La credibilità fiscale come variabile politica

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Clamoroso pareggio tra Italia e Francia. Se fosse una partita di calcio, questo sarebbe il titolo migliore. Sì, perché oggi Italia e Francia pagano lo stesso tasso d’interesse per finanziare il proprio debito pubblico, segnale che i mercati percepiscono i due Paesi come rischiosi in misura simile.
È un dato eccezionale se si considera la situazione di soli tre anni fa. In ottobre del 2022, poco prima dell’insediamento di Giorgia Meloni e a pochi mesi dalla rielezione di Emmanuel Macron, l’Italia per finanziare il suo debito pagava quasi il 4,8%, la Francia il 2,9%, la Germania il 2,4%. Oggi, le prime due sono entrambe intorno al 3,6%, mentre Berlino resta al 2,7%.
La differenza non sta nei numeri, ma nei percorsi. E la gestione delle finanze pubbliche ha giocato un ruolo determinante sia per l’andamento dei tassi di interesse, sia per la stabilità politica.
L’Italia ha ridotto il deficit dall’8% al 3,4% del PIL nel 2024, con l’obiettivo di scendere sotto il 3% entro il 2026. La politica di bilancio è diventata un elemento di coerenza, basata su contenimento della spesa, maggiori entrate fiscali e un equilibrio tra rigore e sostegno agli investimenti. Il debito è cresciuto, ma accompagnato da stabilità politica e un miglioramento della reputazione internazionale.
La Francia ha seguito un percorso opposto. Il deficit è rimasto elevato (5,8% del PIL nel 2024), il debito ha superato il 116% e i rendimenti sui titoli di Stato hanno continuato a salire. L’instabilità politica, con sei governi in tre anni, ha indebolito la programmazione economica. In un quadro di instabilità parlamentare e tensione sociale, ogni tentativo di consolidamento dei conti pubblici si è rivelato impossibile.
Ne risulta un doppio paradosso: un’Italia percepita come più affidabile, pur restando uno dei Paesi con il debito più alto dell’Eurozona e una Francia che perde terreno, nonostante una tradizione di stabilità amministrativa. La credibilità fiscale è tornata a essere una variabile politica, non solo economica.
Anche fuori dall’Europa la lezione è la stessa. Negli Stati Uniti, lo shutdown federale (la sospensione delle attività del governo per mancato accordo sul bilancio) mostra che neppure la maggiore economia mondiale è immune da vincoli fiscali e tensioni politiche.
È un segnale che riguarda anche le realtà più piccole: il Canton Ticino si troverà nei prossimi anni a gestire la crescita della spesa sociale e sanitaria, in un contesto di risorse pubbliche limitate.
La finanza pubblica non è mai neutra. È il banco di prova della serietà e della responsabilità politica. E oggi, come ieri, la stabilità e la serietà si conquistano con i numeri, non con le parole.
L’Osservatore, 11.10.2025

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La Befana si porterà via anche l’inflazione?

L’inflazione ha raggiunto davvero il suo picco? Probabilmente è ancora presto per rispondere, anche se siamo ben contenti di vedere che in molte nazioni europee i prezzi iniziano a rallentare, se non addirittura in alcuni casi a scendere. Così è capitato per esempio in Spagna dove il dato di novembre mostra una riduzione di -0.1% rispetto al mese precedente (+ 6.8% su base annua, ma in riduzione rispetto al 7.3% di ottobre). Lo stesso è successo in Germania dove la riduzione è stata di -0.5% mensile (+10% annuale) e a livello medio nella zona Euro dove i prezzi al consumo dovrebbero essere scesi di -0.1% attestandoti a + 10% su base annua (nel mese di ottobre il dato era del 10.6%). Purtroppo i prezzi appaiono ancora in aumento in Francia (+0.4%) e in Italia (+0.5%).

Le buone notizie arrivano anche dai prezzi alla produzione, che lo ricordiamo sono i prezzi dei prodotti nel momento in cui escono dalle fabbriche, quindi senza i costi di trasporto o di logistica. Sempre nell’Eurozona si segnala un contenimento su base annua al +30.8% (il mese precedente il dato era del 41.9%), in riduzione del -2.9% su base mensile. Questa tendenza è confermata anche in Francia e in Italia. Certo non si può ancora dire che il peggio sia passato, ma ai nostri occhi appaiono alquanto particolari le dichiarazioni molto pessimiste della presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde che dice di non vedere segnali di rallentamento. È anche vero che la BCE è stata tra gli ultimi a riconoscere l’esistenza del fenomeno inflattivo e a prendere misure di politica economica…
Per quanto ci concerne da parte nostra segnaliamo nelle ultime settimane la stessa tendenza al ribasso anche nelle materie prime e nelle fonti energetiche. Manteniamo una certa cautela poiché sappiamo che questa decelerazione potrebbe anche essere, purtroppo, il segnale di un’anticipazione del rallentamento economico che tutte le nazioni più avanzate attendono per l’anno prossimo.

Al momento però i dati del prodotto interno lordo (PIL) del terzo trimestre mostrano ancora in generale un tasso di crescita, seppur piccolo, positivo. Anche gli indicatori del mercato del lavoro sembrano ancora mostrare un buon andamento.
Pure la Svizzera non fa eccezione. Questa settimana i dati del prodotto interno lordo dell’ultimo trimestre hanno evidenziato una crescita dello 0.2%, con indicazioni abbastanza positive da quasi tutti i settori economici (si segnalano purtroppo gli andamenti negativi del settore delle costruzioni e di quello finanziario). Sul fronte dei prezzi, buone notizie: per il secondo mese di fila l’inflazione si ferma al 3%. Anche i dati sulla disoccupazione sono positivi.

Per le prossime settimane, quindi, non ci resta che incrociare le dita e pensare a trascorrere un buon Natale sperando che la Befana, insieme alle feste, si porti via anche l’inflazione…

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