La Svizzera si oppone alla violenza di genere

Una mattanza senza senso e senza pietà, che vede le donne protagoniste della cronaca di tutti i giorni. Il femminicidio è un dramma sociale che ormai va in scena quotidianamente. Una violenza patriarcale radicata anche nelle nuove generazioni, trasversale dal punto di vista geografico, che va al di là dei ceti sociali. Un analfabetismo diffuso riguardo l’affettività e le relazioni. La donna vista come oggetto d’amore, come se non avesse una propria volontà e l’uomo che non riesce a gestire l’abbandono e ha difficoltà ad accettare la libertà e l’autonomia della donna.
In Svizzera le aggressioni contro le donne stanno raggiungendo livelli preoccupanti. I dati recenti dell’Ufficio Federale di Statistica della Confederazione rivelano un aumento del 3.3% nel numero di reati registrati nel 2022 rispetto all’anno precedente. Questa tendenza all’incremento crea allarme.
Nel corso del 2022, sono stati registrati ben 19’978 reati di violenza domestica, di cui il 70.2% delle vittime sono donne. Reati che variano: dalle vie di fatto alle minacce, dalle ingiurie alle lesioni semplici.
Un aspetto particolarmente allarmante è il numero di omicidi consumati all’interno delle dinamiche domestiche, che costituiscono il 59.5% di tutti gli omicidi registrati in Svizzera. Nel 2022, 16 omicidi sono stati commessi da attuali o ex partner, uccidendo 15 donne e un uomo. Questi dati mettono in luce la necessità di misure preventive più efficaci per proteggere le vittime e prevenire tragedie.
Non possiamo tralasciare che oltre l’impatto emotivo e fisico sulla vita delle vittime, la violenza domestica abbia anche un impatto economico significativo sulla società. I numeri sono rivelatori e concreti, possono finalmente alzare un muro contro chi nega che il femminicidio sia un problema strutturale e non un’emergenza stagionale da contenere applicando pannicelli caldi.
Amalia Mirante, Economista, docente della SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), leader fondatrice del nuovo movimento politico ticinese, “Avanti”, è un’esperta di tematiche di genere:
“oggi il femminicidio, la violenza di genere è strutturale e quindi l’unico intervento che possiamo pensare è quello della prevenzione. La prevenzione deve passare attraverso l’educazione; un percorso educativo che deve necessariamente riguardare tutti e in particolare gli uomini, perché il femminicidio non è una questione di donne, è una questione di uomini. Sì, quindi, a processi di educazione che devono però partire necessariamente dalla famiglia e proseguire nella scuola. Occorre travalicare i confini, per poi arrivare a parlare di formazione anche per gli operatori socio sanitari, per le forze dell’ordine, fino agli avvocati e alla magistratura. Dobbiamo destrutturare la violenza di genere e intervenire a tutti i livelli della società. Occorre avviare una serie di iniziative legate al tema dell’educazione sentimentale, affettiva, ma anche all’educazione finanziaria per giovani donne e giovani uomini”.
Il suo movimento politico esiste da poco meno di un anno e ha superato già due prove elettorali difficili, ottenendo risultati ragguardevoli. Affermate di essere distanti dal modus operandi messo in atto dai partiti tradizionali. Su questo tema qual è la vostra visione?
Le istituzioni possono adottare molteplici strategie per prevenire la violenza sulle donne e ridurne il costo sociale ed economico. Innanzitutto, possono implementare programmi educativi e di prevenzione nelle scuole e nelle comunità per promuovere la parità di genere e il rispetto reciproco. Inoltre, è fondamentale garantire supporto e protezione alle vittime, attraverso servizi di assistenza legale, psicologica e luoghi protetti. Le leggi devono essere severissime e le loro applicazioni efficaci, con un sistema giudiziario che punisca i trasgressori e protegga le vittime. Infine, campagne di sensibilizzazione pubblica possono aiutare a cambiare le norme sociali e a ridurre la stigmatizzazione delle vittime.
Il silenzio e la mancanza di denuncia influiscono sulle spese pubbliche e sulla società nel suo complesso. Qual è l’impatto economico del femminicidio in Svizzera?
Non ci sono stime recenti in Svizzera sull’impatto economico del femminicidio e della violenza di coppia in generale. Uno degli ultimi studi in questa direzione è stato fatto su mandato dell’Ufficio federale per l’uguaglianza fra uomo e donna nel 2013. In questo caso l’analisi dichiarava che le cifre esposte erano sicuramente sottostimate quantificando le spese effettive e le perdite di produttività (costi tangibili) in una cifra tra i 164 e i 287 milioni di franchi per anno. Lo stesso studio indicava che questo importo era paragonabile alle spese pubbliche che sosteneva una città di media entità in un anno. In aggiunta, si parlava di un costo di altri 2 miliardi di franchi di costi non tangibili che quantificavano la perdita di qualità della vita a causa della sofferenza e del dolore e la paura di incorrere ancora in una situazione violenta.
Il fatto che non vi siano dati recenti deve far pensare ad un mero disinteresse da parte delle Istituzioni?
Non ritengo che il problema sia l’assenza di studi, quanto piuttosto la mancanza di misure concrete e l’attribuzione di risorse ai compiti che dovrebbero essere svolti per dare risposta a questo tipo specifico di violenza. Quindi rinunciamo pure alla raccolta di dati specifici, ma non rinunciamo all’implementazione di misure concrete e al loro finanziamento.
Lei che è un’economista può spiegarci in che modo la violenza sulle donne influisce sui settori economici, come la sanità, la giustizia e il lavoro?
Tendenzialmente si suddividono i costi in tangibili e non tangibili. Potremmo anche pensarli come costi direttamente sostenuti nel primo caso e costi indirettamente pagati nel secondo (questi ultimi più difficilmente stimabili). Tra i costi tangibili possiamo annoverare quelli legati alle attività della polizia e della giustizia, alla perdita di produttività sul lavoro (a causa evidentemente delle conseguenze della violenza) e quelli legati ai servizi di supporto come le spese sanitarie, quelle di accompagnamento alle vittime e ai minori o ancora quelle di sostegno psicologico. Nello specifico, nel settore sanitario possiamo includere i costi per le cure mediche e psicologiche, in quello della giustizia i costi legati alle indagini, ai processi e ai sistemi di tutela delle vittime, mentre in quello lavorativo ci può essere l’assenteismo, la perdita di produttività e anche quella del lavoro. Non dimentichiamo tuttavia che questi costi direttamente quantificabili sono probabilmente una piccolissima parte dei “costi” non tangibili che le vittime e le persone a loro vicine sopportano per tutto il resto della vita in caso di violenza. Detto altrimenti, la violenza sulle donne va fermata, ma non per ragioni economiche.
Articolo di Laura Incandela per FemeNews, 19.11.2023

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