Gli anni passano, le disparità salariali restano. Tutto il mondo è paese.

Il 22 febbraio 2021 l’ufficio federale di statistica pubblica i dati aggiornati sulle disparità salariali tra i sessi. Senza grandi sorprese, nessuna buona notizia. Le donne percepiscono in media nel 2018 ancora il 19% in meno degli uomini. Il dato è addirittura peggiorato. Sia che si guardi in termini di settore, di età, di competenze richieste, di formazione, non c’è niente da fare: le donne guadagnano meno. Talmente meno che sono loro a rappresentare quasi il 61% delle persone che percepiscono un salario inferiore ai 4’000 franchi. Niente da fare invece sui salari alti dove solo 1 persona su 5 che guadagna più di 16’000 franchi al mese è donna. Il resto dei dati conferma quanto già purtroppo sappiamo: oltre il 45% di questa differenza, cioè 684 franchi al mese, non ha nessuna spiegazione attendibile: né formazione, né anni di servizio, né nessun’altra ragione se non quella di “essere donna”. A queste notizie aggiungiamo un dato appena pubblicato dalla società Russel Reynolds che conferma che 20 impese svizzere presenti nello Swiss Market Index (SMI) contano solo il 13% di membri di direzione donne. Altre 7 sono tra il 25% e il 30%, rispettose quindi della nuova normativa svizzera che chiede che le società quotate in borse con almeno 250 dipendenti abbiano una quota del 30% di donne nei consigli di amministrazione e del 20% nelle direzioni. Incredibile il caso di Swisscom, azienda con maggioranza di capitale nelle mani della Confederazione, che conta zero donne nella direzione. Come facilmente immaginabile in nessun caso c’è una donna presidente. Questi dati portano la Svizzera negli ultimi posti della graduatoria. Ma anche altri Paesi non fanno proprio bella figura quando si parla di parità di genere. E così leggiamo che da una ricerca britannica svolta dalla Fox & Partners emerge che le direttrici donne delle più grandi aziende di servizi finanziari guadagnano quasi il 70% in meno dei colleghi uomini. Questo è principalmente dovuto al fatto che la maggioranza delle donne ricopre ruoli non esecutivi e con meno responsabilità. Il Prof. Baranzini ed io affrontiamo il tema sottolineando che per azzerare tutte le differenze è necessario che uomini e donne lavorino insieme. Sotto l’intervista della Sig.ra Erica Lanzi pubblicata dal Corriere del Ticino. Aggiungo le mie considerazione fatte per Teleticino nel TG del 22.02.2021.

Le disparità salariali crescono
Tra il 2014 e il 2018 in Svizzera sono aumentate le differenze nelle retribuzioni tra uomini e donne e con la pandemia il trend rischia di peggiorare Mauro Baranzini: «È un gap che penalizza tutta l’economia» – Amalia Mirante: «Bisogna imporre misure correttive sul mercato del lavoro»
Da anni in Svizzera si discute di disparità salariale tra uomo e donna. Tuttavia la situazione, anziché migliorare, sta decisamente peggiorando. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Ufficio federale di statistica, non solo la forbice tra salari di uomini e donne si allarga, ma addirittura quasi la metà delle disuguaglianze sono ormai considerate inspiegabili. Le donne, evidenzia l’UST, nel 2018 rappresentavano il 60,9% delle persone che guadagnavano meno di 4.000 franchi al mese (per un posto equivalente a tempo pieno). Al contempo l’81,2% di coloro che hanno una busta paga superiore ai 16.000 franchi sono uomini. Inoltre nel 2018 le donne guadagnavano mediamente il 19% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Tale dato è in crescita: era del 18,3% nel 2016 e del 18,1% nel 2014. Come è stato evidenziato sabato in occasione dell’«Equal Pay Day», in pratica è come dire che le donne, rispetto agli uomini, fino al 20 di febbraio lavorano gratis. «Purtroppo non mi aspettavo dati diversi – spiega Amalia Mirante, docente di economia presso USI e SUPSI – e temo che potrebbero peggiorare notevolmente nella prossima statistica. Ci sono ancora tante distorsioni nel mercato del lavoro che necessitano di correttivi».
Fattori chiari e meno chiari
Una parte «spiegabile» delle disparità viene ricondotta vari fattori. Ad esempio gli anni di formazione, di servizio e la posizione gerarchica occupata in azienda. Più è elevata la funzione di quadro esercitata, più marcata è la differenza salariale tra uomini e donne. Anche il ramo economico gioca un ruolo: secondo l’UST raggiungevano l’8,1% nel settore alberghiero e della ristorazione, il 17,7% nel commercio al dettaglio, il 21,7% nell’industria metalmeccanica e addirittura il 33,4% nelle attività finanziarie e assicurative. «Però ci sono alcune riserve sulla quota spiegabile», spiega Mauro Baranzini, economista e già decano della Facoltà di scienze economiche dell’USI. «Ad esempio è noto che le donne chiedano molti meno aumenti degli uomini. E poi anche i fattori biologici sono molto discriminanti. Con essi ci si riferisce non solo all’avere bambini, ma anche al fatto che l’80% delle faccende che riguardano l’economia domestica viene svolto dalle donne». D’altra parte, continua Baranzini, «è assai preoccupante la crescita della quota “inspiegabile” degli ultimi anni». Secondo i dati UST, la proporzione era al 42,4% nel 2014 ed è arrivata al 45,4% nel 2018, che corrisponde in media a 684 franchi al mese nel 2018 (contro i 657 franchi del 2016). Oltre a variare a seconda del ramo economico, è molto più elevata per le piccole imprese ma diminuisce a seconda del grado gerarchico.
Effetto pandemia
I dati UST arrivano solo fino al 2018 e con la pandemia non c’è da aspettarsi alcun miglioramento per le donne. Anzi. «Le lavoratrici sono state le grandi vittime della crisi economica», spiega Mirante. «Guadagnano meno, hanno lavori più precari, spesso concentrati nei settori più colpiti dalla pandemia. Alla perdita dei posti di lavoro si aggiunge il fatto che in vari Paesi sono state principalmente le donne a seguire i figli nella didattica a distanza o ad accudire gli anziani. Il che le ha allontanante ancora di più dal mercato del lavoro. Quindi sono state colpite due volte». E questo in tutto il mondo. «In India ad esempio – prosegue Baranzini – hanno perso il lavoro quasi solo le lavoratrici. Negli USA su cinque posti persi quattro erano occupati da donne, tra l’altro spesso alla testa di una famiglia monoparentale. E anche alle nostre latitudini, in Ticino nel 2019 e nel 2020 le donne hanno perso molti più posti di lavoro rispetto agli uomini».
Dal 1981 nella Costituzione federale si legge: «Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore». Eppure il problema peggiora, dove sta l’inghippo? «Forse – spiega Baranzini – perché il mercato del lavoro è diventato sempre di più una giungla che premia solo la produttività. Questo va contro la tanto agognata uguaglianza. Le donne sono penalizzate dalle questioni biologiche, storiche e culturali. Sono ancora tanti i datori di lavoro convinti che il salario femminile sia solo un supplemento al bilancio familiare. Non aiuta neanche il fatto che i quadri dirigenti, più anziani, prendono decisioni che subiscono i giovani. Da un punto di vista economico il problema danneggia tutta la società, la crescita sarebbe maggiore se ci fossero pari opportunità».
Cosa fare?
I sindacati ieri hanno condannato a gran voce il problema, esigendo misure per invertire la rotta. L’Unione sindacale svizzera sottolinea come la revisione della legge sulla parità dei sessi, entrata in vigore la scorsa estate, sia arrivata troppo tardi. «Essa deve pertanto venire attuata in modo più proattivo e sistematico».
Come? «Oggi le donne sono più formate degli uomini», spiega Mirante. «Solo che i meccanismi di selezione, assunzione e promozione sono gestiti ancora prevalentemente da figure maschili influenzate da un certo vissuto. E allora ci vogliono dei correttivi sul mercato del lavoro. Ad esempio le quote rosa, introdotte dai Paesi nordici vent’anni fa. Oppure i congedi parentali, grazie ai quali si elimina la concorrenza biologica tra uomo e donna quando si diventa genitori. Si potrebbe inoltre pensare ad una società a tempo parziale per tutti, uomini e donne. Sono misure che vanno imposte, perché se si lascia la scelta non si eliminano queste forme di concorrenza tra uomini e donne che portano alle disparità. E dovessimo attendere l’evolversi naturale della situazione potremmo dover aspettare altri 50 anni almeno, prima che il tema delle disparità non sia più tale».
Fonte: Articolo Erica Lanzi- Corriere del Ticino -23.02.2021

Fonte: TG Teleticino – 22.02.2021