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Unione Europea: L’inflazione cresce, il PIL si riduce

L’inflazione galoppante riduce le previsioni di crescita dell’Unione Europea. È la stessa Commissione europea a dirlo nelle sue previsioni economiche d’estate. Il Prodotto Interno lordo (PIL) del 2022 dovrebbe crescere del 2.7% quest’anno e dell’1.5% il prossimo.
La locomotiva tedesca è in fase di arresto da qualche tempo; c’erano segnali di rallentamento economico già prima dello scoppio della pandemia. Ora i dati della crescita sono allarmanti, anche per la Svizzera, dato che la Germania è il nostro principale partner commerciale; si stima una crescita del PIL dell’1.4% nel 2022 e dell’1.3% nel 2023. Anche sul fronte delle imprese i recenti dati sulla fiducia mostrano segnali di grande apprensione. La Francia dovrebbe mantenere tassi di crescita del 2.4% quest’anno e dell’1.4% il prossimo. Mentre le cose non sembrano andare molto bene per l’Italia, le cui stime parlano di una crescita rispettivamente del 2.9% e dello 0.9%. In questo caso attenzione a non farci trarre in inganno dal dato che sembra estremamente positivo di quest’anno: dietro questo aumento si celano le enormi spese per gli investimenti pubblici sostenuti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) oltre che l’indotto generato dai bonus e dagli altri contributi, sempre pubblici, pensati per alimentare la crescita. Tuttavia, non possiamo dimenticare che al momento in cui scriviamo in Italia si parla dell’ennesima crisi di governo e della possibile caduta dello stesso. Insomma, oltre alle tensioni internazionali bisogna tenere conto anche di quelle nazionali.
Purtroppo in questo momento le autorità e le istituzioni europee non sembrano in grado di garantire crescita e stabilità all’Europa, nonostante i continui comunicati e toni rassicuranti. Già mesi fa i segnali di un’ondata inflazionistica erano nell’aria, ma si è preferito sperare che aspettative positive giocassero un ruolo nell’arrestare quella che appariva già allora una tempesta perfetta. Purtroppo l’inflazione, a differenza di quanto ci hanno detto, non è stata né temporanea né di poco conto. Tant’è vero che le previsioni odierne parlano di un aumento dei prezzi per quest’anno nell’Unione Europea dell’8.3%. Questo significa impoverimento forte delle classi più povere e rischio di fallimento per le piccole e medie imprese.
E su tutto questo altri fattori internazionali giocano un ruolo rilevante. I rallentamenti nelle catene di approvvigionamento messi in evidenza nei periodi di lockdown uniti alla carenza di molte materie prime vanno avanti a creare disagi alle attività industriali. La produzione cinese, anche a causa di una pandemia che non può dirsi esaurita, non riesce ancora a stare al passo con la domanda e spesso è obbligata a veri e propri arresti produttivi. Senza dimenticare che il programma di crescita cinese prevede di dare sempre più spazio alla domanda interna, quindi se c’è da privilegiare un compratore, non siamo più noi i primi della lista. Il problema dei prezzi, ma anche degli stessi rifornimenti dei prodotti energetici assilla tutta l’Europa, senza escludere la Svizzera. A tutto questo si aggiunge una maledetta guerra che non fa altro che accentuare le difficoltà con cui siamo confrontati.
Speriamo quindi che i governi e le banche centrali abbiano bene in chiaro i prossimi passi da intraprendere

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Saremo più poveri

Da giorni tentavo di scrivere questo articolo. Ma ogni volta mi bloccavo. Il costo umano di questa maledetta guerra mi faceva apparire il mio contributo di economista cosa piccola e perfino frivola. Tuttavia, anche oltre l’ambito geografico direttamente toccato dai combattimenti questa guerra avrà conseguenze. E se non saranno drammatiche quanto quelle sul terreno in Ucraina, anche queste conseguenze peseranno sulla vita di molte persone.
In effetti, pure nei paesi non toccati direttamente dal conflitto le ripercussioni sui cittadini saranno sensibili. E ricadranno purtroppo sulle fasce più deboli. L’aumento consistente dei prezzi della benzina, del gas, dei generi alimentari e dei beni di prima necessità colpisce in maniera diversa i cittadini già ora. Come sempre, anche in questo caso, le famiglie che guadagnano meno, faticano di più.
Ma non finisce qui. I problemi legati all’aumento del prezzo dell’energia non li vediamo “solo” sul costo diretto del riscaldamento o della fattura di fine mese. Se guardiamo all’Italia, ad esempio, troviamo che le difficoltà si stanno espandendo a tutte le filiere produttive. Dobbiamo prevedere un aumento del prezzo del pane, della pasta e delle patate a causa delle difficoltà di ottenere le materie prime dai paesi in guerra, ma anche le altre produzioni locali sono toccate. Decine di aziende agricole rischiano la chiusura a causa dell’aumento del costo del gas e del petrolio: questo porterà a minori produzioni, ma anche a tanti licenziamenti. Lo stesso sta succedendo a industrie i cui margini di guadagno sono stati già messi a dura prova dalla crisi pandemica.
Nei prossimi mesi se non addirittura anni anche in Europa le persone diventeranno più povere. Diventeranno più povere non perché spenderanno di più per scelta, ma perché il loro potere d’acquisto si ridurrà a causa degli aumenti dei prezzi. Gli stati e la politica devono cominciare seriamente a occuparsi delle famiglie che faranno fatica ad arrivare alla fine del mese: pane, pasta, patate, come pure riscaldare la propria casa e fare il pieno per andare a lavorare non sono beni di lusso, nessuno può farne a meno. Inoltre, se vogliamo tutelare le aziende, dovremo avere il coraggio di sviluppare pacchetti di sostegno anche per loro. Non dimentichiamo che non può esserci indipendenza e autonomia economica senza il lavoro.
Concordiamo che l’obiettivo a medio termine deve essere l’indipendenza energetica. Ma l’errore fatto in passato da chi ha voluto il mercato a ogni costo anche nei settori strategici vitali per l’esistenza stessa degli stati (energia, telecomunicazioni, approvvigionamento idrico), non può essere risolto sulle spalle dei cittadini prendendo decisioni affrettate che aumenteranno ulteriormente i prezzi.

Tratto dal Corriere del Ticino, 16.03.2022

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