Disoccupati? Sì, no, forse…

Di nuovo i dati sulla disoccupazione litigano. Pochi giorni fa è stato pubblicato il tasso di disoccupazione calcolato secondo il metodo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e ancora di nuovo questo indicatore “fa a pugni” con quello pubblicato mensilmente dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO). E questo non rappresenta un problema per gli analisti economici, quanto per le persone in cerca di impiego.

Lo sappiamo: il dato calcolato dalla SECO conta esclusivamente le persone iscritte presso gli uffici regionali di collocamento e le rapporta al numero di persone attive. In questo caso quindi, non c’è nessuna stima e nessun calcolo matematico che vada oltre alla somma degli iscritti. L’indicatore è “facile” e viene pubblicato ogni mese.

Al contrario, il tasso di disoccupazione calcolato secondo il metodo dell’ILO viene stimato a seguito di sondaggi telefonici; i risultati sono pubblicati ogni tre mesi.

In questo secondo caso il tasso di disoccupazione in Svizzera è stato stimato al 4.3%, in aumento rispetto al trimestre precedente di 0.4 punti percentuali e di 0.6 punti percentuali rispetto al primo trimestre dell’anno scorso. Constatiamo che a livello nazionale c’è un aumento delle persone in cerca di lavoro. I dati calcolati mediamente per lo stesso periodo secondo la Segreteria di Stato dell’economia mostravano invece un tasso di disoccupazione “solo” del 2.4%. Quindi il tasso di disoccupazione ILO risulta più alto di 1.8 volte. A questo punto starete pensando che “sì, c’è proprio una bella differenza tra questi due dati!” Eppure in Ticino la situazione è ancora peggiore.

Il tasso di disoccupazione calcolato dalla Segreteria di Stato per i primi tre mesi dell’anno era circa del 2.9%, ossia conteggiava circa 4’800 persone. Il tasso calcolato secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro invece è di ben il 7.2%, in aumento rispetto al trimestre precedente di 1 punto percentuale e di 0.6 punti percentuali rispetto al primo trimestre dell’anno scorso. Il tasso ILO è quindi 2,5 volte il tasso della SECO. In termini concreti parliamo di più di 12’700 persone alla ricerca di un posto di lavoro; di queste la maggioranza sparisce dal “radar” della SECO.

Ma perché nel caso del Canton Ticino questo dato diverge così tanto? Evidentemente c’è uno scollamento tra le persone che cercano lavoro e quelle che sono iscritte presso gli uffici regionali di collocamento. Vuoi perché non hanno maturato il diritto alle indennità, vuoi perché lo hanno esaurito o ancora perché sono scoraggiati, il fatto è che la disoccupazione in Ticino è un fenomeno più grave rispetto a quanto rilevato dalla Segreteria di Stato.

Conoscere questa differenza nei dati è di fondamentale importanza per poter mettere in atto politiche economiche efficaci e per poter dare risposta a tutte le persone che cercano un lavoro e che non lo trovano pur non essendo iscritte negli “albi ufficiali”.

Ancora una volta il mercato del lavoro in Ticino mostra la sua sofferenza: a noi individuarla e soprattutto cercare soluzioni per lenirla.

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Il Ticino cresce, ma troppo poco

Ripropongo un articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 12.02.2021 che tratta del tema delle disparità tra il Cantone Ticino e il resto della Svizzera. Questa disparità anziché andare riducendosi nel corso degli anni è andata aumentando. “Una recente analisi fatta dalla Banca Cler insieme all’istituto BAK Economics mostra l’andamento dei redditi e dei patrimoni tra il 2007 e il 2017 per la Svizzera e i suoi Cantoni. Il documento è molto completo e interessante e conferma ancora una volta le difficoltà strutturali dell’economia del Cantone Ticino.
Anche se alcune voci sono in crescita, purtroppo questa è di gran lunga più bassa di quella del resto della Svizzera. Ciò ci porta inevitabilmente a vedere il divario tra noi e i cugini confederati aumentare. È come se diventassimo sempre più poveri rispetto al resto degli svizzeri. I dati sono chiari. Sia che analizziamo i redditi medi, i redditi mediani, i redditi più bassi o quelli più alti o ancora sia che analizziamo le diseguaglianze le cose non cambiano: il Ticino viaggia a una velocità ridotta rispetto al resto della Svizzera. Non stupiamoci quindi che i nostri giovani una volta finiti gli studi facciano le valigie ed emigrino oltre Gottardo. Come non dobbiamo stupirci che una volta andati all’università non tornino più indietro e mettano su famiglia altrove. Ma questo significa che il nostro Cantone invecchia e muore.
A costo di apparire controcorrente, ritengo che la risposta al problema della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione non sta nella ricerca di idee geniali dell’ultima ora per attrarre persone nuove o nell’invenzione di fantasiose politiche famigliari. La risposta deve essere una sola: supportare le aziende del nostro Paese affinché possano iniziare un processo di cambiamento epocale. Dobbiamo smettere di vestire i panni della Cenerentola della Svizzera. E in questo lo Stato deve essere presente. Vanno bene gli aiuti in questo momento di difficoltà, ma la nostra società deve essere fondata su un’economia solida e florida e non su un’economia di sostegno di breve periodo o peggio ancora assistenzialista. Questo significa che gli aiuti devono diventare forme di sostegno alla transizione, al cambiamento, di messa in rete delle attività, di riqualifica e formazione, di partnership pubblico-privato nei settori innovativi. Dobbiamo superare quelli che una volta sono stati i nostri vantaggi competitivi come la vicinanza territoriale all’Italia e la possibilità di attingere a manodopera qualificata a costo più basso. Questo ci ha portati a sviluppare un’economia intensiva di lavoro sacrificando l’innovazione.
Ora dobbiamo lavorare per avere un’economia che consenta finalmente ai nostri e alle nostre giovani di trovare lavori qualificati con stipendi dignitosi che tengano conto delle loro competenze. Dobbiamo permettere ai nostri figli e alle nostre figlie di poter vivere del proprio lavoro nel proprio Cantone. Lo Stato c’è e deve esserci sempre per sostenere i suoi cittadini e le sue cittadine, ma non deve diventare l’alternativa a un’economia sana.”
Tratto da “Corriere del Ticino” – 12.02.2021

La versione audio: Il Ticino cresce, ma troppo poco