Tanto tuonò che piovve. Il terzo trimestre chiude con un Prodotto interno lordo (PIL) in calo dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. I dati del settore chimico-farmaceutico sono quelli balzati subito all’occhio: –7,9%. Però se guardiamo bene dentro i numeri, la storia interessante non è solo la frenata delle esportazioni: i consumi privati riescono ancora a dare un contributo positivo, mentre gli investimenti mostrano una debolezza sempre più strutturale. Soprattutto quelli in macchinari.
I consumi privati crescono dello 0,4%. Può sembrare poco, ma in un trimestre in cui la principale locomotiva industriale è ferma è un risultato importante. Le famiglie spendono di più per casa, energia e sanità, ma tornano anche a frequentare ristoranti e hotel. Non è un “boom”, ma è il segnale di una domanda interna resiliente, che compensa l’assenza di slancio dall’estero. È una crescita migliore di quella di molti Paesi europei e, soprattutto, costante.
Il problema rimangono gli investimenti. Da tempo vediamo che la parte più innovativa e produttiva dell’economia svizzera fatica a mettere risorse in nuovi strumenti di lavoro: quelli in beni di equipaggiamento scendono ancora, –0,1%, dopo un trimestre già negativo (il terzo di fila). E la voce più debole è proprio l’informatica, che dovrebbe essere l’area più dinamica. Se le imprese investono poco in tecnologia dell’informazione, lo fanno per due ragioni: o perché non vedono prospettive di crescita, o perché il contesto internazionale è troppo incerto. In entrambi i casi, non è un buon segnale per il 2026.
Anche le costruzioni non mostrano un buon andamento: –0,2% negli investimenti e –0,6% come settore. È un comparto che normalmente anticipa i cambiamenti economici e che ora mostra, di nuovo, un raffreddamento. E qui torna utile incrociare il quadro macro con i dati del commercio estero appena pubblicati. Non basta dire che le esportazioni scendono dello 0,3% a ottobre: il rallentamento internazionale è esattamente il contesto in cui le imprese decidono se rinviare investimenti, assumere con prudenza o ridurre la spesa in innovazione.
Il risultato è un’economia che sta in equilibrio grazie alle famiglie, mentre le imprese evitano mosse impegnative. La domanda interna regge, spinge, tiene il ritmo. Gli investimenti invece frenano la dinamica futura: senza un cambio di passo, rischiamo un 2026 con più stabilità che crescita.
Non siamo davanti a un’economia malata, ma a una che si muove con cautela. I consumi fanno il loro dovere e lo fanno bene. Ma non sappiamo fino a quando. Ogni giorno leggiamo di grandi gruppi, anche internazionali, che annunciano licenziamenti e la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Gli investimenti raccontano un Paese che aspetta di capire dove va il vento. E finché le imprese restano prudenti, l’unico motore davvero acceso resta quello delle famiglie. Che però cominciano a chiedersi se avranno ancora un posto di lavoro tra qualche mese. L’incertezza è il male peggiore per l’economia, ma al momento non abbiamo alternative. Almeno sul fronte dei dazi la partita è andata a buon fine: altrimenti i guai sarebbero stati ancora più grandi.





