Le tasse sui ricchi piacciono tendenzialmente alla maggioranza. Vuoi perché la maggioranza non rientra nella categoria dei super ricchi, vuoi perché spesso queste proposte sono accompagnate dell’idea di ridurre la disuguaglianza. Se ne sta parlando e molto in questi giorni perché sotto la presidenza brasiliana del G20, che ricordiamo è il forum formato dai rappresentanti dei 20 paesi più industrializzati al mondo, è stata presentata la proposta di introdurre una tassazione minima annua del 2% sulla ricchezza delle persone miliardarie.
Secondo lo studio fatto dal Prof. Gabriel Zucman la proposta è quella di tassare le persone con un patrimonio superiore a 1 miliardo di dollari (circa 860 milioni di franchi). Lo studio lascia aperta la possibilità per le nazioni di scegliere se introdurre un’imposta sul reddito presunto oppure un’imposta sul patrimonio o un’altra tipologia d’imposta ancora. L’autore sottolinea come la tassazione per essere efficace dovrebbe avvenire a livello internazionale. In caso contrario si genererebbe la possibilità per le persone toccate di scegliere di spostarsi nelle nazioni in cui questa tassazione non c’è. L’idea prende forza anche dalla recente decisione di introdurre un’imposta minima del 15% sulle società multinazionali a livello mondiale. Ricordiamo che anche la Svizzera ha votato per la sua applicazione nel giugno del 2023.
Lo studio stima che in questo caso, l’imposta sui miliardari consentirebbe di raccogliere 200-250 miliardi di dollari (170-215 miliardi di franchi) all’anno tassando circa 3’000 contribuenti. Scegliendo di ampliarla anche a coloro che possiedono più di 100 milioni di dollari (86 milioni di franchi) il gettito crescerebbe di altri 100-140 miliardi di dollari all’anno (86-120 miliardi CHF).
La conclusione principale a cui giunge questo studio è che con questa nuova tassa le entrate dei governi potrebbero aumentare in maniera significativa, consentendo quindi di sostenere le spese per l’istruzione, la sanità, le infrastrutture e in generale gli obiettivi conseguiti dalle politiche pubbliche. Tra i benefici l’autore non manca di citare una maggiore fiducia e coesione sociale. Interessante notare come nello studio il tema della disuguaglianza appare sì, ma in maniera un po’ più marginale.
In effetti, sappiamo che in questi anni di aumento spropositato del debito pubblico mondiale e di incapacità dei governi di attuare politiche che conducano a finanze pubbliche sane, più che gli ideali di uguaglianza, premono le possibilità di aumentare le entrate senza scontrarsi con i cittadini e quindi con l’elettorato.
Non sappiamo come andrà a finire questa proposta, tuttavia ricordiamo che nel caso dell’imposta minima sulle multinazionali furono gli Stati Uniti di fatto a imporla al mondo intero per riuscire a generare gettiti fiscali, senza correre il rischio che le aziende cambiassero paese.
Per il momento, il dibattito sembrerebbe essere riservato ai paesi dell’Unione Europea. Probabilmente anche perché viste le imminenti elezioni, il tema potrebbe essere non proprio elettoralmente pagante per i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti.

