UN FILO TRA SCUOLA E LAVORO «LA FORMAZIONE È DECISIVA»

“Il sistema formativo svizzero ha un rapporto molto stretto con il mondo del lavoro e della formazione professionale già dai 15 anni e poi proseguendo nella specializzazione. La relazione tra il lavoro e la formazione è molto stretta”.
L’economista Amalia Mirante, docente universitaria presso la Scuola Universitaria della Svizzera Italiana e presso l’Università della Svizzera italiana spiega come nella Confederazione formazione e lavoro si intreccino da sempre e come il Canton Ticino stia facendo i conti con uno spostamento dei più giovani verso i cantoni interni, dove gli stipendi sono più alti e le opportunità di carriera più numerose.
La sua analisi si focalizza sui risultati che emergono dal rapporto sulla situazione socioeconomica degli studenti condotta nel 2020 dall’Ufficio federale di statistica (UST) che ha rilevato come nel 2020 “il 38% degli studenti delle scuole universitarie affermava di aver svolto almeno uno stage dall’inizio degli studi. Il 7% di loro aveva adottato provvedimenti concreti in tal senso, e il 18% dichiarava di avere intenzione di effettuare uno stage prima della fine degli studi. Il 18% degli stage è stato effettuato all’estero. Il tipo di stage più frequente durante gli studi è quello obbligatorio e non retribuito”.
Professoressa, nel 2020, il 38% degli studenti delle scuole universitarie affermava di aver svolto almeno uno stage dall’inizio degli studi. Una percentuale importante o ancora troppo bassa? Quanto sono determinanti gli stages per gli studenti?
In Svizzera il sistema di formazione terziaria si suddivide tra la formazione professionale superiore e le scuole universitarie. Tra queste ci sono le università, le scuole universitarie professionali (SUP) e le alte scuole pedagogiche (ASP). Spesso nelle scuole universitarie, la formazione stessa prevede degli stages, che possono essere requisiti per l’accesso o parte integrante del diploma. In alcuni casi gli stages sono addirittura obbligatori.
Il tipo di stage più frequente durante gli studi è quello obbligatorio e non retribuito, è giusto non retribuire gli stagisti?
Sì, dallo studio dell’Ufficio federale di statistica emerge una certa frequenza di stage obbligatori e non remunerati. Nel caso delle università gli studenti hanno dichiarato che uno stage su due era obbligatorio; la percentuale sale addirittura a quasi il 90% nel caso delle scuole universitarie professionali e delle alte scuole pedagogiche. In Svizzera lo stage quindi spesso non è una scelta, quanto un’imposizione del sistema di formazione. Per quanto riguarda la remunerazione, è un argomento del quale si potrebbe parlare ampiamente perché varia da settore a settore. Solo per fare degli esempi, il 90% degli stages svolti dagli studenti di economia è retribuito, mentre lo è solamente il 50% di quelli di medicina. Ma c’è una spiegazione alla non retribuibilità degli stages ed è che spesso lo stage è uno sforzo che i datori di lavoro fanno per formare i giovani; è come un se in realtà dovessimo ringraziare le aziende e gli enti che devono mettere a disposizione un tutor, che abbia anche le competenze formative, ai giovani che seguono gli stages nelle loro imprese. C’è anche un altro aspetto da considerare: a volte, gli stages sono opportunità reciproche. Mi spiego: ad esempio le banche possono cercano gli stagisti perché considerano la loro presenza come un investimento vicendevole. I ragazzi possono fare un’esperienza professionale e le banche individuare i profili più idonei per poi magari assumerli alla fine della formazione.
Esiste il pericolo in Svizzera che gli studenti in stage vengano sfruttati e usati nel mondo del lavoro al posto di veri addetti assunti?
Non ci sono dati certi in merito, ma ci sono persone già formate che vengono assunte come stagisti anche se dovrebbero essere assunte come professionisti a tutti gli effetti. In questo caso, cambia la remunerazione del dipendente e anche il suo grado di sicurezza. Discorso diverso quando uno studente frequenta uno stage obbligatorio: tendenzialmente, in questi casi ci sono accordi e contatti precisi tra le università e le realtà che accolgono lo stagista. Quando invece si esce dal percorso di formazione non ci sono più così tante tutele. I disonesti, che non rispettano remunerazione e ruolo di professionisti che assumono come stagisti, ci sono, ma sono rari. In generale possiamo dire che per gli stages obbligatori nella formazione anche se non trovati direttamente dalle scuole, c’è una certa tutela perché il riconoscimento tendenzialmente prevede un iter che raccoglie i dati dell’esperienza e un rapporto di fine stage.
Quali sono le criticità del mondo del lavoro verso i ragazzi che vi si affacciano per la prima volta?
In genere la formazione in Svizzera è, diciamo, “velocizzata” (tempi definiti per ultimare i percorsi formativi, tentativi massimi per sostenere gli esami, numero obbligatorio di crediti da conseguire in una anno,…) per permettere ai giovani di inserirsi al più presto nel mondo del lavoro. In aggiunta, ci sono anche ragazzi che lavorano mentre stanno studiando e adulti che studiano mentre lavorano. La velocizzazione a cui mi riferisco si applica anche a queste situazioni. Chi per esempio, è studente lavoratore ha programmi di formazione differenti da quelli di chi studia senza lavorare; ad esempio possono esserci corsi di laurea di tre anni per studenti a tempo pieno che devono essere svolti entro 5 anni al massimo. Invece, lo stesso corso di laurea, per chi ha un’attività professionale si estende su 4 anni, ma con un massimo in ogni caso di 6 anni. In Svizzera il periodo di formazione è tendenzialmente fisso e limitato. Se uno studente non consegue il titolo universitario entro il periodo massimo stabilito viene escluso dalla formazione (escludendo evidentemente situazioni eccezionali come malattia o altre). Faccio un altro esempio: una volta che si viene esclusi da una facoltà come economia in una università perché per esempio si è bocciato troppe volte un esame, non si può più seguire un corso di laurea in economia in tutta la Svizzera. Questo, appunto, velocizza i tempi della formazione.

Come reputa la situazione occupazionale attuale in Svizzera dei giovani?
La reputo soddisfacente, ma differenziata. In Canton Ticino l’emigrazione dei giovani e il loro non ritorno comincia ad essere un problema. I giovani vanno sempre più spesso in Svizzera interna perché in Ticino i salari sono più bassi e minori le opportunità. Ticino a parte, nel resto della Svizzera il problema occupazionale per i giovani formati, fortunatamente, non esiste.

Intervista di Carla Colmegna pubblicata su La provincia di Como, 21.09.2023

La versione audio: Un filo tra Scuola e Lavoro – La formazione è decisiva

La povertà in Ticino c’è, eccome

“La povertà è definita come un’insufficienza di risorse (materiali, culturali e sociali) che preclude alle persone il tenore di vita minimo considerato accettabile nel paese in cui vivono” (UST). Nelle poche righe dell’ufficio federale di statistica comprendiamo la multidimensionalità della povertà. E per questo siamo soliti calcolare tre indicatori.
Primo, la povertà in senso assoluto che indica le persone o i nuclei familiari che vivono al di sotto di una soglia monetaria definita come minimo vitale. Nel 2020 era fissata in 2’279 CHF per una persona sola e in 3’963 per una famiglia di due adulti e due bambini.
Secondo, per ritenere l’importanza che il tessuto sociale ha nella vita degli individui si misura anche il rischio di povertà che è un concetto relativo che si basa sull’idea che se la disuguaglianza è troppo grande rispetto al resto della società difficilmente si potrà condurre una vita integrata. Così si è poveri se si guadagna meno del 60% (o del 50%) del reddito mediano.
Infine da qualche anno si parla anche di deprivazione materiale che misura l’impossibilità di acquistare alcuni beni o di svolgere determinate attività, come andare in vacanza una settimana all’anno o comprare un’automobile o un computer o ancora non poter far fronte a una spesa imprevista di 2’500 CHF.
La povertà non tocca tutti alla stessa maniera. Ci sono alcune categorie di persone maggiormente toccate. Per esempio la povertà sembra riguardare maggiormente le persone con più di 65 anni, la popolazione straniera, le persone che hanno una formazione limitata alla scuola dell’obbligo, i disoccupati, i genitori soli con figli, gli inquilini e coloro che guadagnano meno di 33’350 CHF all’anno.
Ora se rapportiamo queste caratteristiche alla popolazione del Cantone Ticino vediamo subito la sovra rappresentanza di alcune categorie. E non a caso, scopriamo che il tasso di rischio di povertà nel nostro cantone e di quasi il 25% contro una media nazionale del 15%. In Ticino una persona su quattro guadagna meno del 60% del reddito mediano.
Certo sono tante le cause, ma forse la principale rimane la fragilità del nostro mercato del lavoro. Fragilità che sempre più conduce i nostri giovani ad armarsi di tanto coraggio e tanta voglia di fare per cercare fortuna oltre Gottardo; che sempre più spinge le persone a dover fare più di un lavoro alla volta; che sempre più porta gli individui a ricorrere agli aiuti dello Stato.
Le soluzioni sono di tipo strutturale e richiedono tempo. Ma non possiamo girarci dall’altra parte e far finta di niente. Per questo ringraziamo le associazioni benefiche che cercano di dare sollievo alle persone meno fortunate che vivono nel nostro Cantone. Tra queste, ringrazio il Soccorso d’inverno Ticino per il suo lavoro e per avermi permesso di portare queste riflessioni nella loro assemblea annuale.

La versione audio: La povertà in Ticino c’è, eccome