglio, pensiamo ai 1’000 franchi, è cresciuta. Questo ci confermerebbe che sono ancora in tanti quelli che anziché puntare su grandi investimenti speculativi, scelgono il caro vecchio materasso. E come dargli torto in una situazione di instabilità e incertezza come quella attuale?

D’altronde anche Paperon de’ Paperoni tiene le sue monete al sicuro nel suo deposito…  

La versione audio: La Banca Nazionale scommette contro il franco svizzero